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23 marzo 2017

Sako alle comunità emigrate dall’Iraq: affidatevi ai preti sposati

By La Stampa - Vatican Insider
Gianni Valente

Se vi mancano i preti, puntate con più decisione anche sull’ordinazione sacerdotale degli uomini sposati. È questa l’indicazione che il Patriarca Louis Raphael I Sako, Primate della Chiesa caldea, ha fatto arrivare nei giorni scorsi ai vescovi e alle comunità caldee in diaspora, ingrossate negli ultimi anni dall’esodo di fedeli e pastori di quella fuggiti dalle convulsioni irachene. Chiese orientali di tradizione apostolica appaiono sfibrate da fattori di logoramento che non si esauriscono nelle violenze jihadiste. In Iraq, prima del 2006, i caldei erano almeno 800mila, e ora ne rimangono meno di 300mila. Gli altri si sono sparpagliati in mezzo mondo, e non ci sono sacerdoti caldei in numero sufficiente per essere inviati in tutte le città dove si formano nuove comunità. Soprattutto – pensa il Patriarca Louis Raphael - non si può ridurre ulteriormente il numero di sacerdoti che operano in Iraq, se non si vuole peggiorare la condizione di comunità già a rischio di estinzione proprio nelle terre in cui quella Chiesa autoctona è fiorita. Da qui nasce il suo appello, rivolto in primis ai vescovi alla guida delle diocesi della diaspora: per affrontare il problema, cercate nuove soluzioni. Compresa quella di intensificare le ordinazioni sacerdotali di uomini già sposati.
Beatitudine, il trasferimento di buona parte dei caldei fuori dall’Iraq pone problemi nuovi, anche per le attività pastorali. 
Prima tutta la Chiesa caldea era in Iraq. E pur con tutti i limiti e problemi, era più facile assicurare a tutti la cura pastorale. Negli ultimi quindici anni, dopo gli interventi militari occidentali contro Saddam, c’è stata un’emigrazione impressionante. Adesso i caldei sono sparsi dovunque, e le comunità da ogni parte del mondo ci chiedono sacerdoti. Ma non ci sono preti in numero sufficiente per andare dappertutto. E non si possono svuotare di preti le parrocchie e le diocesi dell'Iraq. La Chiesa caldea è nata in quelle terre, e anche il futuro della Chiesa caldea non può che essere legato a quelle terre.
Cosa glielo fa pensare? 
Negli altri Paesi, spesso i caldei, dopo tre o quattro generazioni, perdono ogni vincolo con la tradizione ecclesiale dei propri padri. E anche i sacerdoti emigrati senza adeguata formazione, finiscono spesso per dissipare la propria vocazione. Nei villaggi iracheni, ma anche a Baghdad, intorno alle chiese ci sono le comunità, e i sacerdoti hanno sempre qualcosa da fare. In Occidente, coi ritmi di vita occidentali, molti di loro hanno da fare come preti solo nel fine settimana. E a volte finiscono per usare male il resto del loro tempo. Uno di loro, in Nord America, ha sperperato al casinò 500mila dollari che erano stati raccolti per l’accoglienza dei rifugiati. Altri hanno lasciato il sacerdozio e si sono sposati.Il sinodo caldeo ha dovuto affrontare anche il problema dei “chierici vaganti”…
Alcuni sacerdoti e monaci, prima del 2013, avevano lasciato le proprie diocesi e i monasteri ed erano espatriati senza il consenso dei superiori. Nell’ottobre 2014 un decreto patriarcale, approvato dal Sinodo, ha sospeso alcuni di loro dalla vita ecclesiastica, dopo che loro avevano respinto molti inviti a rimpatriare. Uno di loro, un monaco, era andato in Nord America per partecipare al matrimonio della sorella, e non era più rientrato. Lì aveva ottenuto il permesso di residenza, dicendo che non poteva ritornare in Iraq perché era perseguitato. Allora è stato sospeso, e adesso, da pochi giorni, è passato alla Chiesa anglicana e si sposerà. Sono vicende che lacerano le comunità già frammentate e disperse.
Che consiglio ha da dare alle comunità che chiedono di avere sacerdoti? 
Ho scritto un messaggio per dire che le comunità fuori dall’Iraq, coi loro vescovi, non possono contare più di tanto su di noi. Devono cercare vocazioni sul posto. Devono prendere atto che le circostanze li sollecitano ad assumere iniziative per affrontare il problema della carenza di vocazioni sacerdotali lì dove si trovano, in Australia, Canada, Stati Uniti ed Europa, anche incentivando le ordinazioni sacerdotali di uomini già sposati. Per la nostra disciplina canonica, come per le altre Chiese d’Oriente, l'ordinazione sacerdotale di uomini già sposati non è una questione su cui aprire dispute teologiche. È una realtà. Li abbiamo sempre avuti.

Quanti ce ne sono, nella Chiesa caldea? 
In Iraq sono una decina. Nelle diocesi fuori dall’Iraq, almeno cinque o sei. Ne conosco alcuni, sono molto dediti al loro ministero sacerdotale. Io stesso ne ho ordinati di recente
dudue, che svolgono il loro ministero in Europa, uno in Germania e l’altro in Grecia, pienamente inseriti nella loro società, nei Paesi dove sono cresciuti e si sono sposati.
In passato, su questo punto, anche per voi c’erano problemi, fuori dai vostri territori “tradizionali”… 
Le gerarchie cattoliche latine si sono opposte per lungo tempo al fatto che i preti sposati delle Chiese cattoliche orientali fossero ordinati e svolgessero il loro ministero sacerdotale in America o in Europa occidentale. Dicevano che vedere preti cattolici sposati creava “scandalo” tra i fedeli e metteva in difficoltà i preti cattolici di rito latino, che non possono sposarsi. Ma sono problemi passati. Nel 2014, Papa Francesco ha fatto pubblicare un documento con cui è stato cancellato ogni limite geografico all’ordinazione e all’esercizio del ministero pastorale dei preti sposati delle Chiese cattoliche orientali.

Secondo Lei, anche nella Chiesa latina, con quali criteri conviene affrontare la questione dell’ordinazione sacerdotale di uomini sposati?
Conviene partire non da questioni astratte, ma dalla realtà dei fatti e dalle autentiche esigenze pastorali. La realtà dei fatti ci dice che c’è scarsità di vocazioni sacerdotali, e ci dice anche che del matrimonio e della sessualità c’è una percezione diversa rispetto a sessant’anni fa, anche nelle Chiese: se ripenso a quello che ci trasmettevano nel seminario… Anche della Chiesa d’Occidente, la possibilità di ordinare uomini sposati non è stata cancellata nemmeno dal Concilio di Trento.
Papa Francesco, nell'intervista a Die Zeil ha ripetuto che comunque il “celibato opzionale” dei preti non rappresenta la soluzione alla crisi delle vocazioni.
Certo, non ci sono soluzioni magiche al problema della diminuzione delle vocazioni. E nessuno può dire che l’emergenza si risolve meccanicamente ordinando al sacerdozio uomini sposati. Ma conviene sempre ricordare che il celibato sacerdotale non è un dogma di fede, è una disciplina. E che le scelte vanno fatte sempre avendo come criterio ultimo la salvezza delle anime.