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11 giugno 2009

Nuova politica di asilo in Svezia

Fonte: AINA

By Nuri Kino

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

Stoccolma (AINA) - Due anni fa la Svezia era citata come il paese con il maggior spirito umanitario nel mondo occidentale nei confronti dei rifugiati iracheni ma dallo scorso anno il paese scandinavo ha cambiato la sua politica a riguardo. La maggior parte dei rifugiati iracheni vengono ora deportati, molti di loro con la forza. I motivi delle loro domande di asilo non contano. In quattro mesi ho visto più di cinquanta casi, ho intervistato i rifugiati, letto tutti i documenti relativi ai loro casi. Questa è una delle numerose tragedie.
Un ragazzo iracheno di dodici anni, Ronsy, è sparito da 17 giorni. E' fuggito dopo la decisione finale dell'espulsione della sua famiglia dalla Svezia. L'unica traccia che ha lasciato è una lettera al rappresentante della famiglia presso l'ufficio dei servizi sociali di Spånga, un sobborgo di Stoccolma. La sera del 23 maggio aveva chiesto a sua madre un migliaio di corone svedesi. Il denaro, le aveva detto, serviva per andare a giocare a calcio. Il giorno dopo era sparito. Quando sua madre contattò la scuola il giorno della sua scomparsa fu informata del fatto che Ronsy non si era visto. Un sacerdote che assiste le famiglie dei rifugiati ha dichiarato: "Ronsy ha solo dodici anni ma pensa come un uomo adulto. Aveva sentito dire che la Svezia deporta gli iracheni ed aveva chiesto se era vero che non si può espellere una famiglia se la polizia non riesce a trovare uno dei figli. Era spaventato a morte all'idea di tornare in Iraq, sia per il suo bene che di quello della sua famiglia."
Ho incontrato la madre, Janfia Toma Slio, in una comune per donne. Ha i brividi addosso e piange. Janfia Slio è un assira di Baghdad ed appartiene alla chiesa cattolica caldea. Suo marito faceva il barbiere nel quartiere cristiano di Dora. Dopo la caduta di Saddam Hussein gli insorgenti islamisti perseguitarono i cristiani. Minacciarono di uccidere suo marito se non avesse accettato di chiudere la sua bottega perchè consideravano la sua attività come una parte della satanica e decadente cultura occidentale. Suo marito mandò la moglie incinta ed i loro due figli in Turchia dove incontrarono un trafficante di uomini che con falsi documenti di viaggio li fece salire su un aereo per la Svezia. Il piano era che il marito li avrebbe raggiunti in un secondo tempo.
Ciò che la moglie ed i figli sanno è che lui è arrivato in Turchia. Uno dei loro amici aveva scritto una lettera alla famiglia affermando di temere che fosse morto a seguito del capovolgimento della barca di un passatore. Janfia Slio non sa se è vero. L'unica cosa certa è che non hanno avuto più notizie da più di un anno durante il quale lei ha lottato per rimanere in Svezia - senza risultato!
Il rappresentante legale della famiglia, Helen Westlund, è molto triste per il fatto che le autorità dell'immigrazione non hanno riconosciuto le circostanze particolari di questa famiglia. "Molte organizzazioni internazionali, compreso l'UNHCR, sostengono che i non-musulmani non dovrebbero essere reinviati in Iraq ma l'autorità svedese in materia di immigrazione non ascolta nè obbedisce" dice la Westlund "soprattutto non si dovrebbero deportare in Iraq le vedove o le donne sole ma naturalmente le autorità non se ne curano. Non so più cosa fare ..."
Joakin Hugoson, un avvocato che rappresenta l'amministrazione giudiziaria dell'autorità per la migrazione svedese afferma: "Quando giudichiamo se una persona deve o no ricevere protezione dobbiamo applicare la legge svedese che può, in alcuni casi, portare ad un risultato diverso rispetto a quello che l'UNHCR raccomanda. D'altro canto siamo quasi sempre d'accordo con l'UNHCR per quanto riguarda la situazione nel paese d'origine della persona. Senza dubbio un cristiano in Iraq appartiene ad un gruppo vulnerabile ma la legge svedese prevede che noi esprimiamo un giudizio solo sui motivi che si applicano alla persona in questione."
Janfia Slio dice che ciò che l'autorità per la migrazione afferma è contraddittorio e singolare ma per il momento può solo pensare a far tornare a casa il figlio. Durante tutto il tempo trascorso in Svezia il ragazzo è stato molto male sia fisicamente che psicologicamente ma era diventato un pò più speranzoso negli ultimi mesi. Giocava in una squadra di calcio ed aveva molti amici. Lo chiamavano Ronaldo come la stella del calcio brasiliano. Sua madre ci mostra le foto di suo figlio e scoppia in lacrime. "Mio figlio, il mio caro bambino è scappato per salvare me ed i suoi fratelli più piccoli. Per favore, per favore aiutatemi a trovare il mio caro, coraggioso Ronsy".
La lettera di Ronsy al rappresentante della famiglia si conclude così: "Perdonatemi per essere fuggito ma non avete idea di quello che sento nel cuore. Arrivederci da Ronsy-Ronaldo."

* Il permesso di pubblicare l'articolo è stato concesso a Baghdadhope dal Sig. Nuri Kino