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10 aprile 2017

Gmg2017: così i giovani siriani e iracheni danno senso al Calvario presente

By SIR
Daniele Rocchi
8 aprile 2017

Domenica delle Palme (9 aprile), la Chiesa celebra tradizionalmente la Giornata mondiale della gioventù e apre la Settimana Santa che porta alla Pasqua. Ma in Siria e in Iraq, dove da anni infuria la guerra, la festa sembra arrestarsi sul Calvario. Non la pensano così i giovani cristiani iracheni sfollati a Erbil, dopo che l'Isis ha invaso i loro villaggi seminando morte e distruzione, e i loro coetanei siriani di Aleppo. Tutti si preparano a celebrare la loro Gmg, in attesa della Pasqua. Perché il Calvario non resti la tappa finale di una vita che fino ad ora sta riservando solo sofferenza. Le testimonianze di padre Paulos (Thabet) Mekko, di Mosul, e di padre Ibrahim Sabbagh, di Aleppo. 

Celebrare Pasqua per dare senso al Calvario presente. In Siria come in Iraq.
 Nonostante siano lontani dalle loro terre, nonostante le loro case e chiese siano state distrutte dall’Isis, i cristiani della Piana di Ninive, sfollati ad Erbil (Kurdistan iracheno) si preparano alla Pasqua. Circa 12mila famiglie, per un totale di 90mila persone, che vivono sparse in case prese in affitto agevolato dalle loro Chiese nel sobborgo cristiano di Ankawa, o presso tende e container dell’“Ashti camp”, che in curdo significa “campo della pace”. E i primi a fare festa saranno proprio i giovani che la Domenica delle Palme celebrano tradizionalmente la Giornata mondiale della gioventù.
La grande tensostruttura bianca che si trova al centro del campo sarà per molti giovani un punto di ritrovo, così come le altre chiese di Ankawa. Per qualche ora il rumore dei combattimenti in corso a Mosul, tra esercito iracheno e le sacche di resistenza dell’Isis, non sarà così assordante e, forse, anche il ricordo della fuga dai loro villaggi nella Piana, dopo l’arrivo delle bandiere nere del Califfo, nell’agosto del 2014, sarà meno doloroso.

La Resurrezione di Ninive (Iraq). 
“Venerdì 7 aprile, condizioni di sicurezza permettendo – dice al Sir il sacerdote caldeo Paulos (Thabet) Mekko, originario di Mosul – celebreremo una Via Crucis a Karamles, uno dei villaggi cristiani della Piana di Ninive liberati -. Sarà un modo per ricordare la Passione di Cristo e quella di tanti che oggi sono qui perché hanno preferito lasciare tutto piuttosto che perdere la propria fede convertendosi all’Islam come volevano i miliziani del Califfo. Domenica 9 aprile, invece, abbelliremo con le palme gli ingressi dei nostri campi sfollati a Erbil e faremo delle processioni ricche di canti all’esterno. Quest’anno, poi, stiamo pensando anche ad una serie di eventi per riunire famiglie, amici, parenti che oggi vivono da sfollati in luoghi, quartieri e strutture diverse in Erbil. Sarà bello ritrovarsi insieme per attendere la Pasqua”. Le notizie che annunciano la sconfitta dell’Isis a Mosul arricchiscono di ulteriori significati questo tempo di festa e gli sfollati cristiani a Erbil sono pronti a celebrare anche la resurrezione della loro terra “che sembrava morta, ma che morta non è”. Ancora una volta sono i giovani a farsi avanti con la loro creatività e la loro fede.
“I nostri non sono giovani-divano”,
dice sorridendo padre Paulos, riferendosi alle parole di papa Francesco pronunciate nella Veglia della Gmg di Cracovia, il 30 luglio scorso, poi ancora nel messaggio per la Gmg di quest’anno.
“Sabato Santo, durante la veglia pasquale, nel momento in cui il celebrante proclamerà che ‘Cristo è risorto’, solleveremo in aria una croce insieme a un grande poster della Piana di Ninive, con tutti i suoi villaggi, per dire che Cristo solleva dall’inferno la nostra terra. In questo modo vogliamo ribadire che Gesù ha sconfitto la morte, ha distrutto il male, quel male che per noi ha il colore nero dell’Isis. La speranza e la vita vincono sempre sul male. Questo, per noi, è il significato della Pasqua”.
 
È su questa certezza che i giovani cristiani sfollati di Erbil “possono pensare ancora ad un futuro nelle loro terre, nelle loro case, quando queste verranno ricostruite. La Pasqua – sottolinea il sacerdote caldeo – ci dona la forza di compiere gesti concreti per guardare al futuro con coraggio. Un gesto concreto è avviare la ricostruzione di ciò che il male, l’Isis, ha distrutto, case, chiese, scuole, ospedali e favorire così il rientro progressivo delle famiglie”.
Le campane della Pasqua non suoneranno solo ad Ankawa ma anche in quei villaggi della Piana dove sono tornati i primi cristiani. Come a Tellesqof dove padre Salar Kajo, celebrerà la Pasqua insieme alle oltre 300 famiglie cristiane già rientrate. “Stiamo restaurando la chiesa, ma sarà difficile finire i lavori prima di Pasqua. Tuttavia, la Domenica delle Palme faremo una processione e abbiamo organizzato dei momenti di festa per i giovani. Inoltre stiamo invitando altre famiglie che stanno tornando nei villaggi vicini”.


I giovani morti di Aleppo (Siria).
Sarà invece una Settimana Santa blindata quella che attende la comunità cristiana di Aleppo, città martire siriana. Padre Ibrahim Sabbagh, parroco della parrocchia latina di San Francesco d’Assisi, lo dice con estrema chiarezza:
“Nonostante in città la situazione sia migliorata, non ci sono ancora le condizioni di sicurezza per celebrare all’esterno. In periferia ci sono scontri a fuoco tra esercito regolare, Isis e Al Nusra.” Ad aumentare la tensione adesso anche l’attacco chimico a Idlib e il bombardamento americano, voluto dal presidente Trump, contro basi aeree dell’esercito siriano.
Intanto fervono i preparativi per la Domenica delle Palme e qui “sono i giovani a farla da padrone – dice il francescano -. I nostri gruppi scout sono pronti ad animare le celebrazioni e i momenti di festa che abbiamo pensato per rallegrare la Giornata”.
Ma dopo cinque anni di guerra civile il pensiero non può non andare, “ai tanti giovani che sono morti a causa della violenza, delle bombe, degli scontri, caduti combattendo.
A quelli costretti a lasciare il Paese perché qui non vedono futuro. In Siria – ricorda padre Sabbagh – vige il servizio militare obbligatorio. Ci sono dei giovani che combattono ormai dal 2011 e non hanno ancora fatto ritorno a casa.

Papa Francesco dice che i giovani sono il futuro della Chiesa, del mondo. Sono anche il futuro della Siria. La guerra sta privando il nostro Paese del suo futuro.

Pregate – è l’appello del parroco – per le popolazioni di Damasco, Homs, Deir el-Zor, Raqqa, Hama e di altri centri abitati. Ogni volta che diciamo ‘ecco è finita’, nascono nuovi combattimenti inattesi. L’ombra della guerra è sempre presente e si allunga anche in questi giorni di luce, ma la speranza in Cristo Risorto ci aiuta ad andare avanti con coraggio”.