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2 marzo 2016

Serata di poesia e solidarietà. Lettera dai profughi di Mosul (video)

By Asia News

Per il VIDEO cliccare sul titolo del post

Una risposta personale con la poesia all’indifferenza del mondo davanti al dramma dei profughi di Mosul: è il motivo che ha spinto cinque poeti a radunarsi a Roma, nella sede di AsiaNews per declamare i loro versi e testimoniare della nascita di un “ponte” fra la loro vita e quella dei rifugiati e dei perseguitati.
I cinque poeti (Tommaso Di Dio, Lorenzo Babini, Davide Ferrari, Massimiliano Mandorlo, Mariadonata Villa), aiutati dal pittore svizzero
Mauro Valsangiacomo, hanno raccolto i loro versi in un libro, “Davanti agli occhi c’è un ponte” (Ed. Alla chiara fonte, Lugano), i cui proventi sono donati alla campagna lanciata da AsiaNews “Adotta un cristiano di Mosul”.
Per l’occasione, p. Samir Youssef, parroco della diocesi di Amadiya (Kurdistan), che cura 3500 famiglie di profughi cristiani e yazidi, ha inviato una lettera che riproduciamo qui sotto in modo integrale. Nel messaggio, p. Samir, racconta la vita quotidiana dei rifugiati, la loro solitudine e alcuni piccoli segni di rinascita e speranza: la ripresa della scuola per i bambini; le nuove nascite; la liberazione di alcuni ostaggi; l’inizio di alcuni commerci.
Ai nostri lettori offriamo anche le sequenze video della serata.
 
DIOCESI CALDEA DI ZAKHO E AMADIYA
 
Carissimo P. Bernardo Cervellera,
Cari amici lettori di AsiaNews,
anzitutto vorrei ringraziare il Signore per la vostra amicizia che ci fa sentire uniti con voi, vicini a voi, nonostante la lontananza.
Nelle situazioni difficili come quella in cui siamo costretti a vivere in questo momento in Iraq, la sensazione più difficile da sopportare è la solitudine, "essere soli" e sentirsi dimenticati: durante le prime settimane dopo che I' Isis aveva occupato la Piana di Ninive e il Sinjar, e cacciato i cristiani e gli Yazidi dalla loro terra storica, la solitudine e il senso di abbandono erano i sentimenti più insopportabili nella vita di tutti noi. Vedere questa povera gente accampata lungo le strade, nei parchi, attorno alle chiese; vivere assieme a loro questa condizione di estremo disagio, era una grande sofferenza. Mi piangeva il cuore quando ascoltavo le storie di uomini e donne uccisi, rapiti, violentate, morti per fame e sete. In quei momenti ho capito che cosa vuol dire "il deserto": esso è veramente il luogo dove la fede viene messa alla prova. Ho sentito e capito il grido di Auschwitz, dove la gente moriva di fame senza che il mondo sapesse nulla di quanto accadeva.
Il silenzio che in quel momento dominava il mio cuore veniva spesso squarciato da un grido rivolto a Dio: Perché, Signore, hai taciuto, perché continui a tacere? Questo è ancora oggi, per noi, la paura più grande: che il mondo ignori la nostra tragedia, la tragedia dei profughi che dopo un anno e otto mesi continua ad essere una questione di sopravvivenza, nella quale i diritti più elementari delle persone sono di continuo violati e dimenticati.
In questo tempo di Quaresima stiamo vivendo la nostra fede cercando di dare la speranza ai profughi tramite la nostra vicinanza a loro. Durante la scorsa Quaresima, quella del 2015, molte persone si chiedevano e ci chiedevano: perché il Signore ci ha lasciato? perch6 ci ha abbandonato? Come ha potuto tollerare tutta questa distruzione e questo dolore? Oggi, per grazia di Dio, nella vita di queste persone sentiamo la gioia della speranza, nonostante tutte le difficolta.
Vorrei raccontarvi alcune esperienze tra le tante che ho vissuto in questo anno e mezzo.
 
Innanzitutto quella di un uomo yazida: prima di fuggire dal monte Sinjar sotto l'incalzare della violenza dell'Isis, ha sepolto suo padre e sua madre sulla montagna, dove ha lasciato anche il suo gregge (più di 120 pecore); quando I ‘ho incontrato dopo che era arrivato da noi, a Enishke, era disperato; oggi, con l'aiuto che gli abbiamo fornito, ha di nuovo un suo gregge di 50 pecore e, proprio in questi giorni, la benevolenza di Dio gli si è mostrata con la nascita di un nipote, segno che la vita continua. La solidarietà è la nostra risposta al male di ogni tipo, anche all’Isis.
 
Un altro uomo, cristiano, che aveva perso il suo lavoro e la sua casa, oggi ha aperto un mini-market dove lavora assieme a sua moglie.
Oggi, dopo oltre un anno di interruzione nei loro studi, siamo riusciti ad organizzare il trasporto e a portare nelle scuole più di 850 studenti. Questo è stato reso possibile dal vostro aiuto e con l'aiuto di altre Chiese abbiamo anche potuto acquistare e distribuire vestiario, kerosene per il riscaldamento, stoffe e altri generi di consumo, per combattere il rigore di questo inverno particolarmente rigido, con tanta neve e freddo.
Vorrei raccontarvi anche di Fauzia, una ragazza yazida che ha perso tutta la sua famiglia ed era rimasta sola (i suoi genitori, i fratelli e le sorelle sono stati uccisi o rapiti da Isis). Qualche settimana fa è stata liberata una delle sue sorelle e oggi stanno insieme e hanno ricominciato ad andare alla scuola.
I bambini cristiani e yazidi sono diventati amici fra loro, giocano insieme al football e per Natale hanno avuto I’ idea di aiutarci a distribuire regali ai loro amici profughi.
Queste e tante altre storie sono segni di speranza per noi tutti.
Di fronte a queste persone sofferenti, non dobbiamo interrogarci su chi ha la colpa, se e come perdonare. Il nostro impegno di fede ci deve spingere a pregare e operare per la salvezza delle vittime, per la ricerca e I’ affermazione della giustizia per chi ha sofferto senza colpa.
Dio ci ha donato Gesù per restituire la speranza a questa gente. E’ necessario riconoscere i "segni dei tempi" alla luce della fede e della speranza.
Come dice Papa Francesco, di fronte a tutti questi tentativi per distruggere il mondo, Dio ci dona Gesù, si avvicina a noi per darci il suo conforto e la sua misericordia. Dobbiamo corrispondere al dono del suo amore con il nostro amore e il nostro impegno verso il prossimo. E’ un impegno che siamo chiamati ad assumere per offrire a quanti incontriamo il segno concreto della vicinanza di Dio. Dove c'è più sete di
speranza, dove ci sono le persone abbandonate e sofferenti, in tutte queste realtà abbiamo il dovere di portare la misericordia di Dio attraverso un impegno di vita che deve essere testimonianza della nostra fede in Cristo. Attraverso le opere di misericordia continuiamo a portare a chi soffre I’ amore del Padre. Piccoli gesti di amore, di tenerezza, di cura, cha fanno pensare che il Signore è vicino a loro.
 
E’ quello che fa la Chiesa Caldea, ma anche quello che fanno le Chiese sorelle d'Italia e dell'Europa, le tante organizzazioni, i tanti amici, facendoci sentire la loro vicinanza morale e la loro solidarietà materiale; è quello che sta facendo Asia News con la sua campagna di raccolta fondi "Adotta un cristiano di Mosul". A voi tutti va la mia personale riconoscenza e quella dei nostri fratelli e delle nostre sorelle che vivono la condizione di profughi e che non devono perdere la speranza di poter ottenere una vita migliore. E soprattutto non devono perdere la fede in Dio e nella Resurrezione in Cristo suo Figlio.
Cordiali saluti,
 
Il parroco

P. Samir Youssef