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13 ottobre 2014

Paglia: la nostra fede “occidentale” viene dall’oriente

By Vatican Insider - La Stampa

Si è concluso ieri il Convegno dedicato alle Famiglie del Medio Oriente, organizzato dalla Fondazione Vaticana “Centro Internazionale Famiglia di Nazareth”, in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la Famiglia, sul tema “Uno sguardo di verità e di misericordia sulle Famiglie in Medio Oriente”.
Il moderatore Vincenzo Morgante, ha coordinato il tavolo dei relatori, sottolineando il valore di un Convegno che «vuole accendere i riflettori, richiamare l’impegno di completa solidarietà riguardo alle famiglie che vivono queste situazioni di difficoltà».
Nel suo saluto, il Presidente del Pontificio Consiglio, mons. Vincenzo Paglia, si è rivolto ai Patriarchi orientali: «Se a Occidente abbiamo ricevuto la fede è perché viene da Oriente. Quello che voi vivete ci chiama a essere ancor più vicini a voi. Una gratitudine che ha quasi duemila anni: noi siamo figli anche vostri, di quella terra che oggi vive un nuovo martirio. Per questo la Fondazione Vaticana ha voluto legarsi all’Oriente attraverso il Centro Internazionale che ha preso avvio proprio a Nazareth. Un legame indissolubile. Ascoltando la testimonianza di una coppia di anziani costretti a fuggire dalla propria terra, dalla propria casa, soltanto con i propri vestiti, lasciandosi tutto alle spalle, il Santo Padre è rimasto molto colpito. Il Papa ci ha ricordato che è davvero necessario sentire il legame con le famiglie del Medio Oriente».
Il Presidente della Fondazione Vaticana “Centro Internazionale Famiglia di Nazareth”, Salvatore Martinez, ha presentato il significato del Convegno: «Questo nostro Convegno è un atto d’amore. Un atto d’amore verso la famiglia, la famiglia che soffre in Medio Oriente. E l’amore, che non è un sentimento che va e che viene, ma è sempre istanza di verità e di giustizia, impone a noi che si guardi ad occhi nudi e a cuore aperto il dramma di queste popolazioni medio orientali che sembrano “sperare senza speranza”. Noi crediamo che l’amore di Dio è più forte della spada, della morte, di ogni umana persecuzione. E questo amore noi vogliamo fare vincere. Questo amore ci raduna; questo amore ci fa pregare; questo amore abbatte le nostre distanze; questo amore ci fa soffrire con chi soffre e gioire con chi gioisce; questo amore non ci può lasciare fermi e indifferenti. Cosa stiamo facendo per questa generazione che vede solo ragioni di morte e di disperazione? Cosa vogliamo, possiamo, dobbiamo fare perché questo nostro mondo, in modo speciale il Medio Oriente, somigli sempre meno ad un inferno? Non c’è tempo da perdere, - ha proseguito Martinez - perché questa nuova generazione di famiglie e di figli si è già affacciata all’orizzonte».
Primo dei Patriarchi ad intervenire S. B. Fouad TWAL, patriarca di Gerusalemme dei Latini: «Quando si parla della ricostruzione di Gaza, ciò che mi chiedo è: chi saprà ricostruire l’elemento umano? Che tipo di famiglia formerà un domani questa nuova generazione di cristiani, cresciuta con la violenza davanti agli occhi? Durante la crisi dei rifugiati, la Chiesa si è adoperata per la ricostruzione delle scuole, per togliere tanti bambini dalle strade, e nella costruzione di case per le famiglie immigrate. Sono persone che non parlano, ma il dramma è visibile nei loro occhi».
A seguire, S. B. Ignace Youssif III YOUNAN, patriarca di Antiochia dei Siri, ha dichiarato: «Non farò omelie, né chiederò assistenza. Dirò che i cristiani del Nord dell’Iraq sono a rischio di sterminio. E non dico questo per avere pietà. L’Isis è composto da jihadisti che uccidono, tagliano teste e rappresentano lo Stato islamico. Nel 1915 abbiamo vissuto il genocidio armeno e quello dei cristiani in Turchia. Il prossimo anno saranno passati 100 anni, eppure oggi ne viviamo uno nuovo. Ma questa è la nostra vocazione: essere testimoni fino al martirio».
S. B. Louis Raphaël I SAKO, patriarca di Babilonia dei Caldei, ha affermato: «Una famiglia cristiana in Iraq è un modello per i musulmani: quelle famiglie, quei bambini, sono una speranza. Prima si parlava della ricostruzione di Gaza… ma perché uccidere, distruggere e poi ricostruire? È illogico! È una politica sporca, ma perché tutto questo? Perché 120 persone, a Ninive, sono state costrette a lasciare la loro casa e camminare per ore, nella notte, chiedendo il nostro aiuto?».