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4 settembre 2014

Mons. Warduni: Alla sofferenza c'è un limite. Perchè l'Occidente non lo capisce?

By Baghdadhope*

Mons. Shleimun Warduni, vicario patriarcale caldeo di Baghdad è venuto in Italia per partecipare al Meeting di Rimini, ha visitato parrocchie dove lo hanno ascoltato fedeli ed amici decennali ed a tutti ha detto le stesse cose: "Fermate lo Stato Islamico o noi cristiani spariremo dall'Iraq" aggiungendo "fermateli o anche voi in Occidente ne sarete vittime."
Baghdadhope lo ha sentito alla vigilia del suo ritorno in Iraq.
Monsignore, in questi giorni ha avuto molti incontri e le sue parole pronunciate a Rimini hanno avuto vasta eco sui media. Dal punto di vista pratico, e viste le aspettative della sua gente che guarda all'Occidente, ed all'Italia in modo particolare, come centro del potere cristiano, che cosa riporta in patria?
"A parte la gratitudine per tutta la gente che ha partecipato materialmente e con la preghiera alle tribolazioni della comunità cristiana irachena direi che porto a casa, purtroppo, la mancanza di speranza per una risoluzione del problema. La maggioranza delle persone, ma soprattutto i governi, dimenticano presto le tragedie dato che intervengono gli interessi e gli egoismi legati al profitto della vendita di armi o di quella del petrolio." 
Della situazione che stanno vivendo i cristiuani e le altre minoranze religiose in Iraq Lei ha già ampiamente parlato ma il tempo passa. Come sarà l'immediato futuro?
"Tragico se nulla cambierà. Tra non molto arriverà l'inverno che nel Kurdistan può essere anche molto rigido e c'è ancora gente che dorme per strada, i bambini dovranno andare a scuola ma le scuole sono piene di profughi. Più passa il tempo più la speranza si affievolisce."

La sua richiesta di far cessare il traffico d'armi e di mettere da parte gli interessi economici per guardare alla salvezza dell'Uomo non è nuova ma in tutti questi anni non ha avuto risposte. Ora che la situazione è tragicamente peggiorata ha una proposta pratica da fare?

"Si, che intervenga l'ONU con i Caschi Blu a proteggere le minoranze in Iraq, la parte più debole del paese. Un intervento di tal genere permetterebbe ai profughi di tornare alle proprie case e darebbe, soprattutto, un senso di speranza. Se non è l'ONU ad intervenire in queste situazioni allora dobbiamo chiederci: a cosa ed a chi serve l'ONU?"

Monsignore, come pensa sia possibile un tale intervento? Cosa dovrebbero fare i Caschi Blu, rinchiudere le minoranze nei loro villaggi per proteggerli? Non si correrebbe il rischio di isolarli e renderli quindi ancora più vulnerabili nel caso le truppe ONU lasciassero un giorno il paese?

"Non è nelle mie competenze pensare e decidere quale dovrebbe essere la strategia di intervento, magari i Caschi Blu potrebbero gestire i check point per assicurarsi che nelle città e nei villaggi non entrino armi o non ci siano incursioni armate, potrebbero controllare i confini del paese. Come fare deve deciderlo chi ha l'esperienza, non noi che dobbiamo ora gestire un'emergenza catastrofica."

Lei pensa che i governi curdo ed iracheno potrebbero dirsi d'accordo con una tale presenza ONU all'interno del paese?

"Io penso, spero di sì, forse non è la soluzione migliore ma ora, mi creda, valutare le opzioni su lungo termine è un lusso che non ci possiamo permettere, sarebbe un modo per dare fiducia a tutte quelle persone, e non parlo solo dei cristiani, che in questi ultimi due mesi hanno provato cosa sia l'inferno in terra. Cosa devono fare per meritare una vita normale? Qual'è il limite della sofferenza che queste persone devono oltrepassare perchè il mondo occidentale decida di aiutarle? Voi non lo sapete, non lo immaginate, ma per noi, quel limite è già stato superato."