Najaf. Una fonte ufficiale anonima da Najaf citata da Al Sumaria ha riferito di trattative tra alcuni rappresentanti dei manifestanti ed i membri del consiglio cittadino che avrebbero promesso di ascoltare le richieste dei cittadini e di soddisfarle.
“Baghdad ha perduto la sua bellezza e non ne è rimasto che il nome.
Rispetto a ciò che essa era un tempo, prima che gli eventi la colpissero e gli occhi delle calamità si rivolgessero a lei, essa non è più che una traccia annullata, o una sembianza di emergente fantasma.”
Ibn Battuta
Pagine
25 febbraio 2011
Giornata della rabbia in Iraq. Aggiornamenti
Najaf. Una fonte ufficiale anonima da Najaf citata da Al Sumaria ha riferito di trattative tra alcuni rappresentanti dei manifestanti ed i membri del consiglio cittadino che avrebbero promesso di ascoltare le richieste dei cittadini e di soddisfarle.
Morti e feriti in Iraq. Si dimette il governatore di Bassora.
Iniziano ad arrivare le notizie della manifestazione indetta per oggi alle 12.30 a piazza Tahrir a Baghdad.
Ad Erbil il governatore Nawzad Hadi ha affermato che non ci si sarà nessuna manifestazione. Notizia confermata anche da fonti di Baghdadhope da Erbil alle 14.30 ora irachena dove la vita sta scorrendo normalmente anche se da ieri sono chiusi gli accessi stradali che portano ad Erbil da Mousl e Kirkuk.
Benedetto XVI: Ricevuto in udienza il presidenza curdo Masoud Barzani
Benedetto XVI ha ricevuto ieri in udienza il presidente del Governo Regionale Kurdo (Krg), Masoud Barzani, con il quale ha discusso della situazione dei cristiani in Iraq e nel Kurdistan. A riferire la notizia è lo stesso Krg. Barzani, nel corso dell’incontro, ha presentato al Pontefice le sfide che i cristiani devono affrontare ed ha ribadito tutto il suo impegno, e quello del suo Governo, per sostenerli davanti alla violenza in Iraq.
24 febbraio 2011
Il venerdì della rabbia in Iraq. Il governo decide: nonostante sia festa tutti al lavoro.
Quella di stanotte sarà una notte calma a Baghdad? E cosa succederà quando i manifestanti si riuniranno a piazza Tahrir domani? E nel prossimo futuro? Quali saranno le conseguenze della manifestazione che nata come forma di protesta per le inaccettabili condizioni di vita dei cittadini da anni a questa parte ha finito per assumere una valenza politica importante? L'Iraq finirà come l'Egitto, la Tunisia o peggio ancora la Libia, dove il regime ha addirittura bombardato le strade affollate di manifestanti?
Le sort des chrétiens en Irak - Problèmes et perspectives
Salle Clemenceau
Palais du Luxembourg
15 ter rue de Vaugirard, 75006 Paris
Le sort des chrétiens en Irak
La communauté chrétienne de Mésopotamie est l’une des plus anciennes du Proche Orient. Elle a notamment joué un rôle primordial dans la transmission de la philosophie grecque au monde musulman et à travers celui-ci à l’Occident médiéval.
Aux XIIè – XIIIè siècle, sa branche nestorienne, dont le patriarcat était établi au Kurdistan, a eu un rayonnement s’étendant jusqu’aux contrées lointaines comme la Chine et la Birmanie.
Cette communauté glorieuse, dont l’apport à la culture et à la civilisation de Mésopotamie a été considérable, est victime des agressions meurtrières dans plusieurs provinces de l’Irak, notamment à Mossoul et à Bagdad. Les djihadistes qui prétendent faire de l’Irak un califat arabe sunnite pratiquent une politique d’épuration religieuse, s’en prenant par des attentats aveugles aux chrétiens, aux yézidis et aux chiites.
Même si la sécurisation progressive du pays réduit la capacité de nuisance des groupes djihadistes alliés aux résidus du régime de Saddam Hussein, les chrétiens d’Irak sont inquiets.
Nombre d’entre eux prennent le chemin de l’exil vers les pays voisins ou vers l’Occident . Des dizaines de milliers sont venus s’installer au Kurdistan qui jouit d’une situation sécurisée et paisible.
L’exil amorcé dans les années 1990 et qui s’est amplifié ces dernières années est-il une solution? Ne risquent-ils pas de devenir sans retour et de conduire progressivement à la fin de la présence chrétienne en Mésopotamie avec des conséquences culturelles incalculables?
En attendant les jours meilleurs ces chrétiens peuvent-ils venir rejoindre leurs frères au Kurdistan irakien comme les y invite le Gouvernement régional du Kurdistan? Quels sont les problèmes qui se posent pour leur installation au Kurdistan Que peut faire le Gouvernement central d’Irak pour favoriser ce processus? Que peuvent faire la France et l’Union Européenne pour aider ces chrétiens à rester sur la terre de leurs ancêtres et y à reconstruire leur avenir?
Pour réfléchir à ces questions et à d’autres, l’Institut kurde organise une conférence exceptionnelle avec la participation de dignitaires religieux des chrétiens d’Irak et des représentants du Gouvernement du Kurdistan. La conférence vise à établir un état des lieux et à élaborer des propositions concrètes qui seront ensuite soumises au Parlement du Kurdistan, au Gouvernement de Bagdad et aux autorités européennes.
PROGRAMME
- M. Kendal NEZAN, président de l'Institut kurde de Paris
- M. Bernard CAZEAU, sénateur de la Dordogne, président du Groupe interparlementaire France-Irak
Modérateur : Ephrem Isa YOUSIF
Intervenants :
- Ephrem Isa YOUSIF, philosophe, écrivain, Rappel historique de la présence chrétienne en Irak
- L'Abbé Pascal GOLLNISCH, directeur de l'Oeuvre d'Orient, La situation des chrétiens en Orient
- Mgr Emile NONA, évêque de Mossoul, La situation des chrétiens dans la province de Mossoul
- Père Nejib MIKAËL, supérieur des Pères dominicains de Bagdad, La situation des chrétiens à Bagdad
Modérateur : Kendal NEZAN
Intervenants :
- Mgr Raban AL-QAS, évêque d'Amadia, Les Chrétiens dans la région du Kurdistan
- M. Falah MUSTAFA, ministre des relations extérieures du Gouvernement régional du Kurdistan
- Dr. Fuad HUSSEIN, directeur de Cabinet du Président du Kurdistan
- M. Olivier POUPARD, Ministère français des Affaires étrangères et européenne
Iraq: Mons. Warduni (Baghdad) "Molte buone ragioni per protestare"
"Sulla manifestazione di domani non ci sono conferme. Alcuni affermano che gli iracheni scenderanno in piazza Tahrir, la più grande di Baghdad, per chiedere lavoro, riforme, servizi e protestare contro la corruzione, altri, invece, ritengono che sia meglio attendere qualche mese le mosse del Governo. Pare che il fronte non sia così unitario, ma ci sono molte buone ragioni per protestare”. E’ quanto dichiara al SIR il vicario patriarcale caldeo di Baghdad, mons. Shlemon Warduni, in relazione alla grande manifestazione di domani che dovrebbe portare in piazza decine di migliaia di persone sulla scia delle proteste in atto in diversi Paesi dell’area mediorientale e nordafricana. E’ di oggi, poi, un appello a non manifestare del premier Nouri al Maliki. Alla manifestazione, secondo il vicario, dovrebbero “partecipare anche i cristiani che in questo modo intendono far sentire la loro voce. Da soli, infatti, non hanno nessuna speranza di essere ascoltati, non abbiamo nessuna speranza”.
Mons. Warduni non esprime giudizi politici sulle proteste, tuttavia, ribadisce con chiarezza che ci sono “gravi motivi per manifestare, per chiedere servizi maggiori, infrastrutture, lavoro, lotta alla corruzione. Gli ospedali e scuole sono al collasso, non ci sono telefoni, acqua, oggi abbiamo solo 4 ore di energia elettrica erogata. Cosa abbiamo fatto per meritare tutto ciò? Gli iracheni hanno ragione a protestare. Vivono in un Paese ricchissimo di risorse ma reso poverissimo. A fronte di questa grave situazione i parlamentari hanno dei ricchi stipendi. Un vero affronto vista la situazione tragica in cui versa il popolo. Basta chiedere agli occupanti americani come sta l’Iraq. Speriamo solo in un miracolo ormai”. A conferma delle parole del vescovo caldeo sono le retribuzioni dei parlamentari iracheni diffuse da molti media: poco meno di 23 mila dollari al mese. Per fare un confronto un impiegato statale percepisce circa 600 dollari al mese.
Una conferma alle parole di mons. Warduni giunge da diverse fonti giornalistiche irachene straniere, riportate dal sito Baghdahope, per le quali Hazim al-Araji, uno dei deputati sadristi del parlamento iracheno avrebbe dichiarato che la loro guida, lo sciita Moqtada Al Sadr, improvvisamente tornato a Najaf dall'Iran, pur sostenendo le richieste dei cittadini, non appoggia la manifestazione di domani ma invita piuttosto a posporre ogni forma di contestazione per sei mesi per dare il tempo al recentissimo governo di lavorare per il miglioramento della situazione economica e dei servizi mentre nel corso di un referendum informale previsto per il 28 di febbraio in tutte le sedi del movimento di Al Sadr - Kurdistan incluso - ai cittadini verrà chiesto un parere sull’azione del Governo nel campo dei servizi pubblici e se sarebbero disposti a protestare di nuovo tra sei mesi se per quella data non si fosse assistito a nessun effettivo cambiamento. Appare, pertanto, evidente il rischio che la manifestazione di domani possa connotarsi come uno scontro tra sciiti e sunniti.
Baghdad trattiene il fiato in attesa della manifestazione di domani
Intanto il governatore di Baghdad, Salah Abdul Razaq, ha dichiarato che d'ora in poi la volontà di organizzare manifestazioni pubbliche dovrà essere comunicata alle autorità municipali almeno sette giorni prima della data prevista dell'evento. Gli organizzatori dovranno specificare il percorso scelto, il numero previsto di partecipanti e lo scopo della manifestazione. Pur sottolineando il diritto dei cittadini a manifestare pacificamente e che la comunicazione alle autorità non sottintende l'approvazione o meno da parte delle stesse, Abdul Razaq ha altresì specificato però che la sua mancanza renderà la manifestazione automaticamente illegale.
Per quanto riguarda il divieto imposto dal governo iracheno alle televisioni di trasmettere in diretta le immagini della manifestazione di domani il direttore della Commissione per l'Informazione, Safaa Rabei, ha rivelato una trattativa in corso con il comando per le operazioni di sicurezza a Baghdad perchè anche se solo a qualche canale televisivo il permesso sia accordato anche se, c'è da scommetterci, anche in Iraq come già in Egitto, Tunisia e Libia, una parte enorme avranno nella diffusione delle informazioni i cellulari ed i social network.
La manifestazione di domani va nel frattempo caratterizzandosi politicamente malgrado le intenzioni iniziali di farne una libera tribuna attraverso la quale tutti i cittadini, a dispetto di appartenenza etnica, religiosa e politica, potessero esprimere il proprio malcontento.
Sant'Egidio: Mons. Casmoussa (Iraq) "Non assimilare i cristiani a crociati e americani"
“I cristiani non sopportano di essere assimilati ai Crociati del Medio Evo e agli occupanti americani di oggi. Dopo il 2003 tutti pensavano che la legge tornasse a governare l’Iraq nell’uguaglianza del diritto e dei doveri. Purtroppo non è andata così. Oggi i cristiani sono facile preda di ogni genere di vessazione”.
La denuncia è di mons. Georges Casmoussa, arcivescovo siro-cattolico di Mosul (Iraq), che oggi ha partecipato all’incontro della Comunità di Sant’Egidio, “Agenda della convivenza: cristiani e musulmani per un futuro insieme”. L’arcivescovo, che qualche anno fa ha vissuto sulla sua pelle il dramma del rapimento, ha ricordato alcune delle restrizioni subite dalla minoranza cristiana: “minori di genitori passati all’Islam sono obbligati alla conversione, terreni dei cristiani dati a musulmani, chiusura di negozi dei cristiani, restrizioni croniche che alimentano l’esasperazione e la frustrazione della minoranza cristiana”. Nonostante ciò, ha aggiunto, “il dialogo non deve fermarsi. Cristiani e musulmani sono chiamati a coabitare e riprendere il cammino per ricostruire il Paese. Abbiamo molti amici musulmani risoluti a creare un Iraq moderno, pluralista, rispettoso del diritto”. “Spingere i cristiani fuori dall’Iraq – ha concluso – è un grave errore non solo per i cristiani ma soprattutto per i musulmani e per il Paese”.
Sant'Egidio: Mons. Audo (Siria) “Dare ia cristiani orientali motivi di fiducia”
"Abbiamo bisogno di musulmani con capacità di governo che sappiano dare ai cristiani arabi motivi di fiducia in questa fase di cambiamento”. Lo ha detto il vescovo caldeo di Aleppo (Siria), mons. Antoine Audo, intervenuto, questa mattina, al colloquio promosso a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio, “Agenda della convivenza: cristiani e musulmani per un futuro insieme”.
“Dai cristiani – ha affermato il vescovo ricordando il recente Sinodo per il Medio Oriente – giunge un messaggio per i musulmani. Uniti nell’amore di Dio e del prossimo possiamo edificare la nostra società. Vogliamo offrire un modello di convivialità sempre più necessario dopo gli attacchi alle chiese di Baghdad e di Alessandria d’Egitto e davanti alle proteste di piazza in questi giorni che chiedono soluzioni di giustizia, diritto e pace”.
Mons. Audo ha espresso “la preoccupazione dei cristiani orientali di perdere la loro identità di cittadini come sta accadendo in Iraq dove tutti sognano un Paese laico, in cui tutti sono uguali e godono degli stessi diritti. Invece accade che i cristiani sono costretti a fuggire e ad emigrare. Chiediamo una politica che riconosca ai cristiani orientali piena cittadinanza. L’Europa può diventare un modello di unità per il mondo arabo e per la sua ricerca di una laicità positiva che dia spazio all’esperienza religiosa vissuta dal cittadino in piena libertà nello spazio pubblico."
23 febbraio 2011
Il governo iracheno afferma di voler proteggere i manifestanti da possibili attacchi da parte dei sunniti.
La manifestazione di protesta che venerdì 25 dovrebbe riunire in Piazza Tahrir a Baghdad i cittadini iracheni che oramai da settimane manifestano non tanto a favore di riforme politiche sostanziali quanto per protestare per la mancanza di servizi basilari sta cambiando il volto della città.
L'intera area che circonda la piazza infatti è stata quasi interamente sigillata da un cordone di sicurezza che secondo il governo dovrebbe impedire pericolose infiltrazioni terroristiche tra i manifestanti, 15 dei quali sono stati arrestati stamani dai soldati che procedono con la perquisizione di veicoli e persone.
Per il giorno della manifestazione è stato annunciato il blocco totale delle auto nell'area, il rafforzamento della protezione degli edifici governativi e della Zona Verde, ed il divieto alle televisioni di trasmettere i filmati degli eventi in diretta in un tentativo neanche troppo celato di imbavagliare l'informazione irachena che proprio oggi ha denunciato un grave episodio di intimidazione.
Ziad Alajili, direttore dell'Osservatorio per la libertà di stampa, ha infatti riferito dell'irruzione nella sede del centralissimo quartiere di Karrada di uomini appartenenti alle forze di sicurezza statali che avrebbero sottratto degli importanti documenti, materiale d'archivio cartaceo e digitale e vari computer.
Irruzione e furto che sono stati condannati anche da Ibrahim Alsarraj, presidente dell' Associazione irachena per la difesa dei diritti dei giornalisti.
Con l'approssimarsi della data della manifestazione si alzano anche i toni dello scontro politico. Ad essere accusati di progettare attentati nei confronti dei manifestanti sono, per bocca del responsabile delle operazioni di sicurezza a Baghdad, il maggior generale Qassim Atta, sia esponenti del disciolto partito Baath sia della Association of Muslim Scholars (sunnita) nei confronti del cui segretario generale, Harith Sulaiman al Dhari, e di altri alti esponenti, come riferisce l'agenzia kuwaitiana KUNA, il ministero degli interni starebbe preparando dei mandati di arresto.
Come riferito da Radiovaticana le proteste che stanno infiammando molti paesi del nord africa e del medio oriente sono state commentate anche dal Consiglio dei patriarchi e dei vescovi cattolici conclusosi lo scorso 19 febbraio nella sede patriarcale maronita di Bkerke in Libano nel cui documento finale si legge l'invito alla classe politica a ricordare il proprio dovere di assicurare ai cittadini lo sviluppo sociale ed economico e la sicurezza, e l'avvertimento che il non rispetto di tale dovere è causa di sfiducia da parte dei cittadini e di perdità di legittimità del ruolo dei politici.
Il documento finale non poteva però mancare di denunciare anche la situazione delle comunità cristiane in Medio Oriente con un appello alle autorità islamiche a dire la verità sui movimenti fondamentalisti che attaccano i cristiani a causa della loro fede.
Alla riunione consiliare iniziata il 14 hanno partecipato il patriarca maronita Mar Nasrallah Boutrous Sfeir, il patriarca della chiesa melkita Gregorio III Lahham, il patriarca della chiesa sira Mar Ignatius Joseph Younan III, il patriarca della chiesa armena Nerses Bedros XIX Tarmouni, Mons. Gabriele Giordano Caccia, nunzio apostolico in Libano ed altri vescovi cattolici della regione.
22 febbraio 2011
I Vescovi slovacchi contro la persecuzione dei cristiani in Oriente
di Mariana Šarpatakyová
La Conferenza Episcopale Slovacca è assolutamente contraria a qualsiasi tipo di persecuzione contro i cristiani nel Vicino e nel Medio Oriente, afferma una dichiarazione dei Vescovi slovacchi di venerdì 18 febbraio.
“Constatiamo con grande preoccupazione che i cristiani sono esposti alla violenza, soprattutto nei Paesi del Vicino e del Medio Oriente. Vogliamo esprimere la nostra vicinanza ai nostri fratelli e alle nostre sorelle che affrontano quotidianamente ogni tipo di ingiustizia per il fatto di professare la loro fede”, dichiarano i Vescovi.
“Siamo consapevoli del fatto che in qualsiasi luogo del mondo è importante difendere la libertà religiosa e la libertà di coscienza”, aggiungono.
La Conferenza Episcopale Slovacca spera che l'Unione Europea si attivi: “Il nostro grande desiderio è che i Ministri degli Esteri degli Stati membri dell'Unione Europea”, “in base alla raccomandazione del Consiglio d'Europa n. 1957/2011 articolo 11, adottino una dichiarazione chiara in cui l'Unione Europea dichiari il suo sostegno a una protezione attiva dei cristiani perseguitati, soprattutto in Iraq”, confessano i presuli.
“Siamo convinti che sarebbe un frutto adeguato del continuo dialogo tra l'Unione Europea e le Chiese, basato sull'articolo 11 del Trattato di Lisbona”, conclude il documento.
Democrazia e islam Vescovo d'Iraq: MO, rischio islamismo
(testo non rivisto dall'autore, raccolto da Lorenzo Fazzini)
di Louis Sako (Arcivescovo caldeo di Kirkuk, Iraq)
Da tempo in Medio oriente esistono regimi teocratici di marca islamica: religione e politica, infatti, nell’islam vanno a braccetto. Alla base della legge, dell’economia, della società e della politica c’è la religione islamica. Allo stesso tempo vige un sistema dittatoriale dal punto di vista politico. Nel contesto islamico c’è sempre bisogno di un leader che deve governare tutti i gruppi contrastanti e il mosaico etnico-religioso di ciascun Paese. Comunque in queste diverse rivolte che vedo sorgere nel Medio oriente si scorge un’esigenza di democrazia. Ma l’affermazione della democrazia, ricordiamocelo, resta qualcosa che non deve essere prefabbricato e nemmeno che può essere imposto.
Secondo me queste rivolte popolari in Medio oriente non sono innocenti. Sono causate dalla volontà di cambiare lo status quo della regione. Dietro ci sono delle forze esterne che intendono indebolire, ad esempio, l’Egitto che rappresenta una forza importante nel mondo arabo. Eppure il cambiamento non deve essere fatto in modo teorico e calato dall’alto, bensì preparato perché il rischio di disordini è forte. Nel caso dell’Egitto si poteva lasciare Mubarak al suo posto fino a settembre e preparare una transizione tranquilla del potere, formando la gente al voto, coinvolgendo i media, la scuola, le moschee.
Penso che dietro quanto successo in Egitto vi siano Usa e Israele, visto che Obama vuole un “nuovo Medio oriente” ma senza arrivare all’uso della guerra, visto che non ha funzionato l’esempio iracheno. Gli Usa vogliono anche cambiare l’assetto del governo teocratico islamico in Iran facendo un gioco di sponda con la base musulmana, che in maggioranza è contraria al fondamentalismo in quanto deformazione della religione islamica. È chiaro che le rivolte sono finanziate dall’estero: in Egitto piazza Tahir è stata occupata per 3 settimane da centinaia di migliaia di persone.
Chi paga questa gente che non va al lavoro? Tre settimane senza lavorare, come va avanti l’economia? Risulta evidente che vi sono spinte esterne, di carattere regionale: non è un caso che Khamenei ha parlato di «risveglio islamico».
Obama ha dichiarato che di fronte ai fatti egiziani «siamo spettatori della storia». Ma di quale storia sta parlando? Quella del caos, dopo aver visto quanto gli Usa hanno fatto in Iraq e Afghanistan? I progetti americani sono attraenti, i loro slogan sono belli, ma come vengono applicati? Bisogna vedere il metodo. Che garanzie ci saranno adesso per l’Egitto dopo l’uscita di Mubarak? Anche rispetto all’Iraq vi sarebbe stato un diverso modo di affrontare le cose dopo la fine della guerra. Vi è la strada dell’educazione all’educazione, un cammino che prende tempo ma è la più solida e sicura.
L’Occidente deve appoggiare l’islam moderato. Ci sono intellettuali e scrittori musulmani moderati, come i libanesi Mohammed al Sammak e Raduan Asseyd. Queste voci vanno sostenute.
In realtà, di questa situazione si possono avvantaggiare i fondamentalisti islamici, come i Fratelli musulmani. In pratica, hanno scopi diversi dagli Stati Uniti ma il risultato è identico: suscitare il cambiamento dello status quo in Medio oriente. Il fondamentalismo ha paura che i paesi islamici perdano la loro identità religiosa: vedono l’Occidente come uno spazio vuoto dal punto di vista religioso e privo di valori spirituali. Quello che osservano dalla televisione è un mondo senza moralità, dove la religione non mantiene più la sua importanza. Se la modernità arriverà in Medio oriente, l’islam crollerà perché, a differenza del cristianesimo, non saprà capace di aggiornarsi.
Non so come sarà la situazione in Egitto, e più in generale in Medio oriente, rispetto al futuro. Sono veramente preoccupato. L’Egitto è considerato un Paese-faro del mondo islamico, dove vi sono intellettuali, artisti, uomini di cultura che fanno da guida alla umma. C’è il pericolo che diventi una società integralista come l’Iran. Adesso stiamo a vedere come si pronuncerà l’università di Al Azhar.
L’Occidente non deve fare l’errore di guardare ai fatti mediorientali dall’esterno, bisogna comprenderli dall’interno, dalla mentalità della gente di lì. Che, ad esempio, sa come i propri governi sono corrotti e sostenuti dall’Occidente per avere il petrolio. Spesso in Occidente vige un’analisi superficiale del Medio oriente.
I cristiani del Medio oriente hanno paura di fronte a questi cambiamenti. Sono in attesa di questa nuova fase con una speranza fragile e delicata. Hanno molto sofferto, per loro la democrazia è una bella soluzione ma vogliono capire il come e il quando della sua applicazione piena. Se non vedono soluzioni concrete e positive, se ne vanno dai loro paesi. Il vero nodo, di fronte ai vari cambiamenti in Medio oriente, è la sicurezza: come è possibile vivere, soprattutto in quanto minoranza, quando la sicurezza non esiste? In Egitto oggi i cristiani sono cittadini di serie B, non possono nemmeno costruire un gabinetto senza il permesso dello Stato. E chi cambierà la Costituzione egiziana dopo l’uscita di scena di Mubarak? Verranno dati tutti i diritti solo ai musulmani e così si sancirà che manca libertà di religione, di culto e coscienza. Solo gli islamici hanno il diritto, tutti gli altri non hanno il permesso di predicare. Insomma, davanti a noi in Medio oriente c’è tanta nebbia.
21 febbraio 2011
Proteste in Iraq. Il governo assicura protezione e parla di "infiltrazioni esterne" ma la pressione sale in attesa della manifestazione di venerdì.
Il parlamento iracheno ha approvato il bilancio relativo all'anno in corso per la cifra di 82.6 miliardi di dollari una parte dei quali secondo il suo portavoce, Osama Al Nujaifi, sarà destinato al miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini con investimenti nei settori dell'istruzione e dell'agricoltura, del sistema di distribuzione di generi di prima necessità agli strati bisognosi della popolazione che ora ammontano a soli 12 dollari mensili pro capite in farina, olio, riso e zucchero, a maggiori trasferimenti di risorse ai diversi governatorati, alla costruzione di nuove abitazioni ed all'aumento di produzione e distribuzione dell'energia elettrica.
Queste misure promesse dovrebbero andare di pari passo a quelle relative ai tagli degli stipendi delle più alte cariche dello stato e dei parlamentari, ed a quella che prevederebbe il ritiro della fiducia ai ministri che non portano a compimento almeno il 75% dei compiti loro affidati.
Subito dopo l'approvazione del bilancio il parlamento ha chiuso i battenti per una settimana per permettere ai suoi membri di recarsi nelle proprie zone di origine per ascoltare le proteste del popolo e cercare le soluzioni ai problemi a fianco delle organizzazioni non governative ed alle istituzioni locali.
Il governo ha inoltre autorizzato il segretariato generale del consiglio dei ministri a preparare una proposta di legge che sospenda la decisione del dicembre 2010 circa le tasse sulle importazioni che sarebbe dovuta entrare in vigore il prossimo 6 marzo e che risale ancora alle decisioni prese nel 2003 dalla Coalition Provitional Authority americana che nel giugno 2003 la sospese completamente e nel settembre dello stesso anno la portò al 5% per tutti i beni tranne quelli alimentari, i libri, i farmaci, il vestiario ed i prodotti relativi all'assistenza umanitaria nella ricostruzione del paese.
La decisione di rivedere i tassi imposti dalla CPA se da una parte è stata spiegata dal governo iracheno con la necessità di proteggere ed incentivare la produzione nazionale d'altra parte però sarebbe stata destinata, come è ovvio, a fare lievitare i prezzi ed a causare quindi ulteriori disagi alla popolazione proprio la prima volta in cui tutti i settori della società, indipendentemente da etnia, religione o appartenenza politica sono decisi a lottare insieme per i propri diritti.
Sul fronte delle proteste intanto continua a salire la tensione nella città di Sulemaniya, nella regione autonoma del Kurdistan, dove la folla che contestava il governo del Kurdistan Democratic Party di Masoud Barzani è stata respinta dalle forze di sicurezza con il tragico risultato di decine di feriti tra manifestanti e forze dell'ordine e la morte di un ragazzo di soli 17 anni.
Sempre a Sulemaniya nella notte di domenica una cinquantina di uomini armati e vestiti con uniformi militari hanno attaccato la sede delle neonata televisione NRT ferendo una gurdia e dando fuoco all'edificio. La NRT aveva iniziato le sue trasmissioni solo il 17 febbraio trasmettendo le immagini delle proteste degli ultimi giorni e della loro repressione.
Scontri si sono avuti anche nella cittadina di Halabja, a sud est di Sulemaniya dove i dimostranti hanno lanciato pietre contro la sede del Kurdistan Democratic Party e sono stati allontananti dalle forze di sicurezza che hanno sparato in aria.
Domani, secondo fonti curde di Baghdadhope a Kirkuk, ci sarà una manifestazione in città per la libertà di stampa e di espressione che riunirà cittadini ed appartenenti ad NGO locali nell'area dell'antica cittadella.
A Baghdad, nel frattempo, un gruppo di dimostranti a favore delle riforme è stato attaccato ieri sera dopo l'inizio del coprifuoco notturno da un gruppo di uomini armati di bastoni e coltelli. Secondo quanto riferito da alcuni testimoni alla Deutsche Welle ed al quotidiano iracheno Al Aalem, i dimostranti, molti dei quali provenienti da diversi governatorati ed in piazza per chiedere che il governo li ricompensi dei danni subiti negli anni passati, si erano accampati per passare la notte a Piazza Tahrir in un presidio che dura ormai da cinque giorni quando gli assalitori sarebbero arrivati a bordo di veicoli appartenenti al ministero degli interni (secondo altri testimoni a bordo di potenti auto tedesche) mentre i soldati dipendenti dal ministero della difesa a guardia della piazza se ne erano allontanati qualche minuto prima. Sempre secondo alcuni testimoni il bilancio dell'attacco sarebbe di un morto ed otto feriti tra i dimostranti.
In previsione della manifestazione indetta per le 12.30 di venerdì 25 febbraio intanto il primo ministro iracheno, Nuri al Maliki, ha messo in guardia i dimostranti su possibili attacchi che potrebbero essere compiuti da terroristi travestiti da soldati o da forza di polizia, un'eventualità che, sebbene non escludibile, è rigettata da alcuni attivisti che la considerano solo una tattica per impaurire i dimostranti e diminuirne così il numero, mentre il comandante delle operazioni di Baghdad, maggior generale Qassim Atta, ha dichiarato che le forze di sicurezza proteggeranno i dimostranti da possibili infiltrazioni invitandoli però la tempo stesso a non coinvolgere nelle proteste gli edifici governativi e le banche.
Che la tensione stia salendo nel paese è dimostrato non solo dai sempre più frequenti assembramenti di dimostranti a Baghdad e nel resto del paese ma anche dai provvedimenti che le istituzioni stanno prendendo in vista del 25 febbraio. Nel governatorato di Babil, nel centro dell'Iraq, ad esempio, i documenti sensibili riguardo l'amministrazione sarebbero stati trasferiti in luoghi sicuri in previsioni di possibili irruzioni dei manifestanti negli edifici pubblici.
CCEE/KEK: Lettera chiese d'Europa alla Ashton per i cristiani perseguitati
Le Chiese cristiane d’Europa, delle varie tradizioni cristiane (cattolica, ortodosse, protestanti, anglicane e vecchio-cattoliche) hanno inviato una lettera alla Baronessa Catherine Ashton, Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza dell’Unione Europea, chiedendole che “la questione della difesa della libertà religiosa e dei cristiani nel mondo venga inserita nell’ordine del giorno dell’incontro dei Ministri degli Esteri dell'UE, in calendario per il 21 febbraio”.
La lettera è stata resa nota oggi in un comunicato finale congiunto diffuso dal Comitato Congiunto del Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali europee) e Kek (Conferenza delle Chiese d’Europa) al termine del loro incontro annuale che si è svolto a Belgrado.
All’incontro i membri del Comitato hanno parlato anche di libertà religiosa affermando che essa “rappresenta un diritto e un valore che ogni società democratica dovrebbe essere pronta a difendere e a promuovere”. In questo spirito, i membri del Comitato Congiunto hanno deciso di redigere e inviare una lettera alla Baronessa Catherine Ashton nella quale hanno anche chiesto che “venga offerto un chiaro segnale riguardante le decisioni sulle politiche comuni che dimostri l'impegno dell'Unione Europea nella difesa della libertà religiosa per i fedeli di tutte le religioni in tutto il mondo”.
“Il riferimento alla persecuzione dei cristiani, la cui urgenza appare evidente davanti ai recenti avvenimenti (in particolare nel Medio Oriente e in Iraq) – scrivono i responsabili delle Chiese cristiane in Europa - non può essere dimenticato o seppellito da politiche astratte e inconcludenti. I paesi occidentali che hanno speciali rapporti con aree in cui è attestata la persecuzione dovrebbero dimostrare il loro impegno concreto nel difendere coloro che sono perseguitati a motivo della loro fede, di qualunque fede si tratti”.
Dedicato al tema del contributo dei cristiani all’identità nazionale e all’integrazione europea, all’incontro – si legge nel comunicato – “è emersa la convinzione che ogni essere umano è dotato di una dignità non negoziabile. Tale dignità gli deriva dall'essere stato creato a immagine di Dio, che è essa stessa una comunione di Persone”. “Pertanto, la persona umana non è limitata alla dimensione individuale ma partecipa anche intrinsecamente della dimensione sociale”. Per questo motivo – affermano i rappresentanti delle Chiese cristiane -"la libertà religiosa non può significare relegare la dimensione religiosa alla vita privata”.
CCEE/KEK: Letter from European churches to Ms. Ashton as to persecuted Christians
The Christian Churches of Europe of the different Christian traditions (Catholic, Orthodox, Protestant, Anglican and Old Catholic ones) sent a letter to Baroness Catherine Ashton, the High Representative for Foreign Affairs and Security policy of the European Union, asking her “to include the issue of the defence of religious freedom and Christians across the world into the agenda of the meeting of the Ministers of Foreign Affairs of the EU, due to take place on February 21st”.
The letter was disclosed today in a joint final release of the Joint Committee of Ccee (Council of European Bishops Conferences) and Kek (Conference of European Churches), at the end of their yearly meeting in Belgrade. During the meeting, the Committee members also spoke of religious freedom, saying that it “is a right and a value that every democratic society should be ready to defend and promote”.
In this spirit, the Joint Committee members decided to draw up and send a letter to Baroness Catherine Ashton, in which they also asked her to “give a clear sign about decisions on common policies that will prove the European Union’s commitment to defend religious freedom for the devotees of all religions all over the world”.
“Such reference to the persecution of Christians, the urgency of which is obvious in the face of the recent events (especially in the Middle East and Iraq) – the leaders of the Christian churches in Europe write –, cannot be forgotten or buried under abstract, ineffectual policies. The Western countries that have special relations with areas in which such persecution is obvious should prove to be effectively committed to defend those who are persecuted because of their faith, no matter what faith it is”.
The meeting, which was focussed on the Christians’ contribution to national identity and European integration – the release states –, “brought to the fore the belief that every human being is endowed with a non-negotiable dignity. Such dignity comes from having been created in the resemblance of God, which is itself a communion of People”. “Therefore, a human being is not reduced to the individual dimension but intrinsically partakes of the social dimension as well”. Because of this – the leaders of the Christian churches state –, "religious freedom cannot mean confining the religious dimension to private life”.
Comunità di Sant'Egidio: Cristiani e musulmani per un futuro insieme
AGENDA DELLA CONVIVENZA
CRISTIANI E MUSULMANI PER UN FUTURO INSIEME
Sala della Pace della Comunità di Sant’Egidio
Piazza di S. Egidio, 3a - Roma
23 febbraio 2011
QUARTO COLLOQUIO DI STUDIO E RIFLESSIONE
Il Colloquio si articola in diverse tavole rotonde nelle quali rappresentanti delle due fedi si interrogheranno sui diversi ambiti su cui edificare la società del futuro: educazione, cultura, dimensione politica, dimensione religiosa, tutela dei diritti fondamentali della persona.
La Giornata prevede anche una tavola rotonda in cui giornalisti di conosciute testate occidentali e di lingua araba saranno chiamati a offrire il loro consapevole contributo all’edificazione di società della convivenza e non della contrapposizione.
PROGRAMMA
9.00 CITTADINANZA E IDENTITÀ RELIGIOSA
Presiede: Andrea Riccardi, Comunità di Sant’Egidio
Tarek Mitri, professore AUB e già Ministro della Cultura, Libano
Sayyed Jawad al Khoei, Fondazione al Khoei, Iraq
Samir Morcos, Fondazione al Mesry per la cittadinanza e il dialogo, Egitto
Antoine Audo, Vescovo di Aleppo dei Caldei
Mohammad Sammak Comitato nazionale di dialogo islamo-cristiano Libano
Muhammad Rifaa al Tahtawi Portavoce dell’Università di al Azhar Egitto
10.00 Intervento del Ministro per gli Affari Esteri Franco Frattini, Italia
11.30 LE GRANDI RADICI SPIRITUALI
Presiede: Vittorio Ianari, Comunità di Sant’Egidio
Antonios Naguib, Patriarca di Alessandria dei Copto-cattolici
Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa
Mohammed Esslimani, Teologo sunnita, Arabia Saudita
Sayyed Hani Fahs, Alto Consiglio sciita per gli affari religiosi, Libano
Paul Yazigi, Arcivescovo greco-ortodosso di Aleppo, Siria
15.00 SOLIDARIETÀ SOCIALE ED EDUCAZIONE
Presiede: Vincenzo Paglia, Vescovo di Terni-Narni-Amelia, Italia
Basile Georges Casmoussa, Arcivescovo dei Siro-cattolici, Iraq
Radwan al Sayyid, Intellettuale e analista politico, Libano
Ghaleb MoussaAbdalla Bader, Arcivescovo di Algeri
Samir Franjieh, Intellettuale e già deputato al Parlamento, Libano
Hasan Shafie, Rappresentante speciale del Grande Imam di al Azhar, Egitto
17.00 INDIRIZZO DI SALUTO
Cyril Vasil’, Segretario della Congregazione per le Chiese Orientali
17.30 CULTURA DEL CONVIVERE
Presiede: Marco Impagliazzo, Comunità di Sant’Egidio
Antonio Ferrari, “Corriere della Sera”, Italia
Mhamed Krichen, “Al Jazeera TV Channel”, Qatar
Slaheddine Jourchi, Lega tunisina dei diritti dell’uomo, Tunisia
Jörg Bremer, “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, Germania
Enric Juliana, “LaVanguardia”, Spagna
Dominique Quinio, “La Croix”, Francia
20 febbraio 2011
Proteste in Iraq. Si infiamma anche il Kurdistan mentre il governo centrale promette riforme.
Mentre la tensione in tutto l'Iraq aumenta con manifestazioni di protesta da Baghdad a Sulemaniya, da Falluja a Nassiriya, i due governi che convivono nel paese, quello centrale e quello curdo, sembrano sempre più alle strette con l'avvicinarsi del 25 febbraio e della grande manifestazione prevista in Piazza Tahrir a Baghdad.
Anche i bambini in Iraq dicono basta.
A scendere in piazza a Baghdad per protestare contro la mancanza di servizi e la dilagante corruzione sono state ieri le vedove e gli orfani delle violenze degli ultimi anni, ha dichiarato uno dei responsabili della manifestazione come riportato dal quotidiano degli Emirati Arabi Al Khaleej.
Al corteo che si è svolto nel quartiere sunnita di Yarmouk hanno partecipato 18 associazioni umanitarie, irachene o sostenute dall'estero.
I partecipanti, tra cui molti bambini che portavano cartelli con cui hanno reclamato il loro "diritto a vivere come tutti i bambini del mondo", hanno chiesto al governo maggiore attenzione verso la situazione di alcuni degli strati più deboli della società irachena, vedove ed orfani appunto.
Le Nazioni Unite hanno stimato nel 2008 la presenza in Iraq di circa 1.140.000 orfani e di circa 3 milioni di donne, molte delle quali vedove, che sono l'unica fonte di sostegno per la propria famiglia, (rispettivamente 336.000 e 871.000 nella sola Baghdad). Secondo le statistiche del Ministero della Pianificazione riferite dalla consigliera del presidente iracheno per gli affari femminili, Selma Jabu, le vedove irachene sarebbero tra le 900.000 ed il milione.
Intanto tra i vari gruppi che si stanno preparando alla manifestazione del 25 febbraio prevista in Piazza Tahrir si è unito quello del "Masiarat Kafa" che si potrebbe tradurre come la "Marcia del basta!".
Di giorno in giorno quindi anche a Baghdad le proteste aumentano. E coinvolgono tutta la popolazione. Ancora da Al Khaleej, infatti, si apprende che la manifestazione nel quartiere sunnita di Yarmouk è stata preceduta l'altro ieri da una nel quartiere sciita di Khadimiya che ha avuto come scopo il chiedere la fine della corruzione, il rispetto della costituzione e le dimissioni del governatore di Baghdad, Saber al Essawi, richieste avanzate anche dai partecipanti, molti dei quali intellettuali e studenti universitari, che si sono riuniti invece nella centralissima Mutanabi Street, da sempre considerata il cuore culturale della capitale irachena per la presenza di venditori di libri e dello storico Shabandar, dal 1917 luogo di elezione degli incontri tra intellettuali prima come stamperia e poi come caffè.
L'ondata di protesta ha anche raggiunto la regione autonoma del Kurdistan iracheno. A Sulemaniya centinaia di manifestanti hanno marciato per chiedere ragione dei feriti e dei due morti di giovedì scorso durante una manifestazione per rivendicare servizi migliori terminata davanti alla sede del Kurdistan Democratic Party guidato da Masoud Barzani, ed ad essi si sono uniti gli studenti che hanno chiesto giustizia e riforme politiche nella sede dell'università dove ci sarebbero stati dei feriti.
Nel frattempo il parlamento iracheno si è riunito ieri a Baghdad alla presenza di ben 245 deputati per discutere di possibili miglioramenti in termini di servizi e sicurezza.
Riuscirà il governo a contenere le proteste dei suoi cittadini?
Per adesso generazioni, sessi ed etnie diverse, religioni in conflitto, ceti sociali e culturali differenti sembrano aver trovato, almeno per ora, un punto in comune.
Una parola sola: basta!
18 febbraio 2011
Austria welcomes 30 Iraqi Christians: ministry
Vienna: Austria announced it was taking in 30 Iraqi Christians, following several deadly attacks on the Christian minority in the Middle East country over the past few months.
"Today, 30 Iraqi Christians are arriving in Vienna. Following the latest violent attacks in Iraq, they will be given protection in Austria," the foreign ministry announced in a statement.The Iraqis travelled from Baghdad to Vienna, via Amman and Damascus, and will be housed over the coming months by the Austrian Integration Fund, it added.
"It is good to see that the door is now open to a safe future for these people," Foreign Minister Michael Spindelegger added, although he insisted such measures should only be short-term.
"The intake by third states cannot be a solution. We must ensure the continuation of the age-old Christian community in Iraq and help it make use of its right to practice its religion freely at home."
"Our goal must be that Christians, just like other religious communities, can practice their faith around the world, freely and without repression." Christians have been the target of a series of deadly attacks in Iraq over the past few months. In the worst such attack on a church in Baghdad on October 31, 44 worshippers and two priests were killed by Al Qaida militants.
Archbishop of Mosul: Christians Living in Fear
While the situation is gradually returning to normal in Mosul, which after Baghdad has become a focal point of violent attacks against Christians, the Chaldean Catholic Archbishop Emil Shimoun Nona told Newsmax that Christians continue to live in fear. The Oct. 31 attack on Our Lady of Salvation Church in Baghdad that killed 58 worshippers and wounded 100 more, was followed by targeted assassinations of Christians in Mosul that drove many to flee for safety to outlying towns in the Nineveh Plain.
Most of those families are poor and quickly exhausted their savings, and have now returned to Mosul to go back to their jobs. “Although they are trying to live normally, their lives are not like the others,” Nona said. “There is always the fear. They know that they are targets.” While we were speaking, the archbishop had to take a phone call from his office back in Mosul, informing him that an IED (improvised explosive device) had just gone off at the front gate of the University of Mosul. More than 1,000 Christians make the dangerous trip every day to attend Mosul University, traveling in convoys of buses from nearby villages in the Nineveh Plain. More than 240 Christian students were wounded and a local shopkeeper was killed when a convoy was hit by an IED and car bomb attack last May. Several unexploded car bombs and IEDs disguised in plastic garbage bags have been found since then by university security guards near the buses and the entry gates to the university.
“We need our own institutions,” Nona told Newsmax. Christians living in northern Iraq have no hospital or university they can access without running the gauntlet of jihadi terrorists or Kurdish security officers who constantly monitor and intimidate the population. Just recently in Karakosh, the largest city in the Nineveh Plain, the U.S. military helped Kurdish security forces erect barriers blocking both ends of the main street leading to the only health clinic in the area, making it impossible for residents to reach it by vehicle. “We need our own schools, our own hospital,” Nona said. “The U.S. Congress can help a lot.”
Louis Ayoub, who represents the Hammurabi Human Rights Organization in the Nineveh Plain, told Newsmax in a separate interview in Karakosh that his organization is pushing for the creation of a new university in the Hamdaniya area that includes Karakosh, and for a 400-bed hospital to be built there. “We already have the land for the hospital and have the design plans for the university,” he said. “Now we are waiting for government approvals so we can seek the funding.” United States Agency for International Development (USAID) approved a project for the Iraqi central government to build four 400-bed hospitals several years ago, but the projects have been blocked because of political squabbles among the major Iraqi political parties, each seeking to divide the spoils.
Nona thanked international Christian groups for offers of help. “We need more than just prayers,” he said. “Because in too many cases, all they offer are their prayers and nothing else.” The archbishop highlighted the lack of media coverage of the persecution and the ill-treatment Christians encounter every day. “If world public opinion knew this, politicians in America could influence Iraq’s politicians to keep us out of their political struggle, since a major part of our problem is the political struggle amongst the Iraqi parties.” Iraqi Christians living in the Nineveh Plain live under daily harassment from the Kurdish security forces, known as As-Sayeesh, who not only control access to Christian towns and villages but movement inside the Christian areas. “I’m not denying there are religious extremists,” Nona said, “but definitely, these Islamic fundamentalists are being used by politicians, so it’s a mix.” Many Christian leaders in the Nineveh Plain this week said they believed that Kurdish security forces were responsible for the kidnapping and murder of Nona’s predecessor, Paulos Faraj Rahho, since they controlled the area where he was abducted. Rahho was an outspoken advocate for Christian rights. Rahho was kidnapped on Feb. 29, 2008, after saying mass at the very church in Mosul where Archbishop Emil celebrated the final service of the three-day ceremony of repentance known as the Rogation of the Ninevites on Wednesday. Rahho’s car was ambushed by 14 vehicles, including official security vehicles, and his body was founded in a shallow grave outside Mosul two weeks later. The Iraqi government blamed his murder on jihadi Muslim terrorists.
“There won’t be a 100 percent extinction of Christians in Iraq . . . But we have additional problems today because we are so few,” Nona said. “Even with this small number, we are trying to live and represent Christianity, to live out our Christian testimony.” Nona said that the influence of Christians has historically far exceeded their small numbers. Some 1.6 million Christians, roughly 5.7 percent of the population, lived in Iraq before the ouster of Saddam Hussein in 2003. Fewer than 500,000 Christians remain today, driven into exile by extremist violence and targeted ethnic cleansing. “There are some [Iraqi political] parties who are trying to aide the Christians, but they want to use the Christians for their own political purpose,” Nona told Newsmax. “Christians now feel that they are weak,” he added. “If they have this kind of institution, they will feel stronger, like other groups in Iraq. If they feel more powerful, they will want to stay in Iraq.” Otherwise, he said, more Christians will leave when the next round of killing begins. “Things never really go back to normal.” Nona urged U.S. leaders to lean on the Maliki government to resolve its own power-sharing problems. “Congress can put pressure on the government in Iraq to help resolve the security problems, the political problems, the economic and financial problems. If the situation in Iraq as a whole improves, the situation for Christians will improve."
L'onda blu della protesta in Iraq. Piazza Tahrir. Baghdad
16 febbraio 2011
Liberato il cristiano rapito a Kirkuk
Secondo quanto riportato dal sito Ankawa.com nella serata di oggi è stato liberato Ayad Daud Suleiman 'Askar, rapito a Kirkuk due giorni fa e per il quale gli ignoti sequestratori hanno chiesto un riscatto di 50.000 $.
CCEE: Da Cunha, da ministri esteri esplicito riferimento ai cristiani èerrseguitati
CCEE: Da Cunha, Minister of Foreign Affairs explicitly referring to persecuted Christians
In the run-up to the forthcoming Meeting of the Ministers of Foreign Affairs of the European Union, which is due to take place in Brussels on February 21st, the European Churches expect the Ministers to make “explicit reference” to persecuted Christians in the world, showing that “religious freedom is a matter Europe has at heart”.