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23 settembre 2016

Lettera aperta del Direttore Monteduro ACS scrive dal Kurdistan ai Benefattori della Chiesa che soffre: per i Cristiani le cose cambiano, ma in peggio


Cari Benefattori,
vi scrivo mentre in auto attraverso le montagne del Kurdistan rientrando da Duhok ad Erbil. Come sapete ero già stato in Kurdistan tra i nostri fratelli cristiani lo scorso aprile, e come la volta scorsa vi sono tornato assieme a Mons. Cavina, Vescovo di Carpi. Come allora, anche in questo viaggio, saltiamo, letteralmente, da un campo profughi, nel quale sono ospitate prevalentemente famiglie cristiane ma anche yazide, ad un altro, da una casa, dove ha trovato accoglienza una delle migliaia di famiglie cristiane fuggite dalla violenza dell’Isis, ad un’altra, da una scuola o da una parrocchia ad un’altra… Vi assicuro, un ritmo di marcia molto impegnativo. Eppure nessuno avverte un benché minimo senso di stanchezza. Potremmo proseguire nel nostro cammino ancora per ore e ore. Non puoi avvertire alcuna spossatezza quando il tuo cuore incontra fratelli cristiani che, per la tua semplice presenza, ti abbracciano, si commuovono, gioiscono, e ti chiedono di pregare assieme. Sì, perché i Cristiani d’Iraq, nonostante la sofferenza, l’enorme dolore di aver visto la morte di persone amate, o l’esser stati costretti a lasciare la propria casa, non chiedono nulla. Ti esprimono soltanto la loro gratitudine per esser lì con loro.
A Manghesh, un piccolo villaggio a ridosso della grande città di Duhok e a pochissime decine di chilometri dalla prima linea dell’Isis, siamo stati ospitati per qualche minuto da una famiglia di Mosul. Per rendere indimenticabile il nostro incontro sarebbe stato sufficiente il loro racconto relativo alle ore in cui, senza poter prendere nulla dei loro effetti personali, furono obbligati a lasciare la propria casa e la città che aveva dato loro i natali. Ma scoprire che sono in attesa di capire quale sarà il futuro del nord dell’Iraq, nonostante la possibilità di partire per il Canada dove verrebbero ospitati dallo zio Vescovo, semplicemente perché quella è la loro terra, la terra che ha trasmesso loro la Fede cristiana, ti lascia privo di parole. Quanto mi piacerebbe potervi portare tutti qui! Quanto mi piacerebbe organizzare un volo speciale per tutti quegli attori delle comunità internazionale ed italiana che fanno della tutela delle minoranze e della libertà religiosa il loro quotidiano slogan!
Ma non posso non aggiungere un’opinione condivisa dallo stesso Mons. Cavina: tornare nel Kurdistan iracheno dopo poco meno di sei mesi ha suscitato in noi una preoccupazione e un’angoscia maggiori rispetto alla prima volta. Non riusciamo infatti a vedere alcun futuro per questa comunità in Iraq. Da aprile a settembre non è cambiato nulla, anzi qualcosa è mutato, ma in peggio. Sono diminuiti i Cristiani, avendo in tanti preferito lasciare l’Iraq; inoltre le strutture che nei campi li accolgono sono andate deteriorandosi, anche se non gravemente per fortuna, il che è inevitabile in una regione che ad agosto vede la temperatura toccare i 60 gradi. Il punto è che nonostante tutto sono ancora 100.000 (centomila) i Cristiani rifugiati in quell’area.
E allora che fare? Non abbiamo alternative, dobbiamo continuare ad aiutarli. Ciascuno di noi, come sempre, farà quello che potrà, ma se ai Cristiani d’Iraq verrà a mancare la nostra vicinanza, resterà loro sempre la Fede. Noi, invece, avremo perso tutto. Con mia personale commozione, mentre il buio cala su di un collinare paesaggio curdo, Vi abbraccio e Vi saluto fraternamente,

Alessandro Monteduro
Direttore di ACS-Italia
Erbil, 22 settembre 2016