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15 maggio 2014

I parenti dell'Arcivescovo martire Rahho scrivono al Papa alla vigilia del suo pellegrinaggio in Terra Santa


« Santità, le vostre lacrime sulla memoria dei martiri cristiani, di cui Lei ha parlato qualche giorno fa nella messa mattutina a Santa Marta, ci danno come figli della Chiesa cattolica anche la forza di sopportare le difficoltà e andare verso gli altri con fede e amore per tutti. Come ha detto il Signore, amate i vostri nemici ». Così scrive da Amman il dottor Ghazi Ibrahim Rahho in una lettera inviata a Papa Francesco a nome della famiglia di Sua Ecc. Boulos Faraj Rahho, l'Arcivescovo caldeo di Mosul rapito e ucciso nel 2008 dopo 12 giorni di sevizie.
Nella lettera, pervenuta al'Agenzia Fides, i parenti dell'Arcivescovo iracheno si rivolgono al Papa in vista della sua imminente visita in Giordania, ringraziandolo per le sue illuminanti parole che esprimono lo sguardo proprio della fede cristiana sulle vicende di martirio e persecuzione: «L'Arcivescovo Rahho» si legge nella missiva « ha dato testimonianza delle parole del Signore, nonostante le sofferenze subite». I parenti dell'Arcivescovo raccontano di aver dovuto lasciare l’Iraq dopo il suo assassinio, trovando rifugio in Giordania, che viene definita come «il Paese della convivenza tra cristiani e musulmani». Esprimono anche l'auspicio che l'Arcivescovo Rahho venga un giorno annoverato «tra i Santi martiri per la Parola di Dio». «Malgrado il nostro esodo dall'Iraq» sottolinea il dottor Ghazi Rahho a nome dei suoi parenti «noi rimarremo comunque in Oriente, che è la nostra Patria. Rimarremo qui nonostante i sacrifici e le realtà che ci opprimono, perché sentiamo che il Signore ci accompagna e vediamo che i santi si rallegrano quando sopportano tutto nel nome del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo».