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5 dicembre 2008

IRAQ - Il fuoco acceso

Fonte: SIR

a cura di Daniele Rocchi

Nonostante la violenza non mancano esempi di convivenza “A Natale siamo soliti accendere un fuoco in chiesa, e tenerlo acceso per tutto il tempo della veglia. In questo modo vogliamo simbolicamente tenere caldo a Gesù appena nato. Ma anche questo anno, come accaduto per i precedenti, sarà un Natale diverso. La grotta di Gesù saranno le case abbandonate dai cristiani perseguitati a Mosul e in altre città, le famiglie fuggite o colpite dall’odio integralista”. Mons. Shlemon Warduni, vicario episcopale di Baghdad, spera che il prossimo 25 dicembre sia una festa diversa ma resta con i piedi per terra.
“Manca la sicurezza, la stabilità, certamente ci sono stati progressi in questi settori, ma molto resta ancora da fare e la gente ha paura. Così a Baghdad, la tradizionale messa di mezzanotte e le principali liturgie natalizie si celebreranno tutte di giorno, mentre nel chiuso delle case le famiglie si riuniranno per la festa, per scambiarsi dolci di datteri e di cocco, e dare qualche piccolo regalo ai bambini”. “In queste ore – dice – il pensiero e le preghiere vanno a quei cristiani perseguitati, ai nostri martiri uccisi per la fede, all’Iraq che possa rinascere come luogo di convivenza e di rispetto dei diritti di tutti”.
Eccellenza, lei ha parlato di “odio integralista”. Significa forse, che, fuori da questo, i rapporti quotidiani con la maggioranza musulmana è ancora buona?
La convivenza quotidiana con i musulmani è buona. Ci siamo sempre rispettati. Nella vita di tutti i giorni non abbiamo molti problemi. Quando sono in macchina per Baghdad e indosso la mia tonaca ai check point le guardie irachene mi salutano, mi rispettano, mi lasciano passare, cosa che non fanno i militari inglesi o americani. C’è amicizia ma, purtroppo, ci sono anche i fanatici. È una convivenza che passa attraverso tante situazioni non sempre favorevoli per la minoranza cristiana”.
A Mosul, però, le cose sembrano andare diversamente, o no?
“La solidarietà mostrata dai musulmani di Mosul verso i loro concittadini cristiani costretti alla fuga è stata grande. Non me l’aspettavo. Hanno pregato i cristiani di non lasciare le loro case e molti sono andati a fare loro visita quando hanno saputo dove si erano rifugiati. Hanno portato loro dei viveri e addirittura sono andati con dei furgoni a cercare di riportarli a Mosul rassicurandoli che gli avrebbero fatto da scudo contro gli attacchi degli estremisti. Molti musulmani di Mosul hanno difeso le case dei cristiani fuggiti, impedendo che venissero saccheggiate. Le famiglie cristiane una volta rientrate hanno ricevuto una grande accoglienza, i bambini, i giovani sono stati festeggiati appena tornati a scuola. C’è da sperare che questo spirito di coesistenza rimanga”.
Quanto pesa il proliferare di sette cristiane nel rapporto con la maggioranza musulmana?
“Il proliferare delle sette religiose mette ulteriormente a rischio la minoranza cristiana esponendola all’ingiusta accusa di proselitismo. Con le altre confessioni cristiane in Iraq siamo impegnati nel dialogo. Dalla caduta di Saddam, invece, assistiamo ad un proliferare di questi gruppi e movimenti religiosi cristiani. Hanno a disposizione soldi e mezzi di trasporto con i quali raccolgono bambini e giovani, offrono loro cibo e denaro. Sono in gran parte di origine inglese e americana. Tra queste c’è addirittura chi battezza, per la seconda volta, i cristiani. Questo ci espone alle accuse di proselitismo da parte dell’Islam anche se i musulmani sanno bene che non siamo noi. È un fenomeno, comunque, diffuso più nel nord Iraq, in Kurdistan, dove c’è più libertà”.
Se sul piano sociale il rispetto e la convivenza sembrano possibili, su quello politico pare non ci sia spazio per i cristiani. L’art. 50 della legge elettorale lo prova...
“In occasione della questione legata all’art. 50 della legge elettorale dei Consigli provinciali, abbiamo protestato per la drastica diminuzione dei seggi riservati a tutte le minoranze, non solo cristiana, ma anche mandea, shabak, yezida, ricevendo solo promesse non mantenute. Politicamente in Iraq siamo visti come stranieri, l’Europa e l’Onu restano a guardare. Ma sui diritti umani non si può transigere, il loro rispetto è fondamentale in uno Stato democratico. In Parlamento è stato detto che se si davano più seggi ai cristiani questi avrebbero stretto alleanze con i curdi, rafforzandoli. Un ragionamento politico che non ha niente a che vedere con il rispetto dei diritti. I cristiani rischiano di essere strumentalizzati politicamente e questo ci fa soffrire”.
Quale contributo può dare alla rinascita irachena una minoranza così indebolita?
Essere minoranza non significa non contribuire alla costruzione di un Iraq nuovo e prospero. Tutt’altro. I cristiani hanno alti livelli di istruzione. Tra loro ci sono medici, ingegneri, docenti, questa è la ricchezza, la vera forza che costruisce un Paese. Tanto più che le condizioni economiche sono ancora piuttosto critiche. Non vediamo infrastrutture, strade, scuole, ospedali, servizi, ci chiediamo dove vanno a finire i proventi del petrolio”.