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4 gennaio 2007

Istituzioni cristiane trasferite da Baghdad nel nord dell'Iraq: Babel College e Seminario Maggiore Caldeo di Saint Peter

Alla fine del 2002, a poco ormai dalla guerra non ancora annunciata ma inevitabile, il quartiere meridionale di Dora, a Baghdad, era uno dei centri delle cristianità della città. A renderlo tale era il numero di chiese di diverse confessioni cristiane, il Babel College, l’unica facoltà teologica cristiana in Iraq, il Seminario Maggiore Caldeo di St. Peter, e l’alto numero di cristiani che vi abitavano e lavoravano. Era un quartiere di case basse e larghe strade il cui limite meridionale era fissato da una superstrada che conduceva alla zona della raffineria che, sebbene in regime di embargo, raffinava il greggio necessario ad illuminare la città. Nelle notti di Baghdad, volgendo lo sguardo a sud era sempre possibile individuare il quartiere di Dora scorgendo i bagliori delle ciminiere della raffineria, ed annusando l’odore tipico del greggio che ristagnava nell’aria calda senza vento.
Dora adesso è cambiata. E’ diventata ormai una delle zone più pericolose della città, ma soprattutto è diventata cimitero della cristianità che la abitava. Il 1 agosto del 2004, infatti, la chiesa caldea di San Pietro e Paolo, vicina al seminario maggiore, fu una delle quattro chiese di Baghdad che nello stesso giorno, quasi alla stessa ora, furono attaccate. Un’autobomba scoppiò al di fuori della chiesa proprio nel momento in cui i fedeli ne uscivano dopo la funzione pomeridiana. Fu una carneficina, 15 morti, centinaia di feriti, danni materiali ingentissimi alla chiesa ed al seminario, e soprattutto la diffusione di un nuovo sentimento: la relativa pace di cui i cristiani avevano goduto fino ad allora era finita, la zona non era più sicura per loro. Da quel giorno, infatti, iniziò il loro esodo verso aree più sicure. Lento e programmato esso si fece con il passare del tempo sempre più frenetico. Altre bombe, minacce, rapimenti di civili ma anche di religiosi, hanno ormai svuotato Dora dai cristiani, e con la loro sparizione anche i luoghi simbolici sono ormai chiusi. Chiuse sono le chiese senza più fedeli, né guardie, né sacerdoti. Chiuso è il seminario maggiore da quando, a settembre il suo vice-rettore, Padre Salem Basel Yaldo, è stato rapito proprio mentre, dopo avervi passato un mese senza mai poterlo lasciare, ne usciva per andare a riabbracciare un altro sacerdote appena rilasciato, e da quando, a dicembre, anche il suo rettore, Padre Sami Al-Rais è stato sequestrato per una settimana. Chiuso è anche il Babel College la cui riapertura dei corsi, programmata per ottobre, è stata sempre rimandata ma mai realizzata. La situazione a Dora era diventata talmente pericolosa che era necessaria una decisione drastica e sofferta: il seminario ed il Babel College sarebbero stati trasferiti presso una chiesa nella parte ovest della città. Adattare una chiesa ad ospitare seminaristi e studenti, però, significò un periodo di lavori di ristrutturazione, corsi sospesi e seminaristi temporaneamente trasferiti nel nord, visto che il Seminario Minore, nel quartiere settentrionale di Suleikh, era già stato chiuso da mesi. Ma a Baghdad non c’è limite al peggio: anche Baghdad Jadida, il quartiere dove si trova la chiesa di Mar Khorkhis, destinata ad ospitare seminario e facoltà, è ormai diventata pericolosa. Da qui una decisione ancora più drastica: trasferire entrambe le istituzioni nel nord. Già nell’aria da tempo (gli edifici che le ospiteranno ad Ankawa, vicino Erbil, erano già stati individuati e presi in affitto) la decisione del trasferimento dell'unica università teologica cristiana in Iraq è stata resa ufficiale solo oggi, 4 gennaio 2007.
Questo trasferimento forzato, insieme all’inaugurazione, a metà novembre, del seminario siro cattolico a Bakhdida, (Qaraqosh) dimostrano come il nord dell’Iraq sotto controllo curdo sia, almeno per ora, un rifugio più sicuro per i cristiani iracheni, o almeno che sia percepito come tale. Non mancano infatti le incertezze in questo senso. Da una parte infatti ci sono le dichiarazioni di fratellanza con i cristiani più volte ripetute sia dal presidente iracheno, il curdo Jalal Talabani, sia dal presidente del Governo Regionale Curdo, Masoud Barzani, e le munifiche donazioni alle chiese ed alla popolazione cristiana da parte del cristiano Sarkhis Aghajan, ministro delle finanze dello stesso governo curdo. Dall’altra ci sono denunce di sopraffazioni da parte delle milizie curde nei confronti di cristiani costretti a lasciare le loro case ed i loro villaggi.
Qual è la verità? Difficile stabilirlo. La minoranza cristiana, in maggioranza cattolica caldea, da sempre è stata costretta a districarsi tra le pieghe levantine del potere cercando di tenere una posizione quanto più neutrale per garantire la propria sopravvivenza. Nell’Iraq devastato dalla lotta per il potere tra sunniti e sciiti la soluzione di trasferirsi sotto controllo curdo appare, ancorché dolorosa, l’unica temporaneamente possibile. Se persecuzioni ci sono, esse sono minime rispetto a ciò che i cristiani di Baghdad sono oggigiorno costretti a subire. Certo nessuno assicura che il giogo curdo sarà in futuro sempre leggero da portare, ma la comunità cristiana avrà intanto il tempo di rafforzarsi, non tanto dal punto di vista dei numeri di chi si sta già ricostruendo una vita altrove, quanto dal punto di vista morale, anche pastorale; un tempo che altrove nel paese sembra sempre più difficile, se non impossibile, addirittura immaginare.
Certo bisognerà vedere chi coinvolgerà e che strada prenderà questo eventuale trasferimento nel nord. La situazione a Baghdad peggiorerà al punto da rendere necessario anche il trasferirsi delle restanti istituzioni? Vedremo il Patriarcato Caldeo, quello dell’Antica Chiesa Assira dell’Est, i vescovi armeni, siri e latini, abbandonare Baghdad per operare nel nord?
Ma soprattutto, se sarà questo il caso, dove andranno? La domanda non esige solo una risposta geografica: Erbil, Telkeif o Dohuk, per citare a caso delle città della regione curda, ma anche, e soprattutto una risposta politica.
La calma del nord dell’Iraq potrebbe infatti infrangersi su alcune questioni ancora non risolte. Kirkuk, che i curdi vorrebbero annettere ai loro territori sottraendola – e soprattutto sottraendo le risorse petrolifere del suo territorio – al controllo del governo centrale attraverso un referendum da tenere alla fine del 2007 e che non sarà incontestato, sia sulla base del diritto dei curdi di goderne in esclusiva le ricchezze, sia su quella della sua legittimità minata dalle accuse rivolte al governo curdo di avere “curdizzato” la città facendovi affluire profughi da altre regioni ed addirittura dall’Iran. La Piana di Ninive, sempre più frequentemente citata come l’unica soluzione per la sopravvivenza della popolazione cristiana in Iraq che potrebbe trovarvi rifugio. Una sorta di enclave, dicono in molti, “ghetto” la definiscono invece altri come il Vescovo di Kirkuk, Monsignor Luis Sako. Un’area che è e sarebbe controllata dai curdi, che in questo modo aumenterebbero la loro sfera di influenza su un territorio non incluso nei confini del loro governo regionale ma in quelli di pertinenza del governo centrale, per ora, e di un ipotetico “sunniland” se in futuro il paese dovesse essere diviso in tre.
Dopo quasi quattro anni dall’inizio dell’ultima guerra all’Iraq la realtà ha insegnato che fare previsioni per il futuro è quanto mai azzardato. Il 2007 sarà probabilmente l’anno in cui anche il nord dell’Iraq entrerà in gioco per definire la propria posizione in modo definitivo, ed uscire dallo stallo di una situazione che lo vuole “stato nello stato.” Se, e come, i cristiani vi troveranno un posto è difficile dirlo adesso, in nessun posto come in Iraq la differenza tra le dichiarazioni ufficiali e le azioni è tanto marcata, quello che è certo è che Baghdad è ormai diventata zona proibita per loro. L’augurio è che questi trasferimenti possano davvero essere temporanei come tutti dichiarano. La misura di una democrazia di un paese si misura anche sul rispetto per le sue minoranze, ed una Baghdad priva di esse e del loro apporto potrà essere forse strategicamente ed economicamente importante in futuro, ma non potrà ambire a diventare importante dal punto di vista culturale perché la cultura si nutre di diversità, le accoglie, le mutua, le vivifica, non le uccide.
by Baghdadhope