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21 novembre 2016

“Contro il genocidio dei cristiani in Siria e Iraq bisogna agire”

By Il Foglio
Matteo Matzuzzi

“Dobbiamo dire che questo è un genocidio e quindi dobbiamo fare qualcosa a riguardo”.  
A dirlo, durante un incontro che si è tenuto qualche giorno fa alla Catholic University of America di Washington, è stato il vescovo caldeo Francis Kalabat, titolare dell’eparchia di San Tommaso Apostolo a Detroit. “E’ un trauma fisico, emotivo e spirituale”, ha aggiunto poi in un’intervista apparsa sul Catholic Standard, giornale ufficiale della diocesi della Capitale americana.
"Noi stiamo cercando di rimanere chi siamo. Vogliamo pregare Gesù con la lingua e i modi attraverso i quali lo abbiamo incontrato fin dall’inizio”. Kalabat ha puntato l’indice sulle cosiddette Primavere arabe, speranza per un futuro migliore nel 2011 che si sono rivelate la più grande delle trappole e la cui fine (eccezion fatta, seppur con molta prudenza, per la Tunisia) ancora non si vede all’orizzonte. “Il Cristianesimo in medio oriente ha avuto una lunga vita, ma ora lo si vuole eliminare in Iraq, Siria e negli altri paesi delle Primavere arabe. Se questa è la primavera, non vorrei vedere l’inverno”, ha aggiunto il presule.
Lo Stato islamico, ha osservato Kalabat, “ha causato sì molta distruzione, ma non ha distrutto solo gli edifici, bensì anche le relazioni tra vicini. Molti musulmani iracheni intimiditi dal Califfato hanno cambiato atteggiamento riguardo i vicini cristiani e questo a fomentato solo diffidenza. La persecuzione sistematica delle comunità cristiane in medio orientevuole “la distruzione mirata di una cultura, di una fede, di una storia umana e di una persona umana”.
I cattolici in Iraq, ha spiegato il vescovo caldeo, “sono sopravvissuti, ma è sufficiente vivere per sempre da sopravvissuti?”, s’è domandato. Sopravvivere è un conto, vivere è un altro, ha osservato. Parole di ringraziamento per quei musulmani che hanno preso le difese dei cristiani minacciati: “Lavorano duramente per proteggere i cristiani, sono eroi e nostri amici”.
Il pericolo maggiore, già ribadito in questi anni più volte dai vescovi locali, è la scomparsa delle comunità cristiane dalla regione: “C’è un esodo massiccio di cristiani da terre con legami biblici e storici profondi. Se ogni cristiano lasciasse l’Iraq, cosa accadrebbe? Pregate e lavorate perché questo non accada”, ha aggiunto Kalabat. 
Un messaggio rivolto anche alla futura Amministrazione americana, dunque, affinché non abbandoni a se stesso il vicino oriente. In questo senso vanno lette le parole affidate al portale AsiaNews dal Patriarca di Baghdad, Louis Raphaël Sako, che aveva definito la vittoria di Donald Trump il sintomo “della stanchezza verso guerre non giustificate, morti, violenze e distruzione. Vi è uno scontento diffuso verso una politica non chiara, poco equilibrata e la speranza è che vi possa essere un cambiamento in un’ottica di pace e di stabilità”.