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13 ottobre 2014

"Io, religiosa cattolica in Iraq"

By La Provincia (Cremona)
Barbara Caffi

Il patto è di non fotografarla se non di spalle, perché là, nel suo Iraq, vivono la sua famiglia e la sua comunità. Borsa di jeans a tracolla, il volto pronto a oscurarsi di preoccupazione come ad aprirsi in sorrisi contagiosi suor Caroline nasconde la sua forza in un fisico minuto. E’ una religiosa cattolica di rito caldeo e fino a poco tempo fa viveva a Mosul, in una zona che da giugno è controllata dall’Isis.
Da alcuni mesi è a Roma per motivi di studio — è già medico, si sta specializzando in Comunicazioni sociali all’Angelicum — ed è di passaggio a Cremona, dove è ospite delle suore del Rifugio Cuor di Gesù di via Bonomelli. Se parla è per «raccontare la verità», per testimoniare ciò che ha appreso dalle consorelle costrette a lasciare il convento in una notte d’estate o ciò che le raccontano i parenti da Bagdad.
«La nostra casa a Mosul - ha ricordato nella redazione de «La Provincia», dove è stata accompagnata da Maria Emilia Giordano, ex viceprefetto molto attiva nel volontariato, e dov'è stata intervistata anche dal collega Gianpiero Goffi - era divisa in tre parti. In una ci stavamo noi sorelle, l’altra era una casa per donne e l’altra ancora una casa di riposo. Il 9 giugno scorso, intorno alle 18, si è capito che la situazione stava precipitando e i frati francescani del convento di fronte al nostro hanno comunicato di tenersi pronti ad andarsene. Alle due del mattino le suore sono state costrette a lasciare la casa e dopo undici ore di cammino hanno raggiunto una zona peshmerga del Kurdistan. Ora sono lì, vivono in una scuola e hanno ripreso la loro attività. Sappiamo che a Mosul — ha proseguito suor Caroline —, gli uomini dell’Isis hanno cercato di distruggere la Croce del nostro convento, l’hanno spezzata e sopra ci hanno messo la loro bandiera nera. Dai cristiani sono passati casa per casa: non tutti erano riusciti ad andarsene, gli anziani e i malati non potevano muoversi. A loro l’Isis ha imposto quattro condizioni: la conversione, il pagamento di una tassa, l’allontanamento o l’uccisione. A un nostro vicino paralizzato hanno fatto trovare un’auto e l’hanno mandato via. Però nessuno di quelli costretti ad andarsene ha potuto portare via nulla, né soldi né documenti, niente».
Nel dopo Saddam, la vita a Mosul non era facile per i cristiani. Divisa dal fiume Tigri, la città — la Ninive assira che oggi conta quasi tre milioni di abitanti — «nella zona est era di fatto controllata da al Qaida, malgrado la presenza dell’esercito del governo centrale di Bagdad». A ovest, a partire dal 2004 vennero uccisi diversi sacerdoti e, tra loro, anche il vescovo caldeo Paulos Faraj Rahho, «rapito e morto durante il sequestro, sul suo corpo c’erano segni di violenza». Era caldeo anche padre Ragheed Ganni, ucciso nel 2007 con quattro diaconi dopo aver celebrato la messa in parrocchia. «Il vescovo — ricorda suor Caroline — gli aveva suggerito di andarsene, ma lui diceva: ‘sono nella Casa di Dio’. Era conosciuto anche in Italia, anche lui aveva studiato all’Angelicum».
Si torna a parlare del presente, dell’Isis iracheno, «che non è quello di Siria — sottolinea suor Caroline —, è nato inizialmente nella zona sunnita per contrastare il governo centrale sciita di Baghdad e poi ha cambiato rotta». Uomini crudeli, violenti, capaci di crimini efferati. «A Sinjar — racconta la religiosa —, hanno rapito tutte le donne dai 9 ai 50 anni per ridurle in schiavitù e le hanno messe in vendita al mercato, ognuna con il proprio prezzo. Ma i musulmani, anche tra i sunniti non sono tutti uguali. Un capo tribù ha riscattato le ultime dodici ragazze, le ha portate a casa sua, si è fatto raccontare la loro storia e poi è riuscito a riportarle alle loro famiglie».
L’Isis poi vorrebbe imporre a tutti gli uomini dagli 11 ai 30 anni di unirsi alla lotta jihadista, «ma non tutti ci stanno, c’è un movimento clandestino di resistenza che organizza attentati, segue i rapitori delle donne e li uccide, ed è un movimento sunnita», sostiene suor Caroline. In altri casi, però, non è difficile fare presa sulla popolazione che «dopo trentacinque anni di dittatura, senza libertà e senza possibilità di comunicazioni, non era preparata alla democrazia. La mentalità della gente è diversa da quella americana o europea, l’‘importazione’ della democrazia con l’intervento occidentale è fallita. E tra alcuni iracheni la nostalgia per Saddam si avverte», dice la religiosa. Per contrastare l’Isis anche oggi si ipotizza un intervento militare, la Turchia pare pronta a inviare truppe via terra. Suor Caroline non ha risposte: «Sì — dice —, i curdi della Turchia vorrebbero aiutare i curdi iracheni. Ma il governo di Bagdad non vuole nessuno nel suo territorio. Il Kuwait, invece, dopo essere stato minacciato dal Califfato ha chiesto l’aiuto degli Stati Uniti, gli americani sono lì». Il pensiero va alle guerre del Golfo, che a loro modo furono uno spartiacque nei rapporti tra l’Occidente e l’Iraq. «Saddam era laico, lo è rimasto fino alla fine — ricorda —, però dopo il 2000 sono cambiati i programmi scolastici. Io ho studiato la storia europea, chi è venuto dopo ha potuto studiare solo l’Islam».
Oggi, e non solo nelle zone conquistate dal Califfato, essere cristiani in Iraq è un rischio quotidiano. La famiglia di suor Caroline — padre ingegnere, mamma insegnante — vive a Baghdad. Una sua sorella è rimasta coinvolta in un attentato con il marito: lui è morto, lei ne ha avuto il volto devastato. Un’altra sorella e la cognata sono catechiste, una nipote canta nel coro della chiesa anche se ormai l’esercito iracheno non difende più le chiese e sono sospese tutte le attività tranne la messa: «Loro sono più forti di me — dice suor Caroline —, io ho paura per loro, ma mio padre mi dice sempre: ‘vado nella Casa di Dio’ e so che mia nipote prova una felicità grandissima quando canta in chiesa. Spesso, dopo ogni telefonata, piango, loro non hanno paura e io sì, tanta».
L’Angelicum ha sede a Santa Sabina, all’Aventino. Dal vicino giardino degli Aranci, Roma offre di sé un panorama struggente. Ma il desiderio di suor Caroline è di tornare in Iraq. Rinuncerebbe anche a finire gli studi, ma la sua superiora per ora le ha negato il permesso: «Almeno tu hai un letto», le ha detto, ricordandole che le sue consorelle in Kurdistan dormono tra i banchi di una scuola e al mattino devono fare spazio ai ragazzini. «La mia comunità è là — però suor Caroline — è là che voglio tornare».