Pagine

28 settembre 2008

Mons. Najim. Cancellazione dell'art.50: un'ingiustizia

By Baghdadhope

Baghdadhope ha rivolto alcune domande a Monsignor Philip Najim, Procuratore della chiesa caldea presso la Santa Sede a proposito della abrogazione dell’articolo 50 della legge elettiva per i consigli provinciali che riguarda la rappresentatività, in seno a tali consigli, delle minoranze irachene .

Mons. Najim, il Patriarca della chiesa caldea, Cardinale Emmanuel III Delly, ha inviato ieri una lettera ai vertici del governo e del parlamento iracheno con la richiesta di revoca dell’abrogazione dell’articolo 50. Lei pensa che tale richiesta potrà essere accolta? Quanto peso avrà l’appello del Cardinale Delly?
“Penso che avrà un peso significativo. Il Patriarca di Babilonia dei Caldei è sempre stato il referente principale presso il governo per la comunità irachena cristiana. Per prima cosa il Patriarcato di Babilonia dei Caldei ha sempre avuto la sua sede in Iraq e non dobbiamo dimenticare il contributo che come comunità abbiamo dato alla costruzione ed allo sviluppo del paese. Se il futuro della nostra patria è la democrazia è necessario applicarne i principi e quindi rimediare a questa ingiustizia che riguarda tutto il popolo e le minoranze in particolare.”
Perché, secondo Lei, l’articolo 50 è stato abrogato?
“Certamente si tratta di una decisione affrettata che deve essere rivista perché il popolo iracheno deve essere rappresentato politicamente nella sua interezza. Si tratta di una legge che riguarda i consigli provinciali. Non si sta mettendo in discussione la maggioranza ma, d’altra parte, le minoranze vivono anche nelle province, se non si danno loro i diritti come si può pensare di imporre loro i doveri?
Questa decisione aumenta il rischio, più volte denunciato, che i cittadini che fanno parte delle minoranze diventino “cittadini di seconda classe?”
“Certamente. Il rischio è legato alla stabilità del paese intero. Le minoranze devono avere diritti e doveri per poter collaborare con le componenti maggioritarie nella sua crescita. Regolandone la rappresentatività politica esse sarebbero incoraggiate a rimanere nel paese partecipando della sua vita, e quindi favorendone la stabilità che necessita della presenza attiva di tutte le componenti . I 13 seggi che a luglio erano stati assegnati ai cristiani hanno un’enorme peso morale. Negarli equivale al fatto che lo stato non riconosce i nostri diritti come cittadini, la nostra stessa esistenza di iracheni uguali agli altri.”
In passato Lei, ma anche altri rappresentanti iracheni cristiani, avete parlato di “forze oscure” che operavano per svuotare l’Iraq dalla sua componente cristiana. Il riferimento era alle violenze che avevano colpito tale comunità. Ora siamo davanti a delle forze “legali” che hanno lo stesso obiettivo?
“Questi nuovi sviluppi fanno pensare ad altrettante forze oscure all’interno del parlamento. Si tratta di una “politica nera” nel senso che è la negazione della democrazia rispettosa dei diritti del cittadino. Cosa dobbiamo pensare davanti a tale ingiustizia, che è la maggioranza parlamentare a voler svuotare il paese dai cristiani? Se così fosse non si potrebbe più parlare di democrazia. Chi ne parla dovrebbe ricordare il contributo che i cristiani hanno dato dal momento della creazione dell’Iraq non in quanto legati ad una chiesa o ad una religione, ma in quanto cittadini a tutti gli effetti”
Che riflessi avrà questo episodio sugli iracheni cristiani che a migliaia sono fuggiti all’estero?
“Durante i viaggi in Europa il Primo Ministro Nouri Al Maliki ha sempre incoraggiato gli iracheni, specialmente i cristiani, a tornare in patria, riconoscendo il fatto che essa non può essere svuotata da una presenza secolare. Se l’articolo 50 verrà davvero cancellato come si potrà chiedere loro di tornare? Ad una politica di incoraggiamento seguirebbe quella di scoraggiamento. Oggi ho visto su Al-Sharqiya, una TV satellitare irachena, il Patriarca Delly che ha rilasciato una dichiarazione a proposito. L’aspetto, la voce, l’espressione, tutto in lui tradiva il sentimento che proviamo e che per ben due volte ha voluto sottolineare con una parola: amarezza.”
Il Cardinale Delly sarà a breve a Roma per partecipare al Sinodo dei Vescovi. Pensa che questi nuovi sviluppi saranno oggetto di discussione in Vaticano che sempre, attraverso le parole dei suoi Santi Padri, Giovanni Paolo II prima e Benedetto XVI poi, ha espresso la propria vicinanza alla comunità irachena cristiana?
“Secondo la procedura ogni partecipante ha il diritto di parlare del suo paese partendo dal tema del Sinodo. Ora però non so ancora dire se e come il Cardinale Delly affronterà l’argomento.”
Alle elezioni politiche svoltesi in Iraq nel 2005 i cristiani hanno ottenuto scarsi risultati anche a causa della loro frammentazione politica in una miriade di partiti piccoli e grandi. Pensa che, nel caso della revoca dell’abrogazione dell’articolo 50, potrebbe succedere lo stesso per i consigli provinciali?
"Per quanto riguarda le votazioni per i consigli provinciali per adesso sarei ottimista. La reazione di tutti i partiti cristiani alla cancellazione dell’articolo 50 è stata unanime ed anzi, se la reazione ad essa sarà fruttuosa mi auguro che imparino la lezione che dice che la forza è nell’unità e non nella frammentazione.”
In questa particolare situazione che peso avrà la numerosa comunità irachena caldea che vive in Europa?
“Sarà nostro preciso dovere, e parlo a mio nome ma anche a quello dei sacerdoti, dei cittadini e dei politici iracheni cristiani che vivono in Europa, richiamare l’attenzione internazionale su questa grave ingiustizia, questo grave attentato alla democrazia irachena che, proprio perché appena nata, ha bisogno di iniziare a camminare da sola ma con passi certi. La comunità internazionale dovrà capire quanto proprio la democrazia che tutti auspicano per l’Iraq si nutre della presenza delle minoranze di cui si deve fermare l’esodo.”
Lei che speranze ha?
“Che agli iracheni cristiani vengano riconosciuti tutti i diritti che in uno stato democratico sono appannaggio dei cittadini non perché appartenenti all’una o all’altra etnia o religione ma proprio in quanto suoi figli. Perché è questo che noi siamo: figli dell’Iraq, cristiani, sì, ma figli dell’Iraq.”