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3 dicembre 2006

Cambierà qualcosa per i cristiani iracheni in Turchia dopo il viaggio del Papa?


La situazione dei cristiani iracheni in Turchia è ancora difficile, lo testimoniano le parole di due vescovi e dei rappresentanti della Caritas ad Istanbul. Monsignor François Yakan vescovo caldeo, e Monsignor Yusuf Sağ, vescovo siro cattolico, descrivono una situazione disastrosa e si appellano alla comunità europea perchè accolga le famiglie dei rifugiati cristiani iracheni.

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I richiedenti asilo cristiani iracheni in Turchia soffrono dimenticati e poveri.
Domenica 3 dicembre 2006

MICHAEL KUSER
ISTANBUL – Turkish Daily News
I rifugiati iracheni vivono in Turchia per anni in attesa di emigrare verso altri paesi, eppure non hanno nessun diritto a lavorare e soffrono dal punto di vista psicologico dall’essere costretti a vivere dove il governo turco decide, spesso in luoghi dove non possono godere del supporto della propria comunità.
“Nessuna porta si apre per loro” ha dichiarato Monsignor François Yakan, 48 anni, che dirige la Chiesa Cattolica Caldea in Turchia dal suo ufficio di Istanbul. “Il vecchio regime in Iraq non andava bene, ma ora la situazione è peggiorata, ogni giorno veniamo a sapere di 5 o 6 persone, parenti di qualcuno della nostra comunità di Istanbul, uccise nel paese.”
Il vescovo è nato nella regione di Hakkari, ha studiato e frequentato il seminario in Francia, ed è tornato in Turchia sette anni fa come Vicario Patriarcale dei Caldei. Guida il suo piccolo gregge di fedeli da un ufficio ad Istanbul dove celebra la Santa Messa in una piccola chiesa che prima apparteneva ai cattolici bizantini e che si trova di fronte al consolato britannico. Una parte della comunità caldea frequenta invece una cappella più grande nei sotterranei della Chiesa di Sant’Antonio nella zona di Istiklal Caddesi.
“Questi rifugiati soffrono di molti problemi psicologici” dichiara Monsignor Yakan, “rimangono qui da uno fino ad undici anni e non hanno assistenza sanitaria, permessi di lavoro e diritto allo studio. Gli europei non si interessano della sorte di questa gente, eppure parlano di diritti umani e del loro essere cristiani.”

I numeri
L’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) che opera su incarico del governo turco nell’assistenza dei rifugiati e di coloro che chiedono asilo, stima che almeno un milione di iracheni sono fuggiti dalla guerra in Iraq.
Mentre la maggior parte dei rifugiati iracheni vive in Siria o in Giordania, coloro che arrivano in Turchia sono obbligati per legge a registrarsi presso gli uffici della polizia entro 10 giorni dal loro arrivo ed a richiedere agli uffici dell’UNHCR un documento che certifichi lo status di rifugiati. Fino al rilascio eventuale del documento essi sono considerati come richiedenti asilo, mentre coloro che non si registrano o non fanno domanda di asilo rimangono immigrati senza documenti
Sfortunatamente, da quando è iniziata la guerra nel 2003 l’UNHCR ha sospeso i normali procedimenti applicati ai richiedenti asilo iracheni. Ottenere il permesso di emigrare in un paese terzo non era facile per loro neanche prima del 2003, ma ora è praticamente impossibile tranne che nei casi più estremi, o nei casi in cui i programmi umanitari di paesi come gli Stati Uniti, l’Australia ed il Canada prevedano il ricongiungimento familiare.
Il Ministero degli Interni turco stima che circa 90.000 persone sono entrate illegalmente nel paese lo scorso anno, ma non fornisce dati sulla loro nazionalità. A settembre del 2006 407 iracheni hanno chiesto asilo presso gli uffici dell’UNHCR in Turchia.
“Ogni categoria di persone presenta domanda di asilo, ma noi non consideriamo la loro religione” ha dichiarato Metin Corabatir, portavoce dell’UNHCR ad Ankara. In questo modo nessuno sa quanti iracheni sono entrati in Turchia senza permesso, o in che percentuale essi siano cristiani i musulmani.

Il sostegno della propria comunità
I rifugiati iracheni cristiani ad Istanbul sono per la maggior parte cattolici caldei. Come altri rifugiati, i richiedenti asilo e gli immigrati senza documenti, essi sono stati sradicati dalle loro case e devono cavarsela in un paese straniero. Coloro costretti a vivere fuori Istanbul devono vivere senza il sostegno della propria comunità che è di importanza fondamentale per il benessere delle persone.
L’agenzia vaticana Caritas gestisce alcuni programmi di sostegno tra cui quello di una scuola per bambini iracheni ad Istanbul, vicina alla sua sede ad Harbive.
“Ci concentriamo sui richiedenti asilio iracheni che cercano il nostro aiuto” ha dichiarato il portavoce della Caritas Tülin Türkcan. “E’ un piccolo aiuto e le nostre possibilità sono limitate. Io posso parlare degli Assiri e dei Caldei, perché sono cristiani iracheni che vengono da noi, non dei Curdi o dei Turcomanni. A volte anche degli africani vengono a cercare abiti o assistenza medica. L’ignoranza è un problema perché di solito una persona del Bangladesh non sa cosa sia l’asilo, ed è un problema farlo capire.”
Papa Giovani Paolo II nel 1991 ordinò alla Caritas di Istanbul di coordinare gli aiuti per il mezzo milione di rifugiati iracheni che avevano oltrepassato la frontiera turca per fuggire dalla Guerra del Golfo.
“La Caritas ha notizie solo delle 500 persone che si sono registrate presso i suoi uffici” ha detto Monsignor Yakan. “Fino al mese scorso qui c’erano 3800 persone. Man mano che la guerra in Iraq aumenta di intensità il numero sale..”

I casi estremi
La Caritas non ha uno status ufficiale, ma l’organizzazione che Monsignor Yakan ha creato sei mesi fa – la Chaldean Assyrian Refugee Aid Association (associazione di aiuto per i rifugiati assiro caldei) ha l’identità legale per aiutare la comunità di rifugiati cristiani iracheni anche se non riceve finanziamenti né dal governo turco né dal Vaticano.
“Ciò di cui abbiamo bisogno è un’agenzia statale responsabile per la comunità dei rifugiati ad Istanbul, cristiani, musulmani o buddisti che siano” ha aggiunto Monsignor Yakan. “Ho compiuto delle visite pastorali a Konya, Kayseri, Burdur ed Isparta, dovunque queste persone siano state mandate, ma io sono solo in Turchia. Attraverso la fondazione della chiesa aiutiamo le vedove e le persone in gravi difficoltà, ma per quanto riguarda il loro ritorno in Iraq è impossibile pensarci.”
I cristiani non hanno un’area propria in Iraq, come invece hano i sunniti, gli sciiti o i curdi, ha aggiunto il vescovo. Molte di queste persone hanno lasciato il paese molti anni fa e se tornassero troverebbero altre persone che vivono nelle loro case, che coltivano i loro orti.
“Se ognuno dei 25 paesi dell’Unione Europea accettasse 10 famiglie il problema sarebbe risolto e non ci sarebbero più rifugiati cristiani iracheni” ha precisato il vescovo, “se 10 fossero troppe, potrebbero accoglierne 5, anche questo aiuterebbe.”
In Turchia le Nazioni Unite dirigono i rifugiati verso Isparta o Kastamonu, posti dove nessuno parla arabo, dove non ci sono cristiani, ha affermato Monsignor Yusuf Sağ, il sessantottenne patriarca vicario della Chiesa Siro Cattolica in Turchia.
“Una donna mi ha detto di aver dovuto mimare l’atto della deposizione di un uovo da parte di una gallina per riuscire ad averne uno. A Burdur, per esempio, non c'e nessuno che parli arabo e meno che mai assiro. E’ già dura per un uomo da solo, figuriamoci per chi ha famiglia.” L’assiro è una variante moderna dell’aramaico, la stessa lingua parlata da Gesù Cristo.


A braccia aperte
Sağ ha 174 famiglie nella sua congregazione della Chiesa del Sacro Cuore a Gumussuyu, tutti cittadini turchi, anche se rifugiati dall’Iraq e da altri paesi di lingua araba arrivano da lui che parla la loro stessa lingua. Nativo di Mardin, Sağ parla infatti un arabo fluente.
“Iracheni musulmani vengono da me, ed io li aiuto, così come i somali, i sudanesi ed i palestinesi” ha dichiarato il vescovo. “Tre egiziani sono arrivati la scorsa settimana. Conosco i loro problemi e facciamo del nostro meglio per dar loro dei vestiti invernali, del cibo come olio, riso e fagioli, ma non è abbastanza. Alcune di queste famiglie sono qui da 6 o addirittura 9 anni.”

Dimenticare la religione, è una questione di diritti umani, secondo Monsignor Sağ.
“I bambini non vanno a scuola, lo fanno solo ad Istanbul grazie alla Caritas. Io ringrazio gli Stati Uniti e le Nazioni Unite, ma i rifugiati iracheni in Turchia soffrono molto più di quelli in Giordania o in Siria, dove almeno la popolazione parla la stessa lingua e dove ci sono più chiese. Qui non li inviano a Mardin, che sarebbe più logico, ma in posti come Burdur o Isparta.”
Le chiese trovano alle donne un impiego come domestiche nelle case di Istanbul per 50 lire turche al giorno, forse 100 nei casi di datori di lavoro generosi, ma è molto difficile vivere senza nessun diritto al lavoro.
“Che cosa pensa il governo turco? Sono persone che soffrono” ha aggiunto Monsignor Sağ. “I bambini si mettono nei guai con la droga o con le bande. Non vogliamo nulla per noi ma questa gente ha bisogno di aiuto. Io dico loro di continuare a pregare, forse sono stanchi di farlo ma Dio provvederà. Parliamo di fede, di Gesù, della Bibbia, ma la fede degli uomini ha un limite. Non tutti sono capaci di avere la fede di Giobbe, e persino lui aveva avuto dei dubbi.”
Permettere a questa gente di rimanere ad Istanbul vorrebbe dire aiutarli, secondo molti degli intervistati. In città possono avere una comunità di riferimento, aiuto dalla chiesa, assistenza medica. In questo modo Monsignor Sağ pronuncia parole opposte a quello pronunciate da Mosè: Lasciate che la mia gente rimanga!
“Non lo voglio come sacerdote ma come essere umano, e non voglio soldi dallo stato, ma qui questi rifugiati possono imparare l’arabo e l’inglese, mentre fuori Istanbul non c’è sostegno materiale e morale. Questi sono i principi dell’Islam, ma sono solo parole, in pratica il governo turco non fa differenze tra rifugiati cristiani e musulmani, ed entrambi subiscono un trattamento inumano. Noi possiamo fare poco, ed è una tragedia umanitaria.”

Tradotto ed adattato da Baghdadhope