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24 marzo 2017

La diocesi in preghiera per i missionari martiri

By Roma Sette
Roberta Pumpo

“Non abbiate paura” è lo slogan scelto dalla Fondazione Missio per la XXV Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri che si celebra il 24 marzo in ricordo del beato Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, ucciso durante la Messa, il 24 marzo 1980, mentre elevava l’ostia per la consacrazione. La diocesi di Roma quest’anno ha dedicato la preghiera per i missionari martiri a padre Ragheed Ganni, sacerdote cattolico iracheno di rito caldeo, ucciso a Mosul, in Iraq, insieme a tre diaconi, il 3 giugno 2007, al termine della Messa da lui celebrata nella sua parrocchia dedicata allo Spirito Santo.
Aveva solo 35 anni. Una veglia di preghiera itinerante, articolata in tre momenti: il primo nel Pontificio Collegio irlandese dove padre Ragheed visse dal 1996 al 2003 come studente della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino “Angelicum” e dove la sua memoria continua a vivere nel mosaico a lui dedicato realizzato, nella cappella, dal gesuita Marko Ivan Rupnik. Quindi i partecipanti hanno raggiunto la basilica dei Santi Quattro Coronati, per pregare i vespri con il vescovo Lojudice; infine l’approdo a San Bartolomeo all’Isola, memoriale dei martiri del nostro tempo, dove sono stati ricordati gli operatori pastorali uccisi nel 2016.
Tra i presenti anche don Thomas Norris, direttore spirituale del Collegio irlandese, e padre Glenn Morris, docente di Filosofia all’Angelicum. Entrambi conoscevano Ragheed. «Ricordo la mattina in cui è partito per l’Iraq – racconta don Thomas - Avvertivamo il pericolo che correva e abbiamo pregato tanto per lui. Era un giovane sacerdote molto coraggioso». «Tornare dalla sua gente era il suo unico desiderio – aggiunge padre Glenn - Era cosciente del pericolo ma ripeteva che bisognava supportare la fede del suo popolo e che quello era il suo posto». Temendo che senza di lui, senza il pastore, il gregge si sarebbe disperso, con piena consapevolezza questo giovane sacerdote aveva scelto infatti di rimanere al fianco dei suoi fedeli: «Cristo con il suo amore senza fine sfida il male – ripeteva -, ci tiene uniti, e attraverso l’Eucaristia ci ridona la vita che i terroristi cercano di toglierci». Dopo aver nutrito i suoi fedeli con il Corpo e il Sangue di Cristo, ha donato anche il proprio sangue, la sua vita, per l’unità dell’Iraq e per il futuro della sua Chiesa. «Posso sbagliarmi – diceva – ma di una sola cosa ho certezza che sia vera: che lo Spirito Santo continuerà ad illuminare alcune persone perché lavorino per il bene dell’umanità in questo mondo così pieno di male».
I partecipanti alla veglia hanno poi raggiunto la basilica dei Santi Quattro Coronati, dove sono stati recitati i vespri animati dalle monache agostiniane e presieduti dal vescovo Paolo Lojudice, incaricato della Cooperazione missionaria tra le Chiese nella diocesi di Roma. «Uccidere un cristiano significa uccidere Cristo e noi rispondiamo in ginocchio e con la preghiera» ha detto. Al termine della preghiera poi Rezan Kader, rappresentante in Italia del governo regionale del Kurdistan, ha testimoniato la drammatica situazione dei cristiani in Medio Oriente. «Nel mio Paese i cristiani cacciati dall’Isis hanno trovato accoglienza – ha detto - Nel resto dell’Iraq sono perseguitati e aggrediti solo per la loro fede».
Al termine dei vespri, ancora uno spostamento fino alla basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, affidata, dal 1993, alla Comunità di Sant’Egidio. Qui sono stati ricordati i 28 operatori pastorali uccisi nel 2016: uomini e donne che non hanno avuto paura di annunciare e testimoniare il Vangelo di Cristo fino alla donazione totale. 14 sacerdoti, 9 religiose, un seminarista e 4 laici. Otto sono stati uccisi in Africa, 12 in America, 7 in Asia e uno in Europa. Quest’ultimo è don Jacques Hamel, il sacerdote di 84 anni ucciso mentre stava celebrando la messa a Saint Etienne du Rouvrai, in Normandia, il 26 luglio 2016. Nella basilica è conservato il suo breviario. Per ognuno di questi martiri contemporanei è stata accesa una candela. Per volontà di San Giovani Paolo II la basilica è stata dedicata alla memoria dei martiri del XX e XXI secolo, e in una delle cappelle, dal 2012, è conservata la stola che padre Ragheed indossava durante la sua ultima Messa. «Padre Ragheed – ha detto il rettore della basilica don Angelo Romano – era un sacerdote esemplare, sempre pronto ad aiutare i poveri. Spesso la sera, con i volontari della comunità Sant’Egidio, portava un pasto caldo ai poveri a Colle Oppio».