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16 gennaio 2007

Scompare dall’Iraq un altro pezzo del suo patrimonio artistico

Alcune frasi che hanno punteggiato questi quasi quattro anni di occupazione americana in Iraq rimarranno nella memoria, se non del mondo certo degli iracheni.

“E’ fatta!” Bush dopo la caduta del regime di Saddam Hussein
“Missione compiuta!” Bush sulla fine delle operazioni militari su larga scala in Iraq
“La dottoressa Rice ed il Segretario Rumsfeld hanno dichiarato ieri che non sono state trovate prove che l’Iraq abbia avuto qualcosa a che fare con l’11 settembre.”
“Signore e Signori: l’abbiamo preso!”
Paul Bremer sulla cattura di Saddam Hussein
“L’Iraqi Survey Group non ha trovato prove che Saddam possedesse depositi di armi di distruzione di massa nel 2003, ma esiste la possibilità che ci fossero alcune armi in Iraq, sebbene non significative dal punto di vista militare.” Charles Duelfer a capo del’ISG incaricato di trovare le armi di distruzione di massa.
“Stiamo vivendo un momento epico nella storia della libertà” Bush a proposito delle lezioni irachene del dicembre 2005
“Un capitolo orrendo della storia irachena si è chiuso ed ora parliamo di un periodo di speranza per gli iracheni.” Bush a proposito dell’impiccagione di Saddam Hussein.

Altre, invece, con il passare del tempo si annideranno nella memoria solo di alcune persone: gli archeologi di tutto il mondo e sempre tutti gli iracheni.
“Le immagini che state vedendo in televisione le vedrete ancora, ancora ed ancora, ed è sempre la stessa persona che esce da un edificio portandosi via un vaso, e lo vedete per 20 volte e vi chiedete: Mio Dio, c’erano così tanti vasi? E’ possibile che ci siano tanti vasi in un paese?”

La frase, pronunciata dall’allora Segretario alla Difesa americano Donald Rumsfeld si riferiva alle scene dei saccheggi nei ministeri e negli uffici pubblici subito dopo la caduta del regime di Saddam Hussein, ma è emblematica di come gli iracheni abbiano percepito la cura e la considerazione che i nuovi padroni avevano del loro patrimonio artistico, uno dei più ricchi del mondo. Il Museo Archeologico Nazionale e la Biblioteca Nazionale di Baghdad, ma anche i siti archeologici sparsi nel paese, sono stati, malgrado gli sforzi degli scienziati e delle poche forze internazionali deputati alla loro difesa, saccheggiati, violati, distrutti e questo il popolo iracheno, fieramente attaccato alla sua storia, non lo dimenticherà facilmente. Tombaroli e ladri iracheni, ma anche soldati stranieri, hanno contribuito alla spoliazione di un patrimonio artistico che l’Unesco (L'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura ) ha dichiarato patrimonio dell’umanità a rischio.
A scomparire però non sono solo stati i preziosi manufatti artistici ma anche quegli scienziati che ad essi hanno dedicato la vita, che anche durante gli anni del regime non avevano cercato la fuga dal paese verso le prestigiose università estere, ma che erano rimasti convinti di trovarsi nel loro “paradiso.” Uno di essi è il Dr. Donny George, curatore del Museo Nazionale Iracheno, cristiano, che dopo aver resistito a lungo ha dovuto soccombere alle minacce e lasciare il paese.
Conferenze e corsi faranno sì che il suo patrimonio di conoscenze non andrà sprecato, eppure, è strano e demoralizzante sentirlo affermare che la prima lezione che terrà durante il corso sull’occupazione americana in Iraq agli studenti dell’Università Statale di New York sarà volta a spiegare la diversa composizione etnica e religiosa dell’Iraq. Forse c’è ancora qualche studente che lo ignora? Mah! Ah, sì. Sono studenti americani, di quella grande nazione rappresentata da individui che si interrogano stupiti sul numero dei vasi.
Ma è l’Iraq, signori, non il Texas!

By Baghdadhope

Clicca su “leggi tutto” per leggere la traduzione dell’articolo di Nina Burleigh


Da Baghdad a New York : il viaggio di un archeologo assiro

Fonte: New York Magazine
By Nina Burleigh

Donny George, storico, aveva giurato che non avrebbe mai lasciato Baghdad dove era responsabile dell’Iraqi National Museum, il museo archeologico saccheggiato nel 2003. Ma poi suo figlio ha trovato in una busta una pallottola ed una lettera in cui lo si minacciava di tagliargli la testa perché suo padre “lavorava per gli Americani.”
Dal momento dell’invasione americana del paese si stima che circa un milione eottocentomila iracheni siano fuggiti all’estero, ma Donny George, archeologo, sua moglie Najat e suo figlio diciassettenne Martin sono tra i pochi iracheni – solo 500 all’anno – cui è stato concesso il visto degli Stati Uniti. Per questa ragione il non molto alto e robusto cinquantaseienne ora vive a Long Island, guida una Mitsubishi Galant, ascolta Shania Tewain e si prepara ad insegnare archeologia mesopotamica presso la Stony Brook University di New York nel semestre primaverile. Sua figlia Marian, 21, studentessa di medicina suo figlio Steven, 23, che lavora nell’informatica, invece, non hanno avuto il visto e sono rimasti a Damasco.
Da quando è arrivato, più o meno un mese fa, Donny George ha imparato a muoversi nel campus, ma non ha ancora preso confidenza con la moderna ziggurat rappresentata dal garage multipiano e, scusandosi, sala una rampa contro mano. Lui e la sua famiglia hanno cercato spezie e cibo a loro familiari nei negozi dei sobborghi, ed hanno spiegato ad incuriositi commessi di essere assiri cristiani e non sunniti o sciiti.
Durante gli ultimi vent’anni il Dr. George ha supervisionato alcune delle più significative opere di scavo archeologico del mondo. Nel 1987 era a capo di un scavo a Babilonia quando ricevette la visita di Saddam Hussein: “L’ho portato in giro, era molto calmo ed ascoltava ciò che gli spiegavo. In uno dei musei c’erano delle iscrizioni tradotte, ed in una Nabucodonosor diceva che uno degli dei lo aveva mandato a protezione delle 'teste nere'. A quel punto Saddam disse 'Dovreste cambiare il testo' ed io risposi: 'No, Signore, E’ scientifico, non possiamo cambiarlo, questo è esattamente ciò che fu detto. Non significa che la gente è nera ma –tutta la gente – perché se si guarda la folla irachena essa è fatta di gente con i capelli neri.' “Voleva cambiare 'teste nere' con 'di tutta la gente' ed io gli dissi di no.”
“Dopo un po’ una delle guardie del corpo di Saddam mi prese da parte e mi disse: Come hai potuto dire no al presidente? Ed io risposi: E’ la scienza. E lui: Bene. Dio ti benedica. Normalmente saresti sparito nel nulla.”
All’inizio del 2003, con l’invasione imminente, il Dr.George fece pressioni sui suoi capi al museo perché la collezione venisse protetta sigillandola nei sotterranei. “Li ho pregati - Per l’amor di Dio, per l’amore dei Profeti, si deve fare o ruberanno tutto – e la sola risposta che ebbi fu: - Sta esagerando. C’è Saddam e nessuno oserà arrivare fino a Baghdad.-”
Il Dr.George stima che il museo abbia perso 15.000 pezzi e che dai siti archeologici ne siano spariti ancora di più, “dal saccheggio dei siti abbiamo recuperato 17.000 pezzi, ma se ne abbiamo ritrovati tanti quanti non ritroveremo più?” Il Dr.George ha saputo che molti degli oggetti sono finiti nelle collezioni private di scrittura cuneiforme di New York. “E’ molto triste, ma c’è una soluzione, se il governo americano smetterà di far dedurre dalle tasse le donazioni i musei non compreranno, oggi, invece, esso incoraggia i ricchi a comprare e successivamente a fare delle donazioni.”
Dal punto di vista politico il Dr. Gorge è cauto: vuole i visti per gli altri due figli. Per questa ragione non commenta il piano del presidente Bush per un incremento delle truppe in Iraq anche se, alla fine, si lascia andare ad un commento: “La soluzione è politica e coinvolge la Siria e l’Iran.” Nei suoi incubi peggiori, dice, non avrebbe mai pensato che l’Iraq sarebbe precipitato in una guerra civile: “persino al tempo di Saddam queste differenze non c’erano. Non ho mai chiesto ai miei vicini o a miei amici se erano sunniti o sciiti, ed i musulmani non lo hanno mai chiesto a me. Non era educato chiederlo.” Nel frattempo, aggiunge, gli iraniani sono già penetrati in Iraq tanto che ha sentito dire che nei mercanti di Bassora si parla ormai arabo ma anche persiano. Prima di partire le voci che giravano erano che sarebbe stato sostituito al museo da un musulmano eppure, sebbene anche la chiesa che lui e sua moglie frequentavano sia stata fatta saltare in aria, il Dr. George è convinto che un giorno tornerà a casa. “Noi conosciamo la storia e l’archeologia. Sappiamo che non è possibile che la situazione rimanga così per sempre.”
I suoi progetti immediati sono di tenere alcuni seminari sull’occupazione americana alla Stony Brook University il prossimo inverno. La prima lezione che vuole fare è sul passato eterogeneo dell’Iraq: “Mi piacerebbe che gli americani sapessero che è un paese abitato da diversi tipi di persone – arabi, assiri, turcomanni, curdi, yazidi – e di diversa religione. Gente che ha vissuto fianco a fianco per secoli.”

Tradotto ed adattato da Baghdadhope