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13 ottobre 2008

La stampa araba “scopre” la persecuzione dei cristiani a Mosul, che registra un altro omicidio.

Fonte: Asianews

Ancora un commerciante assassinato. Sui giornali trovano spazio anche le parole del Papa e di mons. Sako che denunciano gli attacchi. C’è chi sostiene che i cristiani non sono colpiti più degli altri iracheni e chi, invece, afferma che tutti gli iracheni debbono proteggere i cristiani.

Ancora un attentato, ieri, contro la comunità cristiana di Mosul, nel nord dell’Iraq. Obiettivo dell’attacco di ieri ancora un negoziante, secondo una strategia che mira a sradicare la comunità cristiana. Ad essere ucciso mentre era al lavoro è stato Oarkis Alton un commerciante di dischi, e suo cugino è stato ferito. L’attentato è avvenuto malgrado una maggiore presenza della polizia, che sorveglia le chiese e pattuglia i quartieri cristiani, come promesso dalle autorità irachene, gli impegni delle quali trovano oggi largo spazio su numerosi giornali arabi, anche fuori dall’Iraq.
Sui media arabi, infatti, oggi si parla della situazione dei cristiani di Mosul. Numerosi quotidiani riportano anche i sentimenti di “allarme e grande sofferenza” espressi ieri da Benedetto XVI per le persecuzioni contro i cristiani. “Gli attacchi a Mosul hanno costretto solo nella scorsa settimana centinaia di famiglie cristiane a lasciare la città”, ha detto Al Jazeera, citando il governatore della provincia, Duraid Mohammed Kashmoula. L’emittente ha ricordato anche l’affermazione dell’arcivescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako, secondo il quale i cristiani sono di fronte ad una campagna di “liquidazione”, come già accaduto a Baghdad “a suon di sequestri e uccisioni. In una settimana abbiamo contato do­dici vittime cristiane”.
Numerosi, come il Middle East Times sottolineano l’affermazione dell’ufficio del primo ministro Nuri Al Maliki di voler “prendere immediate misure per risolvere i problemi e le difficoltà incontrate dai cristiani a Mosul” e parlano di mille agenti già spostati nella città. “Maliki rafforza la sicurezza per proteggere i cristiani”, titola il TheDaily Star. Di “un crescendo di attacchi” contro la comunità cristiana parla Al Bawaba, aggiungendo che “500 famiglie sono state costrette la scorsa settimana a lasciare le case ed a cercare rifugio in chiese, monasteri e case di parenti”. Di 5mila persone costrette ad abbandonare le proprie case riferisce il libanese L’Orient Le Jour, che ricorda poi come sono 250mila i cristiani che hanno lasciato l’Iraq, su 800mila che erano.
L’autorevole Asharq Alawsatt, quotidiano panarabo, ha anche un editoriale del suo redattore capo, Tariq Alhomayed, intitolato “Dobbiamo proteggere i cristiani iracheni”. L’articolo parla di una “campagna organizzata che ha per obiettivo i cristiani iracheni” ed afferma che “mentre Al Qaeda continua a torturare i cristiani, è importante notare che il gruppo dei deputati sciiti ha respinto la proposta di legge che protegge la minoranza cristiana”, ossia l’articolo della legge elettorale che prevedeva una loro rappresentanza. “La nuova legge è incompleta e disgregante, dando solo il minimo dei diritti politici alle minoranze irachene, come i cristiani caldei”.
“E’ dovere di tutti gli iracheni e non solo del loro governo
– è la conclusione dell’editoriale - proteggere i cristiani iracheni dall’essere uccisi e allontanati e da tutte le forme di oppressione, particolarmente tenendo conto che sono sempre stati patriottici e non hanno mai preso parte ad alcuna alleanza contro il loro Paese e per di più soffrono più di ogni altro gruppo cristiano del Medio Oriente”.
Il Middle East Online, invece, dopo aver riferito le parole di mons. Sako, tenta sostanzialmente di smentirlo affermando che “un rapporto del Ministero dei diritti umani che esamina il numero di morti nelle diverse comunità etniche, causati direttamente o indirettamente da attacchi, tra il 2003 e la fine del 2007 mostra che solo 172 uccisioni ci sono state tra i cristiani iracheni: 107 caldei, 33 ortodossi, 24 cattolici, quattro assiri, tre anglicani ed un armeno. Osservatori dicono che i cristiani non sono minacciati più della media degli iracheni”.