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13 gennaio 2016

L’impegno della Caritas per i rifugiati in Giordania



“Se l’Europa chiude le porte ai rifugiati e alle popolazioni in fuga dalle guerre, faccia pure. Ma venga qui ad insegnarci come si raggiunge la pace, come riuscì a fare dopo la Seconda Guerra mondiale”.
Lo ha detto all’agenzia Sir il direttore della Caritas Giordania, Wael Suleiman, parlando ieri ai vescovi dell’Holy Land Coordination in visita al centro “Nostra Signora della Pace” di Amman, dove vengono assistite numerose famiglie cristiane irachene fuggite da Mosul, dopo la presa del sedicente Stato Islamico nell’agosto del 2014.

Un milione e 400mila siriani e 130mila iracheni in Giordania
“Attualmente in Giordania accogliamo un milione e 400mila siriani e 130mila iracheni, ma ce ne sono moltissimi altri privi di registrazione Onu. I cristiani siriani – ha spiegato il direttore – sono poco più di 100 famiglie (circa 600 persone), mentre gli iracheni cristiani sono 8.500”.
Per loro la Chiesa locale e la Caritas Giordania da tempo sono in prima linea nell’accoglienza e nell’assistenza. È un dato di fatto che “non ci sono cristiani nei campi profughi giordani, ma sono stati tutti accolti prima in Centri parrocchiali e successivamente smistati in nuclei abitativi per favorirne l’integrazione. Provvediamo loro l’istruzione e le cure sanitarie”.
Più difficile trovare dei lavori: “Molti cercano un lavoro per vivere più dignitosamente, spesso senza avere contratti. Sono ottimi lavoratori e con grandi competenze, ma il mercato giordano non offre molte opportunità. Nonostante ciò non registriamo particolari tensioni sociali popolazione locale e rifugiati”.

Gli aiuti della Caritas italiana grazie all'8x1000
​Si lavora molto nel campo dell’istruzione. In questo ambito, dice Suleiman, “devo registrare l’enorme sforzo della Chiesa italiana che con oltre un milione di euro, dai fondi dell’8×1000, ha permesso di mandare a scuola 1.000 bambini iracheni. Oltre a ciò ha previsto dei finanziamenti per aiutare anche famiglie giordane bisognose. La speranza è che altre conferenze episcopali seguano l’esempio della Cei”.
Lavoro, casa, scuola, nel vocabolario dei rifugiati cristiani in Giordania “manca solo una parola: ‘futuro’. Nessuno – ammette con amarezza il direttore della Caritas – pensa di fare ritorno in Siria e in Iraq. Gli iracheni hanno perso tutto in poche ore, casa, proprietà, affetti, e oggi dicono ‘che torniamo a fare?’. Per loro guardare avanti significa un visto di ingresso per Usa, Canada, Australia. L’Europa, adesso, attira sempre meno”.