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22 febbraio 2007

Il governo iracheno si dice pronto al controllo del sud del Paese: ne parla Monsignor Philip Najeem, procuratore caldeo a Roma

Fonte: Radiovaticana

di Stefano Leszczynski

In Iraq, almeno 3 persone sono morte per l'esplosione a Baghdad di un ordigno chimico. E' la prima volta che la guerriglia usa questo tipo di arma che rilascia sostanze tossiche subito dopo la deflagrazione. Il governo iracheno di Nouri al Maliki, non nasconde comunque il proprio ottimismo dopo l’annuncio del ritiro, a breve termine, di gran parte delle truppe britanniche. L'esecutivo di Baghdad – ha dichiarato al Maliki - è pronto ad assumere la responsabilità della sicurezza nel sud dell'Iraq, anche se ha poi specificato l’importanza del sostegno inglese nel processo di transizione. Ma come verrà accolta dagli iracheni la notizia della smobilitazione inglese? Stefano Leszczynski lo ha chiesto a mons. Philip Najeem, procuratore apostolico per i Caldei

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Il ritiro dei soldati è la dimostrazione di come siano veramente venuti a liberare l’Iraq e a offrire agli iracheni la libertà di scegliere il proprio futuro e costruire il proprio Paese. Dunque, appare davvero necessario ora che queste truppe tornino nel loro Paese. Rimane però da vedere – e questo non lo so – se vi sia un esercito iracheno stabile e in grado di difendere il Paese e per ricreare una situazione più pacifica.


In particolare, pesano sull’Iraq le inimicizie tra le diverse componenti del Paese, che il governo attuale non sembra a riuscire a tenere del tutto sotto controllo?"Il popolo iracheno oggi soffre e continua a soffrire, perché vuole la sua libertà per poter orientare il Paese verso una vita nuova. Il governo attuale sta incontrando grosse difficoltà per poter realizzare questa sicurezza e questa vita prosperosa per un popolo che aspetta ormai da anni di vivere almeno una normale vita quotidiana."


Quanto pesano sui cristiani iracheni le inimicizie interne all’Iraq?
"Veramente, ciò che pesa sui cristiani, su tutti i cristiani in Iraq, è quello che pesa su tutto il popolo iracheno, perché i cristiani in Iraq fanno parte del popolo iracheno, sono una parte integrante e molto importante del Paese stesso. Noi parliamo di una nazione a prescindere delle etnie, a prescindere dalle denominazioni che esistono in Iraq."


I cristiani in Iraq sono sempre meno, perché vanno via sempre di più. C’è pericolo che la popolazione cristiana dell’Iraq sia in qualche modo discriminata?
"E’ discriminata. Non possiamo negarlo. E questo come tutte le altre etnie in Iraq, perché c’è una forza anomala, c’è una forza oscura che vuole creare questa situazione anormale, creare degli ulteriori problemi al popolo iracheno. E si approfitta di qualsiasi occasione per creare instabilità, rallentare il processo di pace, il processo per un raggiungimento di una vita normale nel Paese. Quindi, i cristiani emigrano: emigrano come tutti gli altri che lasciano l’Iraq, per riuscire a svolgere una vita quotidiana pacifica. In Iraq non trovano più pace."