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17 maggio 2025

Sako: «Siamo stremati da decenni di guerre. Leone XIV ci ha incoraggiati»

Leone Grotti
16 maggio 2025

«Ero di fianco a Robert Francis Prevost al Conclave e quando è stato eletto papa gli ho detto: “Ricordati di noi cristiani del Medio Oriente perché rischiamo di sparire. E con noi, anche le radici del cristianesimo andranno perdute”».
Racconta così in un’intervista a Tempi il cardinale iracheno Louis Raphael I Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, in prima fila mercoledì in aula Paolo VI per assistere alla prima udienza giubilare di Leone XIV, dedicata proprio ai partecipanti al Giubileo delle Chiese orientali.

Eminenza, che cosa le ha risposto Leone XIV in Conclave?
Mi ha detto: “Ha ragione, andate avanti con coraggio”. E all’udienza ci ha rivolto un discorso molto bello, ci ha davvero incoraggiato. Il Papa ha detto che le Chiese orientali sono «un tesoro inestimabile». La Chiesa è universale, è una e unita nella fede integrale in Cristo, ma al suo interno è diversa per espressione, cultura, storia, lingua. Questo patrimonio, come ha detto il Papa, va conservato, arricchito e rispettato da parte delle Chiese latine.
 La presenza dei cristiani in Medio Oriente, come ha ricordato anche Leone XIV, è minacciata. Solo negli ultimi vent’anni il suo paese, l’Iraq, ha subito la guerra del 2003, l’esplosione del terrorismo, l’invasione dei villaggi cristiani della Piana di Ninive da parte dell’Isis, discriminazioni di ogni tipo. E il capo dello Stato, due anni fa, ha cercato di estrometterla dalla guida della Chiesa caldea con una mossa senza precedenti. Qual è la situazione dei cristiani oggi in Iraq?
La sicurezza è sicuramente migliorata rispetto al passato, ma la gente non ha fiducia nel futuro. Tante famiglie continuano a lasciare l’Iraq. Noi abbiamo bisogno della vicinanza del Santo Padre, dei fedeli e dei responsabili delle Chiese occidentali perché ci sostengano moralmente, certo, ma anche politicamente. Dovete chiedere che i diritti umani vengano rispettati in tutto il mondo, anche da noi.
Nel marzo 2021 papa Francesco è stato il primo pontefice a visitare l’Iraq. Quel viaggio vi è stato di aiuto?
Sì. Francesco aveva capito le nostre necessità, ha visitato sei paesi del Medio Oriente per mostrarsi vicino e ha saputo dialogare con il mondo musulmano usando il linguaggio dell’amicizia. Con la sua condotta e la sua umiltà ha aiutato a cambiare un po’ la mentalità della gente. Spero che Leone XIV riesca a pensare a noi, come gli ho chiesto al Conclave.
Mercoledì papa Prevost ha sottolineato che «ai cristiani va data la possibilità, non solo a parole, di rimanere nelle loro terre con tutti i diritti necessari per un’esistenza sicura». Di che cosa c’è bisogno perché i fedeli possano restare in Iraq e in tutto il Medio Oriente?
Ci serve una cosa sola: la pace. Dobbiamo fare di tutto per portare la pace. Basta tensioni, basta conflitti, basta settarismo, basta corruzione. Se ci sono problemi, bisogna risolverli con una diplomazia morbida e non con le armi. I responsabili dell’Occidente devono lavorare per evitare le guerre. Per il resto non ci manca nulla, perché da noi la mentalità è comunitaria e non individualista come da voi. I rapporti familiari e comunitari sono forti: dove uno lavora, tutti mangiano. In Iraq prima del 2003 vivevano 1,5 milioni di cristiani. Oggi meno di 200 mila.
I fedeli orientali riescono a mantenere la propria identità anche all’estero?
No, non è possibile. La gente deve rimanere in Medio Oriente. Siamo una minoranza, è vero, ma la nostra vocazione è quella di restare e testimoniare la fede con la nostra condotta di vita diversa, aiutando le altre persone ad aprirsi. Noi siamo missionari in Medio Oriente. Un giorno arriverà la libertà di coscienza, ne sono sicuro, le cose cambieranno ma bisogna incoraggiare questi cristiani a restare e a sperare.
Leone XIV vi ha detto che impiegherà «ogni sforzo perché la pace di Cristo si diffonda». Proprio in questi giorni il presidente Donald Trump è in Medio Oriente. Che cosa vi aspettate?
I capi di Stato devono incontrarsi e attraverso un dialogo coraggioso e sincero lavorare per la pace, la riconciliazione e il dialogo. Noi siamo stremati, negli ultimi 20 anni, ma anche prima, non abbiamo avuto altro che guerre. È ora di dire basta perché la guerra distrugge soltanto.
Lei era accanto a Prevost al Conclave quando è stato eletto papa. Che impressione le ha fatto?
Sì, ero alla sua destra. Come tanti altri, non l’avevo mai conosciuto prima. È un uomo semplice, sereno, umile che sa ascoltare e dialogare. Ha accettato l’elezione con grande serietà e noi gli abbiamo espresso la nostra obbedienza.
Gli ha suggerito qualcosa oltre a dirgli di ricordarsi dei cristiani d’Oriente?
Sì, gli ho detto di lavorare con collaboratori scelti, fidati, perché nessuno può fare nulla da solo. Nelle nostre Chiese orientali facciamo l’esperienza del sinodo generale con i nostri vescovi e abbiamo anche un sinodo permanente. Ci incontriamo spesso per chiedere consiglio e discutere di tutto. Questo è davvero fondamentale perché neanche il papa è perfetto, non può conoscere tutto e ha bisogno di essere aiutato a capire per poter discernere e infine decidere.

Conclave, cosa è successo al primo voto: ora tutto torna

15 maggio 2025

È rimasto sempre "sereno", e "fin dall’inizio ha avuto tanti voti": a raccontare il retroscena sull'elezione di Leone XIV in Conclave è stato il cardinale Louis Raphael Sako, patriarca di Baghdad dei caldei, seduto alla destra del futuro Papa in Cappella Sistina.

In un'intervista a Repubblica ha svelato che solo alla fine, quando è diventato chiaro che sarebbe diventato Papa, era "un po’ commosso", Parlando dell'esperienza vissuta accanto a lui come "compagno di banco" in Conclave, Sako ha detto: "Non lo conoscevo prima. Abbiamo parlato, è un uomo semplice, umile, sereno".
 La serenità mantenuta da Robert Prevost anche all'avvicinarsi dell'elezione sarebbe stata indice di una certa sicurezza, secondo il patriarca di Baghdad.
"Secondo me era quasi convinto perché fin dall’inizio ha avuto tanti voti, che poi sono aumentati e aumentati. Era sereno", ha sottolineato.
Il cardinale Joseph Tobin, invece, ha raccontato che a un certo punto del Conclave Prevost aveva la testa tra le mani.
"Aspettava lo svolgimento dell’elezione - ha commentato Sako - bisogna immaginare che eravamo 133 cardinali, votavamo uno dopo l’altro, mettendo la scheda nell’urna, poi lo spoglio. Ci voleva tempo".
Quando i voti per l'ex cardinale americano hanno iniziato ad aumentare, ha raccontato sempre Sako, "io ho scherzato un po'". E ancora: "Ho fatto solo qualche commento scherzoso sul processo elettorale un po’ rigido. Nella nostra tradizione eleggiamo il patriarca e il sistema è più flessibile, qui i canoni hanno una rigidità assoluta. Lui sorrideva".
Dopo l'elezione, invece, gli ha detto che "bisogna che pensi al Medio Oriente dove c’è molta sofferenza e ingiustizia. Il futuro dei cristiani in quella regione è essere o non essere. C’è bisogno della nostra amicizia e della nostra vicinanza - ha raccontato il patriarca di Baghdad -. E lui era d’accordo. Anche nell’incontro che abbiamo avuto dopo il Conclave con il Papa io sono intervenuto per ricordare che non dobbiamo dimenticare tutte le sfide del Medio Oriente, e che dobbiamo continuare quello che papa Francesco ha fatto per il dialogo con l’islam".

Un gesto di popolo per i cristiani perseguitati

Marco Ferrini
Comitato Nazaret 
15 maggio 2025

È cominciato tutto a Rimini, nel 2014.
Il Comitato Nazarat da dieci anni, ogni 20 del mese, si riunisce nelle piazze di varie città italiane a pregare per i fratelli vessati a causa della loro fede. Con testimonianze e incoraggiamenti preziosi. 
«Come quello arrivato, quella volta, da papa Francesco...»

Nell’estate 2014, poche settimane dopo la proclamazione del Califfato, l’Isis prende il controllo di un ampio territorio fra Siria e Iraq. Nella piana di Ninive, nella notte fra il 6 e il 7 agosto 125mila cristiani iracheni sono costretti ad abbandonare le loro terre e abitazioni dirigendosi verso il Kurdistan interno, mentre altri 110mila restano come rifugiati nella zona di Erbil. 
Le case delle famiglie cristiane vengono segnate dai miliziani islamici con la lettera nūn iniziale della parola Nazarat, cioè Nazareno. 
Con alcuni amici ci sentiamo interrogati da quella terribile situazione perché educati dal Movimento ad amare la realtà tutta, a far proprio il dramma dell’uomo, a esprimere un giudizio su quello che ci sta intorno. Così nasce l’iniziativa di porre un gesto di preghiera per tutti i cristiani perseguitati, inizialmente in Medio Oriente, poi allargato a tutti i perseguitati ovunque nel mondo e negli ultimi anni per la pace. Il 20 agosto 2014 a Rimini, nella piazza centrale della città, alcune centinaia di persone si riuniscono a recitare il rosario; si canta, si prega, si ascoltano testimonianze degli avvenimenti, si raccolgono denari per aiuti. 
All’aperto di fronte a tutti e non nel chiuso di luoghi di culto: “la Chiesa in uscita” come sollecitato da papa Francesco.
Da allora in poi, ogni 20 del mese, l’iniziativa prosegue non solo a Rimini, ma allargandosi ad altre tredici città italiane e alcune estere, con il coinvolgimento di monasteri e clausure d’Italia e d’Europa.
Un “appello all’umano” - questo il sottotitolo dato alla preghiera - che cerca di recuperare, con l‘intercessione della Vergine Maria, le ragioni per una convivenza, appunto, umana in questo mondo percorso da divisioni etnico-religiose, violenze, guerre, oggi purtroppo ancora più gravi e apparentemente insanabili.
Ma che c’entra Rimini con tutto questo?
Rimini è una città a vocazione internazionale e con proiezioni anche verso Oriente; storicamente e geograficamente è un centro d’accoglienza e d’incontro; non potevamo non muoverci - nell’assistere alla tragedia delle popolazioni che parlano la lingua stessa di Gesù, l‘aramaico, e che vivevano in quelle terre da duemila anni, ben prima della nascita dell’Islam.
Le persecuzioni contro i cristiani e contro altre minoranze religiose nell'ultimo decennio sono emerse, terribilmente, non solo nel Medio Oriente ma anche in altre zone dell’Asia e in Africa: pertanto il momento di preghiera in piazza ogni mese è servito a conoscere e a prendere coscienza di queste situazioni.
 «Una Chiesa senza martiri è una Chiesa senza Gesù. Loro con il loro martirio, la loro testimonianza, con la loro sofferenza, anche dando la vita seminano cristiani per il futuro». (Papa Francesco, Santa Marta 30 gennaio 2017).
I martiri oggi sono in numero maggiore di quelli dei primi secoli e a molti di loro è riservata la stessa crudeltà patita dai cristiani dell’origine.
Questa particolare e continua attenzione che la Chiesa rivolge ai martiri testimoni della fede in Gesù fino alla morte non ci ha lasciato indifferenti. È la condizione a cui noi tutti siamo chiamati: rendere ragione a noi stessi ed al mondo dell’incontro vivo e vero che abbiamo fatto con Gesù. Se Cristo è la risposta adeguata alla nostra domanda di felicità, di pienezza, di verità non possiamo non gridarlo al mondo. In questi anni abbiamo scoperto che la preghiera è veramente l’affermare la Signoria di Cristo su ognuno di noi ed è l’inizio innanzitutto del nostro cambiamento.
I nostri fratelli perseguitati alla domanda «di che cosa avete più bisogno?» rispondono “della vostra preghiera”.
Il vescovo siro-cattolico di Mosul, monsignor Yohanna Petros Mouche ebbe a dire: «Abbiamo conservato la nostra fede e non abbiamo appena salvato la nostra vita ma la fede che ci permette di vivere».
Siamo grati alla Fraternità di Comunione e Liberazione che con un messaggio di Davide Prosperi per il decennale ci ha scritto: «Mi unisco alle vostre preghiere nella certezza che è proprio nella nostra unità anzitutto che possiamo dare gioiosa testimonianza al mondo della nostra appartenenza a Cristo, sostenendoci come fratelli e sorelle anche nella persecuzione».
E citando don Giussani (Una rivoluzione di sé): «È attraverso me, te, ma attraverso me in quanto unito a te in nome Suo, cioè un quanto uniti a Lui, è attraverso noi, è attraverso la nostra unità, che la morte e la risurrezione di Cristo investono il mondo. Dobbiamo smarrirci o, come dire, stupirci perché ci perseguiteranno sempre?! Il potere, di qualunque natura sia, perseguiterà sempre. È la legge della storia. Come dice san Paolo: perseguitati, riviviamo, sempre schiacciati e sempre vivi».
Commovente è stata l’apertura di una busta arrivata da Casa Santa Marta. Era una lettera, con firma autografa, di papa Francesco, in occasione del nostro decennale. «Grazie per la testimonianza di amabile carità, di vicinanza e specialmente di unione al dolore delle popolazioni ferite dall’ingiustizia, dalla sopraffazione, dall’odio e dall’avidità… Auspico che quanti aderiscono ai momenti di preghiera, con cuore ardente e colmi di Spirito continuino a farsi promotori di una cultura del rispetto verso tutti…dove ciascuno possa gustare il pane della comunione e la letizia della solidarietà».

Cardinal denies controversial conclave interview in Iraq imbroglio

By The Pillar
May 15, 2025

In a situation that’s gained widespread attention in Iraq, Chaldean Catholic leader Cardinal Louis Raphaël Sako has denied giving a controversial media interview in which the cardinal allegedly disclosed details of the papal conclave, including the claim that one cardinal accidentally submitted two ballots in a round of voting.
Sako told The Pillar Wednesday that an Iranian-backed militia was spreading misinformation about him, the cause of a social media maelstrom that has engulfed the cardinal since soon after the conclave concluded.

Controversy began in Iraq soon after a May 9 telephone interview between Sako and the Arabic-language Charity Radio TV, which is run by Maronite missionaries in Lebanon.
In the interview, the Iraqi cardinal — patriarch of the Chaldean Catholic Church — seemingly described the voting process at the May 7-8 conclave.
In the course of the interview, Sako is heard explaining the way in which support grew for electing Pope Leo XIV during the course of the conclave.
But as the interview proceeded, Sako also disclosed an apparent procedural irregularity in one round of voting. “There was a mishap: one of the cardinals placed two ballots into the box. There were 133 cardinals in total — two were absent due to illness — so the total became 134 ballots found,” Sako apparently said. 
The ballots were apparently stuck together, Sako appeared to recount, recalling that the cardinal who submitted them said it was a mistake, with Sako seeming to suggest that the accidental ballot had been left blank, and thus did not materially impact the process “But no one paid it much attention,” the cardinal apparently told interviewers, before moving on to discuss his personal interactions with Prevost, and his hopes for the pope’s approach to Eastern Catholics.
When it aired May 9, the interview became immediately controversial in Iraq — with both Catholics and non-Catholic Iraqis taking to social media to criticize it.
At issue, according to several sources, was that Sako was seen to have improperly disclosed the confidential deliberations of the conclave.
And because the cardinal was the first Iraqi to participate in a conclave in centuries — something that had been widely celebrated in Iraqi media in the weeks prior — critics said his disclosures were a source of shame for the Chaldean Catholic Church, and for Iraq itself.
While in recent weeks, numerous cardinals have given interviews discussing elements of the conclave, despite official canonical obligations of secrecy, Sako was one of few to face public pushback for it.
But Sako now claims not to have given the interview at all. Amid widespread pushback, Sako issued a statement May 11, saying that accounts attributed to him about the conclave “are false,” and that the cardinal had not “given any written or visual interviews since May 9.”
In fact, “the only article about the conclave, which he proudly wrote about his experience, was positive and is posted on the patriarchate website,” said the May 11 statement.
According to multiple sources in the Chaldean Catholic Church, Sako’s statement was widely understood to be a denial that he had actually given the May 9 Charity Radio TV interview — effectively, a claim that the interview was a kind of digital manipulation or fabrication.
And as the cardinal faced more pushback for that claim, he issued another statement May 12, entitled “Evil will never win.”
In that text, Sako claimed he was the victim of “strangely organized campaigns of provocation on social media platforms, using vulgar language that lacks taste, decency, accuracy, and truth.”
“This evil will not last, because only good is true and lasting,”
the cardinal added.

The Pillar contacted Sako May 14 for clarity about the controversy.
In response to questions about the May 9 interview, Sako told The Pillar by email that he had not given it at all. “I had several positive interviews [in Rome], but not in Iraq nor in Arabic,” he wrote.
The cardinal claimed that the confusion was caused by the Babylon Brigade, an Iranian-backed militia affiliated with Iraqi strongman politician Rayan al-Kildani, with whom Sako has publicly feuded for years.
“Babylon [Brigade] militia is since the beginning against me because of my position against corruption, sectarianism, and other things,” the cardinal wrote. “Therefore it published false informations about the conclave, which I did not [say], Sako added. Sako did not explain how an interview aired in which he seemed to participate, if he did not actually give the interview, or how the Iraqi Babylon Brigade might have co-opted Real Charity TV, which could itself not be reached for comment.

13 maggio 2025

Giubileo Chiese orientali. Card. Sako (patriarca caldeo): “Dialogo di vita e sinodalità il nostro contributo”

Daniele Rocchi

“Le Chiese orientali devono giocare il loro ruolo positivo e attivo perché facciamo parte della Chiesa cattolica universale. Il Papa è per tutta la Chiesa, non solo per una parte”.
Lo afferma il card. Louis Raphael Sako, patriarca caldeo di Baghdad, giunto a Roma per partecipare al Giubileo delle Chiese orientali, iniziato il 12 maggio e che si concluderà domani. In un’intervista al Sir, il patriarca sottolinea l’importanza del contributo delle Chiese orientali al cammino di unità con le Chiese ortodosse e al dialogo interreligioso:
“Noi possiamo aiutare a promuovere l’unità delle Chiese, cattolica e ortodossa. Possiamo dialogare per la pace, cercare di favorire un accordo per l’unità e il rispetto mutuale fra le religioni e i popoli”.
Per Mar Sako, “la speranza è il fulcro di questo impegno comune, una speranza che nasce dalla fede e che spinge a rimettere Gesù al centro”.
In questa prospettiva “Papa Leone XIV ha indicato subito la strada. Io spero che tra i tanti suoi collaboratori possano esserci anche alcuni delle Chiese orientali per mostrare l’universalità della Chiesa”.
Dialogo interreligioso e sinodalità. Anche nel campo del dialogo interreligioso, il patriarca caldeo vede un ruolo significativo per le Chiese orientali, soprattutto nei rapporti con l’islam e l’ebraismo. “Papa Leone XIV ci ha subito esortato a costruire ponti. Io credo che l’esperienza maturata nel corso della storia, in questo campo, dalle nostre Chiese locali vada sfruttata”. Il patriarca rimarca l’importanza di un dialogo che non sia solo teorico, ma che si fondi sulla quotidianità e sulla convivenza reale.
“Noi sappiamo come viviamo, conosciamo l’altro meglio di chi ha solo studiato l’islam o l’ebraismo. Noi portiamo avanti il dialogo della vita”.
Un altro contributo prezioso, secondo il cardinale, è rappresentato dalla tradizione di sinodalità propria delle Chiese orientali. “Mi auguro che Papa Leone XIV allarghi il gruppo dei 9 cardinali (C9), il Consiglio dei cardinali, istituito da papa Francesco nel 2013 per coadiuvare e consigliare il pontefice nel governo della Chiesa cattolica”. Un allargamento di questo organismo, spiega, “permetterebbe un dialogo più ampio e una maggiore partecipazione alla guida della Chiesa”.
Un linguaggio nuovo per il mondo digitale. Il patriarca caldeo non nasconde la necessità di un rinnovamento del linguaggio all’interno delle Chiese orientali: “Dobbiamo aggiornare il nostro linguaggio perché la gente è cambiata, sono cambiate la cultura, le mentalità, le sensibilità. Occorre usare un linguaggio che sia più comprensibile alla gente per dire la liturgia, la catechesi. Il mondo è un villaggio digitale e dobbiamo trovare un modo più accessibile per parlare di Gesù, dell’eternità, della fede. Questo non vale solo per i nostri cristiani ma anche per i credenti delle altre fedi”.
Essere a Roma per il Giubileo delle Chiese orientali, conclude Mar Sako, “rappresenta un segno di collegialità e comunione: la Chiesa è una e non deve essere pensata in modo settario, orientali e occidentali. Nessuno deve essere dimenticato o marginalizzato”.

11 maggio 2025

I cardinali entusiasti: «Il Papa ci ascolta». Cos'è il C9 creato da Bergoglio

Fabrizio Caccia

Lo conoscevano già, ma giorno dopo giorno papa Prevost è una magnifica scoperta anche per loro. Ieri mattina, nell’Aula Paolo VI, all’incontro a porte chiuse con i cardinali, si è presentato così: «In Perù dicono che ci sono 2.000 specie, 2.000 categorie di papas, cioè patate, in spagnolo. Beh adesso sono diventate 2.001...». Voleva dire: con lui, con il Papa agostiniano, missionario senza paura e teologo raffinato, che gioca con le parole (papa e papas) ma sembra avere ben chiara l’idea di dove vuol portare la Chiesa.
Il cardinale argentino Leonardo Sandri, 81 anni, all’uscita racconta il gustoso aneddoto e ancora ride. Spiritoso, papa Leone. E pieno di sorprese. Nell’Aula del Sinodo, dopo il suo intervento iniziale, che ha ripreso i temi potenti già lanciati col discorso dalla Loggia delle Benedizioni e l’omelia a San Pietro (la pace nel mondo, l’unità della Chiesa), rivolto ai cardinali ha detto: «Adesso tre minuti di silenzio per riflettere, riflettete, poi incominciate a parlare tra di voi, con i vostri vicini di sedia, quindi se volete chiedete di intervenire...».
E quasi 60 porporati volevano parlare, tra cui pure Sandri, ma a mezzogiorno passato, dopo più di due ore, mancavano ancora una trentina di interventi e Prevost ha sciolto l’assemblea: «Scusate ma ho altri impegni», tra cui la visita privata al Santuario della Madre del Buon Consiglio, a Genazzano, dai suoi amici frati agostiniani.
I cardinali, però, non se la sono presa. Anzi, tutt’altro. Forse è presto per dirlo, ma sembra averli già conquistati: «Con la sua amabilità, la luce che emana», racconta il cardinale Giuseppe Versaldi, 81 anni, un altro che ieri era presente. «Siamo arrivati all’incontro entusiasti e lo eravamo anche dopo, perché Prevost è lui stesso l’esempio vivente della sinodalità della Chiesa, con l’ascolto di tutti e poi il discernimento, la capacità cioè di fare sintesi, guidata dalla Grazia di Dio», continua il porporato di Villarboit (Vercelli).
Ma le berrette rosse nelle oltre due ore passate insieme si sono fatte sentire eccome: «In tanti, di ogni parte del mondo, gli hanno chiesto di coinvolgere il maggior numero possibile di noi nel governo della Chiesa», dice Domenico Calcagno, 82 anni, creato cardinale da Benedetto XVI nel 2012. «Perché noi in fondo siamo il Senato del Papa», gli fa eco Sandri con orgoglio. E sì, scherza (ma mica tanto) Calcagno, «è vero che papa Bergoglio aveva creato il suo C9 (il Consiglio dei cardinali, ndr), piano piano però si assottigliava, via un cardinale dopo l’altro, C8, C7...». Così ieri i cardinali hanno chiesto a Leone XIV pure di moltiplicare gli incontri, «non limitarli a una volta l’anno — continua il porporato di Parodi Ligure (Alessandria) —. Ormai le tecnologie lo permettono, possiamo organizzare delle conference call».
Un altro momento d’indubbia ilarità è stato quando il cardinale Louis Raphaël Sako, patriarca di Baghdad, ha rappresentato al Papa la necessità di tenere conto anche dei capi delle Chiese orientali, che non sempre sono cardinali. E Calcagno, allora, svela qual è stata la risposta pronta e molto ironica di Prevost: «Certamente cardinale, ma mi sembra che così lei stia preparando già il prossimo Conclave...».
A parte la battuta, su questo argomento il cardinale Sandri ha proposto di invitare anche i capi delle Chiese orientali al Concistoro. Ma Calcagno aggiunge che un altro tema molto sentito, ieri alla riunione, è stato quello — sollevato in particolare dai cardinali italiani — di «stare vicino e aiutare di più i sacerdoti e i vescovi», che si sentono trascurati: «Molti candidati all’episcopato rinunciano perché non tutto è splendore — l’allarme di Calcagno —. C’è chi dice: ma chi me lo fa fare?».
Molti dei cardinali del Conclave partiranno oggi dopo la recita solenne (ore 12) del Regina Coeli dalla Loggia centrale. Già ieri uno a uno sono stati salutati dal Papa. Alla fine Sandri è netto: «Prevost è molto umile, semplice, sereno. Ci è piaciuto».

7 maggio 2025

"Il Papa agevoli il dialogo con l'islam e si occupi dei cristiani perseguitati"

Fabio Marchese Ragona

Sua Beatitudine Louis Sako, Patriarca di Baghdad dei Caldei. Lei è uno dei 133 cardinali elettori che oggi entreranno in conclave. Che emozione è per lei?
 «Una grande emozione, siamo già preparati sia spiritualmente che psicologicamente. Per diversi giorni abbiamo avuto raduni insieme, ognuno ha avuto la possibilità di dire qualcosa e adesso dobbiamo fare una scelta».
Che profilo è emerso per il nuovo Papa?
«Un padre, un pastore, ma anche un catechista per insegnare la fede. La gente perde la fede qui in Occidente. Servirà una voce profetica per realizzare la pace nel mondo contro guerre e conflitti. E per le Chiese orientali, io ho insistito anche sul dialogo con l'Islam: Papa Francesco ha compiuto una tappa con il documento sulla fratellanza umana, bisogna continuare e avere una cura speciale per incoraggiare i cristiani dell'Oriente a rimanere a sperare. Sono le radici del cristianesimo».
Quali devono essere le priorità del nuovo Papa?
 «Unire la Chiesa e garantire l'integrità della fede. Lui non è un capo ufficio è il successore dell'Apostolo Pietro e deve anche essere missionario».
Deve anche avere un'attenzione per i giovani che chiedono di essere ascoltati?
«Deve conoscere la mentalità della gente di oggi per presentare il Vangelo in un linguaggio nuovo, per attirare la gente. Uno che legga i segni dei tempi, che abbia una sensibilità speciale verso i laici, i giovani, i bambini, le donne. Il Papa non è solo uno che governa il clero, è per tutti».
Lei arriva da una terra di sofferenza, il nuovo Papa deve avere come priorità anche i cristiani che spesso soffrono le persecuzioni
«Penso che la priorità debbano essere questi cristiani dell'Oriente, in Libano, in Siria, in Palestina, in Iraq. Tante persone lasciano il Paese, Papa Francesco era molto vicino a loro, se il nuovo Papa non avrà una preoccupazione diretta con le chiese orientali, ma anche con i capi di questi Paesi, per rispettare i diritti dei cristiani, i cristiani fuggiranno».
Quindi il dialogo con l'Islam
«Sì, è molto importante, perché oggi la religione musulmana viene dopo la religione cristiana. I musulmani vivono anche in Occidente, non c'è una pastorale verso di loro, non c'è un'accoglienza, alcuni diventano fanatici e creano problemi. La Chiesa deve pensare anche a loro».
Lei pensa che il nuovo Papa possa essere amato come Papa Francesco?
«Ognuno ha le sua peculiarità, non può esserci un 'copia e incolla', ma penso che chi arriva sarà come lui, continuerà ciò che ha fatto Francesco, ma deve fare di più, perché il tempo, la cultura, la gente cambia. Un padre che pensi a tutti».
Che tenga conto anche della collegialità all'interno della Chiesa
«Deve dare voce a tutti. E aggiungo che lui non deve essere da solo: ci vuole un gruppo di lavoro con lui, anche alcuni laici, preti, cardinali, vescovi, perché lui non può sapere tutto da solo, deve poter chiedere consigli agli altri.
Qual è il suo augurio adesso per la Chiesa che verrà?
«Che sia una Chiesa apostolica, una Chiesa vicina alla gente, dunque non sopra la gente, una Chiesa che cammina, come Papa Francesco ha fatto con la sinodalità. La Chiesa non può essere rigida, la Chiesa deve andare dove la gente va per orientare la gente verso Cristo».

6 maggio 2025

Conclave, è corsa contro il tempo. “C’è grande confusione”

Andrea Gualtieri

«Che grande confusione». Il cardinale Ignatius Suharyo Hardjoatmodjo è appena arrivato da Giacarta. È stato uno degli ultimi tre elettori che ieri si sono aggregati alle Congregazioni generali, ha prestato giuramento di riservatezza in mattinata e poi si è tuffato nelle riunioni, ansioso di farsi un’idea prima di entrare, domani pomeriggio, nella Cappella Sistina. A fine giornata, dopo aver ascoltato quasi cinquanta interventi, confessa di essere più disorientato di prima: «Abbiamo sentito tante voci, non è facile tirare le somme». L’unica cosa che gli appare chiara è che si andrà avanti in continuità con Francesco. Sì, ma come e soprattutto con chi? «Vedremo, dobbiamo riflettere».
Il tempo, però, è quasi scaduto. Stamattina i cardinali affrontano l’ultima maratona di interventi: più o meno altri venticinque, fino alle 12 e 30. Poi basta, è ora di trasferirsi a Santa Marta dove potranno portare i bagagli già da stamattina e, se lo vorranno, dormire stasera prima della messa pro eligendo pontifice fissata per le 10 di domani nella basilica vaticana.

Il cardinale Radcliffe autografa una palla da baseball al collezionista: "Magari è il prossimo Papa"
Resteranno quindi solo i conciliaboli e i colloqui individuali per scegliere il nuovo Papa. Ammesso di avere un recapito diretto del confratello. «Il problema è che non ci conosciamo, non è possibile che un’occasione di confronto del genere avvenga solo quando poi dobbiamo affrettarci a scegliere il Papa, ora si rischia che il Conclave duri tre o quattro giorni», si lascia andare l’iracheno Louis Sako: «Io sono cardinale da sette anni, finora ci siamo ritrovati quando venivano concesse le nuove porpore, ma al di là di qualche scambio di parole, in quei casi non sono previste discussioni così aperte sulla situazione della Chiesa a Roma e nel mondo. Sarebbe opportuno rendere il concistoro un’istituzione concreta, non solo formale».
Sembra essere il grande tema che aleggia sul preconclave. E che, nello stesso tempo, rischia di condizionarlo. C’è da capire chi ha un’idea più convincente di «collegialità». «Il Papa non può decidere da solo sulle grandi questioni», dice ad esempio Sako.
E nello stesso tempo c’è da declinare l’altro tema su cui Bergoglio ha insistito in modo martellante, la sinodalità.
L’interpretazione che ne è stata data durante lo scorso pontificato ha ricevuto nelle riunioni attacchi frontali da parte dei gruppi più conservatori e anche da qualche voce di frontiera come quella del cardinale Joseph Zen Ze-kiun, salesiano di 93 anni, vescovo emerito di Hong Kong inviso al governo cinese che lo ha persino imprigionato. «A suo tempo mi avevano rilasciato il passaporto per il funerale di papa Benedetto, due giorni a Roma; questa volta dieci giorni», ha raccontato. E dopo aver elogiato la personalità di papa Francesco, si è lanciato in un discorso che è stato fatto poi circolare sui social. Un affondo nel quale si descrive un sinodo snaturato: era «uno strumento storico del magistero della Chiesa», ma ora «non è più il sinodo dei vescovi». Affermazioni che hanno ovviamente suscitato le reazioni dei bergogliani più stretti, in un susseguirsi di interventi nei quali è stato chiamato in causa anche il diritto canonico.
Tutto senza alzare i toni, assicura un porporato già esperto di Conclave nell’elogiare la ricchezza del confronto. «Sì — conferma il cardinale spagnolo Santos Abril y Castelló ci sono tante voci ed è molto interessante ascoltarle. Non tutte, in verità. Ma non le dirò mai quali sono state noiose».
È l’altra partita che si gioca in queste ore. In quegli interventi da dieci minuti, che in qualche caso sforano fino a venti, ci sono nomi papabili che dilapidano il credito di fiducia e altri la cui personalità emerge all’improvviso. Tra questi ultimi, sembra farsi strada il filippino Pablo Virgilio Siongco David, 66 anni vescovo di Kalookan. E se la confusione si trasformasse in sorpresa?

Conclave 2025: cresce il peso di Asia e Oceania nel collegio con 27 elettori

Riccardo Benotti

Saranno 27 i cardinali elettori provenienti da Asia e Oceania a partecipare al prossimo Conclave, pari al 20% del collegio. Di questi, 23 provengono dall’Asia (17%) e 4 dall’Oceania (3%). Una presenza in crescita, che riflette il dinamismo delle comunità cattoliche in due continenti vasti e culturalmente variegati. Molti di loro operano in contesti di minoranza, spesso segnati da tensioni sociali, culturali o religiose. L’età media è di 68 anni. Una Chiesa giovane, missionaria, spesso silenziosa, ma profetica.

Asia meridionale.
Dall’India provengono 4 cardinali: Filipe Neri Ferrão (1953), arcivescovo di Goa e Damão, è attento alla sinodalità e all’identità cristiana in contesto pluralista; Anthony Poola (1961), arcivescovo di Hyderabad, è il primo cardinale dalit nella storia della Chiesa indiana; George Jacob Koovakad (1973), giovane prelato, riflette il volto emergente della nuova generazione ecclesiale; Baselios Cleemis (1959), capo della Chiesa siro-malankarese, porta al Conclave la ricchezza delle Chiese orientali in India.
Dal Pakistan proviene Joseph Coutts (1945), arcivescovo emerito di Karachi, noto per il suo impegno nel dialogo interreligioso e nella promozione della pace in un contesto segnato da tensioni religiose.
Dal Myanmar, Charles Maung Bo (1948), arcivescovo di Yangon, è il primo cardinale del Paese e si distingue per il suo impegno nella riconciliazione e nella difesa dei diritti umani.
Dalla Thailandia, Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij (1949), arcivescovo emerito di Bangkok, ha focalizzato il suo ministero sull’educazione, la pace e la riconciliazione.
Dall’Indonesia, Ignatius Suharyo Hardjoatmodjo (1950), arcivescovo di Jakarta e ordinario militare per l’Indonesia, è noto per il suo impegno nel dialogo interreligioso e nella giustizia sociale.
Dalla Malaysia, Sebastian Francis (1951), vescovo di Penang, è impegnato nella promozione del dialogo interreligioso e dell’armonia sociale in un contesto multireligioso.
Dallo Sri Lanka, Albert Malcolm Ranjith (1947), arcivescovo di Colombo, ha servito come nunzio apostolico e segretario della Congregazione per il Culto Divino, ed è noto per la sua fermezza dottrinale e il suo impegno nella promozione della liturgia.

Asia orientale
Il Giappone è rappresentato da Thomas Aquino Manyo Maeda (1949), arcivescovo di Osaka-Takamatsu, e da Tarcisio Isao Kikuchi (1958), presidente della Conferenza dei vescovi cattolici del Giappone e presidente di Caritas Internationalis, entrambi impegnati nel dialogo e nella testimonianza cristiana in un contesto secolarizzato.
Dalle Filippine provengono 3 cardinali: Luis Antonio Gokim Tagle (1957), pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, già arcivescovo di Manila e figura di spicco a livello globale; Jose Fuerte Advincula (1952), arcivescovo di Manila, pastore attento ai poveri e ai giovani; Pablo Virgilio David (1959), vescovo di Kalookan, noto per il suo impegno nella difesa dei diritti umani e della dignità dei più deboli.
Dalla Corea del Sud arriva Lazzaro You Heung-sik (1951), prefetto del Dicastero per il Clero, rappresentante di una Chiesa vivace e missionaria in una società in rapido cambiamento.

Asia sud-orientale e Cina
Da Singapore proviene William Seng Chye Goh (1957), arcivescovo di Singapore, promotore di un cristianesimo radicato nella cultura asiatica.
Da Timor Est arriva Virgilio do Carmo da Silva (1967), primo cardinale del Paese, guida di una Chiesa giovane e profondamente popolare.
Dalla Mongolia, Giorgio Marengo (1974), missionario della Consolata, è tra i più giovani del collegio cardinalizio e porta la voce di una Chiesa nascente.
Dalla Cina continentale giunge Stephen Chow Sau-yan (1959), vescovo di Hong Kong, gesuita, chiamato a una delicata missione di comunione e discernimento in una realtà complessa.

Vicino Oriente
Dall'Iraq arriva Louis Raphaël Sako (1948), patriarca caldeo, testimone della fede tra le difficoltà del Paese mediorientale.
Da Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa (1965), patriarca latino, guida della Chiesa cattolica in Terra Santa, figura di dialogo e costruzione di ponti.
Dall’Iran, Dominique Joseph Mathieu (1963), arcivescovo di Teheran-Ispahan, è il primo cardinale con sede in Iran, noto per il suo impegno nel dialogo interreligioso e nella promozione della pace in un contesto complesso.

Oceania
Dall’Oceania giungono 4 cardinali elettori, provenienti da una regione vastissima e con una presenza cattolica numericamente contenuta ma molto attiva.
John Ribat (1957), arcivescovo di Port Moresby (Papua Nuova Guinea), è il primo cardinale del suo Paese e si è distinto per il suo impegno nella tutela dell’ambiente e dei diritti umani.
Soane Patita Paini Mafi (1961), vescovo di Tonga, è il più giovane cardinale mai nominato da quell’arcipelago e rappresenta una Chiesa insulare profondamente radicata nella vita delle comunità locali.
John Atcherley Dew (1948), arcivescovo emerito di Wellington (Nuova Zelanda), ha guidato per anni la Chiesa neozelandese promuovendo il dialogo e la formazione teologica.
Mykola Bychok (1980), eparca per i fedeli ucraini in Australia, è il più giovane tra i cardinali e testimonia la presenza viva delle Chiese orientali anche nel continente australe. In un contesto di secolarizzazione crescente, i cardinali dell’Oceania portano al Conclave l’esperienza di una Chiesa prossima alle periferie geografiche e umane.

Sako: mantenere viva la presenza dei cristiani iracheni nella terra di Abramo

Dario Salvi
3 maggio 2025

Un pastore per una comunità perseguitata, che da anni si batte per mantenere viva la presenza cristiana nella “terra di Abramo” rivendicando pari diritti fra tutti gli iracheni secondo il principio della “cittadinanza” e fautore di un dialogo schietto, ma sincero, con il mondo musulmano.
Il card. Louis Raphael Sako, patriarca di Baghdad dei caldei, sin dai tempi in cui era arcivescovo di Kirkuk - la nomina risale al 2003, anno dell’invasione statunitense con la caduta di Saddam Hussein - ha sperimentato nella missione difficoltà e sfide di una nazione martoriata da guerre e jihadismo. Ciononostante ha saputo rispondere con coraggio e fedeltà, tanto da accogliere papa Francesco nel primo viaggio apostolico post pandemia nel marzo 2021, quando ancora il Covid-19 rappresentava una minaccia sanitaria ed economia globale. Da quella storica visita del pontefice con tappa a Mosul - un tempo roccaforte Isis - e l’incontro con la massima autorità sciita Ali al-Sistani è nata una chiesa a Ur, inaugurata di recente, testimonianza della radice comune delle tre grandi religioni monoteiste: ebraismo, cristianesimo e islam.
Nato il 4 luglio del 1948 a Zakho, nel nord dell’Iraq, egli ha compiuto i primi studi a Mosul per poi entrare nel locale seminario di san Giovanni fondato dai domenicani; l’ordinazione sacerdotale risale al primo giugno 1974 a Mosul, dove resta fino al 1979 a servizio della cattedrale. Si trasferisce poi a Roma e a Parigi dove consegue due dottorati in patristica orientale e in storia, per poi tornare in Iraq come rettore del seminario patriarcale dal 1979 al 2002. Richiamato a Mosul, il futuro primate guida la parrocchia di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, fino all’elezione ad arcivescovo di Kirkuk nel 2003.
Dieci anni più tardi viene eletto patriarca caldeo nel Sinodo indetto a Roma da Benedetto XVI, succedendo al predecessore Emmanuel Delly III dimissionario per limiti di età. Da presule prima, quindi da massima autorità della Chiesa irakena, ha più volte denunciato l’esodo dei cristiani e lanciato appelli all’esecutivo centrale e alle amministrazioni locali per garantire loro un futuro nella terra di origine. Papa Francesco lo ha elevato al rango cardinalizio nel Concistoro del 28 giugno 2018 ed è attualmente membro dei dicasteri per le Chiese orientali, per la Cultura e l’educazione e per il Dialogo interreligioso, oltre a far parte del Consiglio per l’economia.
Nel febbraio scorso, parlando dell’imminente inaugurazione della chiesa a Ur dei caldei, la Ibrahim Al-Khalil Church, il porporato definiva il luogo di culto un “messaggio”, un “segno di apertura” e un “luogo di pellegrinaggio internazionale” per cristiani e musulmani. Come la chiesa del Battesimo sul Giordano e la Casa Abramitica negli Emirati Arabi Uniti (Eau), essa rappresenta un “segno” di cui “abbiamo bisogno oggi” perché “uniscono l’umanità e rappresentano un punto di incontro per tutte le religioni”. L’edificio polivalente - è anche centro sociale e culturale - vuole essere al contempo un incoraggiamento per la comunità cristiana irachena, decimata nell’ultimo ventennio tanto che, se in passato si contavano almeno 1,5 milioni di fedeli, oggi ne sono rimaste poche centinaia di migliaia.
Oltretutto la chiesa a Ur richiama uno dei momenti più significativi vissuti dai cristiani iracheni - e dallo stesso patriarca - nell’ultimo ventennio: la visita di Francesco, primo papa pellegrino nella terra di Abramo e messaggero di pace, di dialogo e di speranza per una comunità che cercava di risollevarsi dalla follia jihadista dello Stato islamico (SI, ex Isis). “Con la sua presenza - raccontava il patriarca caldeo - il Santo Padre ha restituito dignità, e visibilità, a una popolazione cristiana che negli ultimi 20 anni è stata decimata a causa delle guerre, dello sfollamento e dell’emigrazione forzata”. “Venendo fra noi - prosegue - egli ha inviato un messaggio agli iracheni e a tutte le nazioni della regione mediorientale: basta guerre, basta violenza. E ha affermato una volta di più il bisogno di rispettare la dignità umana e la libertà delle persone, unita all’incoraggiamento alla minoranza cristiana esortandola a rimanere nella propria terra. Francesco era per noi un profeta che è venuto a dirci coraggio, non abbiate paura”.
In questi anni il card. Sako ha sperimentato in prima persona le sfide di una nazione in cui i cristiani sono vittime di interessi esterni e di lotte politiche coperte dal manto della religione, che lo hanno spinto a compiere anche gesti clamorosi. Il caso più evidente si è consumato due anni fa quando il primate caldeo ha deciso di trasferire la sede patriarcale da Baghdad a Erbil, in risposta alla campagna “deliberata e umiliante” del presidente Abdul Latif Rashid di annullare il riconoscimento del decreto patriarcale; un provvedimento che minava il ruolo e l’autorità del porporato stesso, sconfessando una tradizione secolare per colpire la massima autorità cattolica. Dietro la decisione del presidente vi era una “guerra per il potere” lanciata un sedicente leader cristiano il quale, sostenuto da milizie filo-iraniane attive in Iraq, aveva come obiettivo di assumere il controllo di beni e proprietà cristiane.
In una intervista ad AsiaNews il card. Sako aveva definito il ritiro del decreto un “assassinio morale” e il trasferimento della sede patriarcale una “protesta estrema”. “A Baghdad - aveva aggiunto - farò ritorno solo quando verrà ritirato”. La vicenda si è risolta fra aprile e giugno del 2024 quando il primo ministro Mohammed Shia al-Sudani ha restituito “pieni poteri” e autorità al porporato. “È stato molto bello rientrare - ricorda il cardinale - dopo aver portato avanti questa battaglia, fondata sulla giustizia”. Da questa protesta “ferma e pacifica” [concetti alla base della decisione e che egli ha ribadito più volte e con forza] emerge che la Chiesa “non deve avere paura” e deve essere al tempo stesso “trasparente”.
Un approccio, quello improntato al rigore e alla trasparenza, che gli sono valsi anche il rispetto e, in alcuni casi, una vera amicizia con leader religiosi musulmani, sunniti e sciiti. Un rapporto che si può costruire salvaguardando la presenza e testimoniando la propria fede, senza per questo farsi trascinare dal proselitismo che è l’approccio di alcune sette protestanti.
In quest’ottica è stata fondamentale, ancora una volta, la visita di papa Francesco in Iraq che “ha cambiato la mentalità musulmana” osserva il porporato, fornendo anche le chiavi “per una maggiore comprensione della nostra fede”. In un’ottica di dialogo interreligioso, aggiungeva, “l’incontro con al-Sistani penso possa dare una ulteriore spinta. Vi è qualcosa che si muove dentro l’islam e i passi compiuti con il mondo sunnita ad al-Azhar possono essere ripercorsi con l’islam sciita a Najaf. Un dialogo che non sia basato solo sulle parole, ma sull’amicizia e sull’amore. Il papa ha seminato, ora tocca a noi come Chiesa locale e come cristiani irrigare e far crescere questo seme”.
Un’ultima riflessione, il card. Sako la dedica al ricordo di papa Francesco e al loro ultimo incontro nell’ottobre dello scorso anno, in cui “mi ha detto che l’Iraq è nel suo cuore. Una frase che mi ha colpito molto, perché ha parlato di tutto il Paese, dei cristiani e degli iracheni in generale”. “Le parole di Francesco - conclude il porporato, che si appresta a partecipare al Conclave - sono un richiamo anche per il futuro papa: deve essere per tutti, non solo per cristiani ma anche per quanti non credono. Deve essere un messaggero di pace e di fratellanza. Papa Francesco ha saputo leggere e cogliere meglio di chiunque altro i segni dei tempi”.

29 aprile 2025

Conclave, cardinal Sako: «Sarà breve, due o tre giorni»

By AGTW

   

 I cardinali tornano a riunirsi nella Congregazione, che accompagnerà fino all'inizio del conclave del 7 di maggio. Decine di telecamere all'esterno del colonnato ad attendere i prelati.
«C'è un'atmosfera fraterna e uno spirito di responsabilità», ha affermato il cardinale di Baghdad, Louis Raphael I Sako.
«Sarà un conclave breve, due o tre giorni».

L’Iraq fissa il voto all'11 novembre: la sfida di archiviare guerre e jihadismo

By Asia Newsالعربي الجديد - The New Arab - 
Dario Salvi

Divisioni sul versante sciita, il tentativo della società civile di dar vita a un movimento unitario che garantisca maggiore rappresentatività a livello politico e leader cristiani che invocano una riforma delle quote per un voto a rischio dispersione. Il prossimo 11 novembre gli iracheni saranno chiamati alle urne per le elezioni parlamentari, una tornata elettorale fondamentale per delineare i passi futuri di una nazione che vuole - o almeno sta provando - lasciarsi alle spalle due decenni di guerra e violenze jihadiste. Nei giorni scorsi l’Alta Commissione elettorale irachena (Ihec) ha dato l’annuncio ufficiale, confermato a stretto giro di vite da una nota del gabinetto del primo ministro Mohammed Shia al-Sudani. Un passaggio per nulla scontato in un clima di dibattito intenso legato alle diverse proposte di modifica della legge elettorale, richieste di estensione della durata dell’attuale Parlamento e l’istituzione di un esecutivo di emergenza.

Il fronte sciita
Compreso il Kurdistan iracheno a maggioranza curda, sono circa 29 milioni gli aventi diritto ma solo coloro i quali sono provvisti di schede biometriche potranno votare. Su 314 partiti registrati sono 70 quelli che hanno presentato la candidatura ufficiale, con un processo iniziato il 15 aprile e che prosegue sino al 23 maggio prossimo come riferisce l’Ihec. Le elezioni di novembre saranno la sesta tornata parlamentare dall’invasione dell’Iraq degli Stati Uniti nel 2003. Il governo si trova ora ad affrontare una crescente pressione a seguito a voci - peraltro smentite - di un tentativo del Coordinating Framework di far slittare le urne. L’attuale legislatura, iniziata il 9 gennaio 2022, si concluderà l’8 gennaio del prossimo anno. A differenza dei precedenti con distretto unico per provincia, l’ultimo voto si è svolto con un sistema multi-distrettuale che è stato poi annullato nel marzo 2023 con un terzo decreto che ha reintrodotto il precedente sistema.
Intanto sul versante sciita, a sette mesi dalle urne, sembra prevalere una situazione fluida nella definizione di liste e alleanze. Al-Sudani è in cerca di un secondo mandato e dovrebbe guidare un’ampia lista in grado di assicurargli un cospicuo pacchetto di voti (e seggi parlamentari). Tuttavia, analisti ed esperti riferiscono di una situazione di grande tensione sotto la superficie legata anche alla crescente pressione sulle milizie sciite in Iraq, espressione della “lunga mano” iraniana che per anni ha influenzato le vicende interne del Paese vicino. Il Coordination Framework, alleanza sciita al potere, ha annunciato la sua intenzione di presentarsi in sei liste separate, per poi riunirsi a conclusione del voto. Fra i fattori di contrasto vi è la decisione del premier di avviare colloqui col presidente siriano ad interim Ahmed al Sharaa, oltre a invitarlo al summit della Lega Araba a Baghdad il mese prossimo. Sharaa è osteggiato da molti sciiti per i suoi trascorsi jihadisti, l’affiliazione ad Al Qaeda e il ruolo nella deposizione di Bashar al Assad. Un fattore che si somma a quello del disarmo delle milizie sciite. Vi è infine il ruolo del potente leader Muqtada al Sadr, il quale ha annunciato a marzo l’intenzione di non partecipare alle prossime elezioni, anche se ha dato istruzioni ai suoi seguaci di aggiornare - regolarizzandola - la posizione elettorale.

Curdi e società civile
In queste settimane i partiti curdi di opposizione hanno avviato intense trattative volte a formare una coalizione unitaria, cercando di ridisegnare il panorama politico per interrompere il predominio dei due principali schieramenti: il Partito democratico del Kurdistan (Kdp) e l’Unione patriottica del Kurdistan (Puk). Protagonisti dell’iniziativa il Gruppo giustizia del Kurdistan insieme all’Unione islamica del Kurdistan (Kiu) e il Fronte popolare, che hanno portato a un accordo preliminare. Di contro anche il Kdp e il Puk stanno valutando la possibilità di candidarsi con una lista comune nelle aree contese, nel tentativo di assicurarsi una rappresentanza più forte in queste regioni sensibili. Nel mirino le province di Diyala, Kirkuk, Ninive e Saladin, già teatro di tensione tra i governi di Baghdad ed Erbil. Questi territori sono ricchi di petrolio e hanno una notevole importanza strategica. Le dispute derivano da cambiamenti demografici, in particolare dallo spostamento forzato di curdi e turcomanni e dall’insediamento di arabi sotto Saddam Hussein.
Fra gli altri elementi di novità in vista del voto vi è il tentativo di movimenti della società civile e gruppi politici di creare un’alternativa ai partiti tradizionali, a dispetto dei dubbi sulla reale efficacia. Pur avendo partecipato alle precedenti elezioni, sono considerati dagli elettori come incapaci di portare un reale cambiamento o attuare le riforme promesse, tra cui la fine della spartizione settaria del potere e la rotazione delle cariche. Secondo alcune fonti i movimenti potrebbero dividersi in due alleanze, formate però da gruppi con scarso seguito e sostenute da finanziamenti provenienti da partiti tradizionali. Circa venti gruppi politici - tra cui il Movimento Nazil Akhud Haqqi, il National Home Party e la corrente Our Cause - si sono riuniti per discutere di una coalizione unificata, ricevendo però poco sostegno dall’elettorato.
Il Partito comunista iracheno e i suoi alleati tradizionali stanno cercando di formare uno schieramento più ampio, promuovendo una piattaforma di riforme contro la corruzione e il settarismo. Tuttavia, gli attivisti più giovani hanno in gran parte respinto questi sforzi, diffidando dei gruppi che in precedenza erano entrati nel governo attraverso il sistema di condivisione - e spartizione - del potere.
“L’idea delle alleanze e delle elezioni ha perso gran parte del suo impatto e del suo significato” per l’incapacità di determinare “un reale cambiamento” sottolinea l’analista politico Ali al-Hajimi in un’intervista all’edizione araba di The New Arab. L’obiettivo è creare un fronte capace di opporsi alle continue violazioni delle libertà pubbliche e private, dell’instabilità e della diffusione di armi incontrollate. Tuttavia, l’analista Abdullah al-Rikabi avverte che “l’attuale legge elettorale è progettata per servire i grandi partiti con potere finanziario e influenza geografica” mentre i movimenti civili risultano ancora oggi in una posizione di svantaggio.

Quote cristiane
Fra i temi al centro della prossima tornata elettorale vi è infine quello della rappresentatività delle minoranze, in particolare di quella cristiana per la quale si è speso nelle scorse settimane anche il card. Louis Raphael Sako, patriarca di Baghdad dei caldei. Poco più di un mese fa il porporato, in questi giorni a Roma per il Conclave chiamato a eleggere il successore di papa Francesco, ha lanciato un appello sottolineando come l’attuale processo elettorale non abbia garantito una reale rappresentatività alla minoranza cristiana in Parlamento. Dietro alle sue parole lo scontro durissimo col Movimento Babilonia, fazione “cristiana” in realtà collegata a milizie sciite filo-iraniane attive in Iraq e capeggiata dal sedicente leader cristiano “Rayan il Caldeo”. Ad oggi quattro dei cinque seggi riservati ai cristiani nel Consiglio dei rappresentanti sono infatti appannaggio di un gruppo che persegue politiche e interessi lontani dai bisogni della minoranza.
Il primate incoraggia i cristiani a registrarsi e partecipare convinti al voto, ma chiede anche che vengano presi opportuni provvedimenti, perché “la nostra attuale rappresentanza è scorretta e ci rifiutiamo di essere usati come propellente per gli interessi degli altri.
Nel Parlamento nove seggi sono attualmente riservati alle minoranze su 329, con un seggio ciascuno per Yazidi, Shabak, Mandei e Curdi Feyli. I cinque seggi cristiani sono distribuiti per regione fra Baghdad, Dohuk, Erbil, Ninive e Kirkuk, tutte città con comunità cristiane di considerevoli dimensioni. La vittoria del Movimento Babilonia nel 2021 è stata fonte di controversia, mentre il quinto seggio è andato ad un indipendente.
Il parlamentare Joseph Sliwa ha sottolineato come i vincitori “non rappresentano veramente i cristiani, poiché il 90% dei voti ottenuti proveniva da non cristiani”; difatti, i fedelissimi di Rayan il Caldeo hanno vinto grazie alla mobilitazione dello Shiite Coordination Framework, coalizione di partiti musulmani sciiti.
L’appello del card. Sako è una ulteriore conferma dell’importanza della rappresentatività cristiana, comunità ridotta ad un terzo negli ultimi 20 anni a causa della guerra e delle violenze confessionali.

28 aprile 2025

Cardinali verso il Conclave: grandi manovre, in campo i decani

By Quotidiano Nazionale
Nina Fabrizio

Il lutto per un Papa dura nove giorni. Ma i vespri celebrati ieri sera a Santa Maria Maggiore dal collegio cardinalizio in “corpore”, sono più che sufficienti per cominciare a voltare pagina ed entrare nel vivo dello studio dei candidati alla successione di Francesco in vista dell’extra omnes. Siamo ancora in una fase – mentre oggi si riunisce la quinta congregazione generale –, in cui i cardinali, particolarmente gli over 80 non elettori, lanciano volentieri messaggi, illuminano possibili identikit, indicano strade e lasciano cadere suggestioni.
È un conclave molto aperto del resto quello che potrebbe partire già il 5 maggio, al più tardi il 10. La decisione è attesa per oggi. Ed è in questa fase che chi vuole incidere in qualche modo deve far sentire anche se felpata la propria voce. Come fa Christoph Schönborn, arcivescovo emerito di Vienna, grande collaboratore delle riforme di Francesco, che solo il gennaio scorso ha raggiunto i fatidici 80 uscendo dal conclave ma rimanendo una figura influente: “Serve un Papa che raccolga l’eredità di Bergoglio che ci ha fatto capire che siamo tutti, indistintamente, figli di Dio”.
Entra più nel merito, Louis Raphael Sako, cardinale elettore e patriarca cattolico iracheno, nominato proprio da Francesco e che lui stesso riuscì a portare in un Iraq ancora dilaniato dal post conflitto in uno dei viaggi più a rischio per Francesco poiché si era nel pieno della pandemia ma ci furono anche dei concreti rischi attentati.
“Ora non si possono fare passi indietro con l’Islam – avverte Sako –. È una grande sfida per noi minoranza cristiana in Medio Oriente. Siamo minacciati e costretti ad andare via. Il prossimo Papa deve avere un rapporto molto vicino ai cristiani d’Oriente, per incoraggiarli a rimanere e sperare. Ma deve essere vicino anche all’Islam per vivere insieme nel segno del rispetto reciproco”.
Parla anche il cardinale Pietro Parolin, uno dei più alti allo stato attuale nel borsino dei papabili, particolarmente dopo il capolavoro diplomatico del faccia a faccia tra Trump e Zelensky sotto le volte della basilica di San Pietro. Lo fa dal contesto solenne della prima messa dei novendiali ma le sue parole potrebbero suonare già come un programma di governo.
“Papa Francesco – ha detto nell’omelia a san Pietro rivolgendosi in particolare ai giovani – è stato testimone luminoso di una Chiesa che si china con tenerezza verso chi è ferito e guarisce con il balsamo della misericordia e ci ha ricordato che non può esserci pace senza il riconoscimento dell’altro, senza l’attenzione a chi è più debole. Soprattutto non può mai esserci la pace se non impariamo a perdonarci reciprocamente”.
Dal sagrato di Santa Maria Maggiore, parla anche il cardinale maliano, Jean Zerba, non elettore. “Di Francesco deve rimanere l’insegnamento che siamo stati tutti creati da Dio, e quindi ne viene l’attenzione ai più poveri, ai piccoli. Il prossimo Papa sarà dall’Africa? Per noi la Chiesa non è Africa, o Asia, o Europa, è l’uomo. Non mi piace questa divisione conservatori-progressisti, cerchiamo un profilo più grande di questo, un uomo ricco, ricco di umanità”.
Tirando le somme, il profilo che emerge sempre di più è quello di una figura universale, dialogante, non incasellato in qualche etichetta, un diplomatico forse, oppure un pastore di una periferia proiettata sulla scena globale.

27 aprile 2025

Il sogno del patriarca di Bagdad : "Ora un padre, pastore e catechista"

Giovanni Panettiere

Su quale debba essere il profilo del successore di papa Francesco il cardinale Louis Sako ha le idee chiare. E ha anche un nome già stampato in mente. Il 76enne patriarca di Bagdad dei caldei ha ricevuto la berretta rossa dalle mani di Bergoglio nel 2018 e nelle scorse ore è atterrato a Roma per il funerale del Pontefice e per partecipare alle congregazioni generali e al suo primo Conclave. 
La confessione di rito orientale, che l’alto prelato presiede, incarna l’80% della minoranza cristiana in Iraq, 250mila persone su un totale ridotto in quindici anni da 1,5 milioni di fedeli a 300mila per via della sanguinaria decimazione ordita dai tagliagole dell’Isis. Sako fa parte della schiera dei cardinali del global south che riempirà la metà dei seggi in Cappella Sistina dove saranno 71 le nazioni rappresentate. "Alcuni osservatori temono che l’internazionalizzazione di questo Conclave produca una frammentazione dei voti, io non la vedo così – chiarisce in un perfetto italiano –. Questa diversità è una ricchezza, testimonia la Chiesa universale, non è un problema. Tutti cercheremo il Papa giusto per il nostro tempo".

Lei come se lo immagina?
"Spero in un padre, pastore e catechista, capace di lavorare in gruppo, non da solo. Adesso c’è un vuoto dopo la morte di Francesco, in particolare in Occidente. Serve un Pontefice che sia un Papa per tutti, non solo per Roma, un uomo che sappia cogliere i segni dei tempi sul dialogo interreligioso, in particolare con l’Islam, che è la seconda religione nel mondo, sulle donne, sull’urgenza della pace, anche commerciale".
Se l’aspettava la morte in convalescenza di Francesco?
"Sì, era tutto chiaro. La ripresa c’era, ma era troppo lenta. è uscito dal Gemelli per morire a Santa Marta. Per il Vaticano non era degno che un Papa morisse in ospedale, non è mai successo".
Nel 2021 lei accompagnò papa Francesco nel suo storico viaggio in Iraq, un Paese dilaniato dalle guerre e a forte maggioranza musulmana. Che rapporto è stato quello di Bergoglio con l’Islam?
"Ha cercato un dialogo interreligioso non accademico, incarnato nella vita della gente. Ha incontrato di persona il Grande Ayatollah Alì Al-Sistani a Najaf, la città sacra dello sciismo mondiale. Hanno sostenuto insieme la necessità della difesa dei diritti umani, della vita, il mutuo rispetto fra le fedi. Nel 2019, con il Grande imam di Al-Azhar, papa Francesco ha firmato l’inedita Dichiarazione di Abu Dhabi, per riscoprire la fratellanza universale e promuovere la giustizia e la pace, andando oltre pregiudizi e paure fra cristiani e musulmani".
Non teme che tutto questo possa essere archiviato?
"Paura non ne ho, perché sarebbe molto difficile, dopo il pontificato di Bergoglio. accettare un Papa nuovo per così dire classico, tradizionalista".
Le frange conservatrici sono al lavoro, e non da oggi, per intessere le loro trame e spingere i loro candidati... "Lo so e devo dire che è normale in questa fase. È anche una questione di formazione, storia ed età".
Quale deve essere la priorità del successore di Francesco? 
"Mi auguro metta al centro i temi della pace e del dialogo. Deve finire la mentalità della guerra che non appiana, ma acuisce le tensioni".
Il Conclave sarà lungo?
"Penso di no".
Ha già un nome in testa?
"Sì, ce l’ho, ma non lo dico ovviamente. In Conclave ci sono tanti bravi cardinali".
L’Italia potrebbe tornare ad avere un Papa italiano? 
"Aspettiamo, vediamo, perché no?".

Iraq's Cardinal Louis Sako hopes interfaith dialogue will be priority for next pope

Mina Aldroubi
April 26, 2025

The successor to Pope Francis should continue his work of promoting interfaith dialogue, especially between Christians and Muslims, Cardinal Louis Sako, the head of Iraq’s Chaldean Catholic Church, told The National.
Promoting harmony between religions was one of the hallmarks of Francis’s 12-year papacy, along with speaking up for the poor, the marginalised and people suffering the effects of war. The pontiff’s funeral will be held in Rome on Saturday, five days after he passed away at the age of 88.
Cardinal Sako, 76, is one of 136 cardinals who will be gathering in Rome to choose the next pope by secret ballot. Only cardinals aged under 80 are allowed to vote.
“I wish the next pope can be as humble, humanitarian as Pope Francis. I hope he will consider and promote dialogue between religions, especially Islam as it is the next biggest religion after Christianity, so that dialogue between religions will be kept going,” he said.
The pope is usually chosen from among the church’s college of cardinals, and Cardinal Sako has received the endorsement of the Iraqi government as a candidate to succeed Pope Francis.
Cardinal Sako said the death of Francis, who he described as “a shield for humanity”, was a big loss to the world and especially for the Middle East, which is going through a time of increased tension.
He was a spiritual and humanitarian person who left a mark on the world as he attempted to modernise the church and the world. He stood against corruption and oppressors and supported those who were neglected and persecuted,” he said.
His last meeting with Pope Francis was in October, which lasted about 15 minutes, Cardinal Sako said.
“I feel like a father has left us,” he added. “I was in total shock when I heard the news.”
Cardinal Sako was born in Zakho, northern Iraq, and has played a central role in interfaith dialogue in the country. Pope Francis elevated him to cardinal in June 2018, and visited Iraq in 2021 in what was seen as a major show of support to the country's Christian population.
Many Iraqi Christians fled abroad after sectarian warfare broke out in the wake of the 2003 US-led invasion. The plight of those who remained grew worse when ISIS seized large areas of northern and western Iraq in 2014 and persecuted religious minorities. The extremist group was defeated and driven out of the territory it seized by the end of 2017.
However, Christians have not seen much improvement until now, Cardinal Sako said.
“We are suffering immensely and there is little that has changed for the Christians of Iraq. Many are still unable to return to their homes as it remains unsafe,” he said.
Iraq’s Prime Minister Mohammed Al Sudani said this week that Cardinal Sako had his “unwavering support” to become the next pope.
“We reaffirm our unwavering support for His Beatitude Cardinal Louis Raphael I Sako, the sole nominee from the Middle East to succeed the late Pope Francis (may his soul rest in peace) as the head of the Holy See in the Vatican,” Mr Al Sudani said in a statement.
Speculation about the next pope has seen cardinals from Europe, the US, Africa, Asia, and the Middle East cited as possible successors to Francis.
“There is no nomination or general election for the pope’s position, however, wherever there is a cardinal in the world, the country to which they belong nominates them for the position,” Cardinal Sako said.
Christianity in Iraq dates back to the first century AD, when the apostles Thomas and Thaddeus are believed to have preached the gospel on the fertile floodplains of the Tigris and Euphrates rivers.

Card. Sako: tra Francesco e al-Sistani ‘dialogo di vita, oltre l’accademia

Dario Salvi
23 aprile 2025 

“A ottobre, l’ultima volta che l’ho incontrato di persona, mi ha detto che l’Iraq è nel suo cuore. Una frase che mi ha colpito molto, perché ha parlato di tutto il Paese, dei cristiani e degli iracheni in generale”. È il ricordo di papa Francesco affidato ad AsiaNews dal patriarca di Baghdad dei caldei, il card. Louis Raphael Sako, secondo cui “la memoria e la presenza” del pontefice argentino deceduto il 21 aprile scorso sono ancora vive nel Paese arabo. Una nazione martoriata da guerre e violenze confessionali che il papa stesso aveva visitato nel recente passato, portando sollievo e conforto. “Le parole di Francesco - prosegue il porporato - sono un richiamo anche per il futuro papa: deve essere per tutti, non solo per cristiani ma anche per quanti non credono. Deve essere un messaggero di pace e di fratellanza. Papa Francesco ha saputo leggere e cogliere meglio di chiunque altro i segni dei tempi”.
Fra le tappe più significative del pontificato di papa Francesco vi è certamente il viaggio apostolico in Iraq del marzo 2021: il mondo era ancora colpito dalla pandemia di Covid-19 e solo da poche settimane era iniziata la campagna di vaccinazione che, a distanza di oltre un anno, avrebbe restituito al pianeta una parvenza di normalità. Ciononostante, il pontefice ha intrapreso una visita dalla portata storica in un Paese che portava ancora i segni del conflitto interno seguito all’invasione statunitense del 2003, che aveva determinato la caduta del dittatore Saddam Hussein; a questo si sono poi sommate le gravissime violenze confessionali per mano dei gruppi jihadisti, in particolare dello Stato islamico (SI, ex Isis), col suo retaggio di sangue e brutalità.
Superati timori e incertezze, il papa ha viaggiato in diverse zone del Paese visitando la capitale, Baghdad, e ancora Mosul, la metropoli del nord a lungo “cuore” del califfato di al-Baghdadi. Fra le altre tappe ricordiamo Ur dei Caldei, dove da poco è stata inaugurata una chiesa dedicata ad Abramo, il padre comune delle tre grandi religioni monoteiste; infine Najaf, dove ha incontrato il grande ayatollah Ali al-Sistani, massima carica dell’islam sciita iracheno che ieri ha diffuso un messaggio di cordoglio in memoria del pontefice. “Era tenuto in alta considerazione spirituale e godeva di grande rispetto tra molte persone in tutto il mondo, per il suo ruolo distinto - ha scritto il leader sciita - nel promuovere questioni di pace, tolleranza e solidarietà con gli oppressi e i perseguitati in tutto il mondo”.
Con la sua presenza il papa ha restituito dignità, e visibilità, a una popolazione cristiana che negli ultimi 20 anni è stata decimata a causa delle guerre, dello sfollamento e dell’emigrazione forzata passando da quasi 1,5 milioni di fedeli a poco più di 300mila attuali. “Venendo fra noi - sottolinea il card. Sako - egli ha inviato un messaggio agli iracheni e a tutte le nazioni del Medio oriente: basta guerre, basta violenza. E ancora - prosegue il porporato - il bisogno di rispettare la dignità umana e la libertà delle persone, unita all’incoraggiamento alla minoranza cristiana esortandola a rimanere nella propria terra. Era per noi un profeta che è venuto a dirci coraggio, non abbiate paura”.
Il patriarca caldeo si trova in queste ore a Erbil, per una serie di incontri e conferenze ma in serata sarà di rientro a Baghdad, dove partirà venerdì 25 aprile diretto a Roma per concelebrare i funerali del pontefice e prendere parte al conclave come cardinale elettore. “In Iraq, come in tutto il mondo, la gente è commossa e triste per questa morte” che, pur a fronte delle condizioni di salute precarie del pontefice è “giunta comunque improvvisa, quasi inaspettata”. “Stamattina ero a una conferenza, alla presenza di quasi mille fra ministri e capi religiosi. Intervenendo ho voluto ricordare quanto bene ha fatto il papa per la Chiesa e per il mondo. Tutti sono rimasti colpiti per la sua morte, per noi è come aver perduto una voce profetica: di pace, speranza, umiltà e sensibilità, di vicinanza alla gente e, in particolare, di quanti soffrono. Una voce - prosegue - che si è levata contro le guerre, contro l’estremismo religioso, per il dialogo, visitando sei Paesi a maggioranza musulmana e firmando il documento sulla fratellanza”.
Infine, un ultimo pensiero è riservato allo storico incontro con al-Sistani, che non è rimasto solo una foto nell’album dei ricordi ma ha saputo tradursi in occasioni - ed eventi - concreti nel prosieguo di dialogo, di relazioni e di fraternità. “Al-Sistani ha inviato una lettera di condoglianze per il papa - conclude il porporato - ricordando quanto fosse una persona ‘molto grande’, un messaggero di speranza. L’incontro con al-Sistani è diventato origine di un rapporto, perché proprio questa è stata una delle grandezze di papa Francesco: aver oltrepassato il dialogo accademico, per creare un dialogo vivo, di vita reale fra persone”.

23 aprile 2025

Baghdad ricorderà Papa Francesco con una messa il giorno prima delle esequie

By Baghdadhope* -Patriarcato caldeo

Foto Patriarcato caldeo
Una messa per ricordare Papa Francesco sarà celebrata venerdì mattina a Baghdad nella cattedrale caldea di San Giuseppe. 
La santa messa non sarà celebrata dal patriarca della chiesa caldea, il Cardinale Mar Louis Raphael Sako già partito per Roma per partecipare alle esequie del papa ed al successivo Conclave e che è accompagnato dal vicario patriarcale Monsignor Basel Yaldo, ma dall'incaricato d'affari della nunziatura apostolica a Baghdad, padre Charles Lwanga Ssuuna, mentre al corepiscopo Padre Nadheer Dakko è affidata temporaneamente la sede patriarcale. 

La messa, come si legge sul sito del patriarcato, sarà espressione di gratitudine per la generosità del defunto pontefice ed in ricordo della storica visita dal lui compiuta in Iraq nel 2021.
Un'altra messa sarà celebrata al ritorno a Baghdad del patriarca Cardianle Sako.



“Per me Papa Francesco è stato un padre che ascolta"

di Louis Raphael Sako*

Papa Francesco era un fenomeno.
Ho conosciuto altri Papi, ma Francesco era diverso.
La sua semplicità, la spontaneità, il suo senso umano e la sua spiritualità sono stati per me molto commoventi.
Quando lo ho Incontrato e stato per me un padre che ascolta e risponde, e non come un giudice.
A livello umano è stato una voce profetica contro le guerre e l’ingiustizia. Ha compreso il mondo musulmano e portato avanti il dialogo in maniera concreta con le sue visite nei Paesi arabi. Ricordo in particolare il Documento sulla fratellanza firmato ad Abu Dhabi nel 2018 insieme al Grande Imam Ahmed al Tayyeb e la visita al Grande Ayatollah Ali al-Sistani nella città di Najaf, in Iraq. Papa Francesco ha ripetuto che tutti siamo fratelli. Lui ha condannato L’estremismo. Ha rinnovato la Chiesa.
Ora riposi nella pace presso il nostro Padre celeste.

* Cardinale e Patriarca della Chiesa caldea

Al-Sudani confirms his backing for Cardinal Sako's candidacy to succeed the late Pope Francis

April 22, 2025

Prime Minister Mohammed S. Al-Sudani affirmed support for His Beatitude Cardinal Louis Raphaël I Sako, the sole nominee from the Middle East to succeed the late Pope Francis (may his soul rest in peace) as the head of the Holy See in the Vatican.
Prime Minister Mohammed S. Al-Sudani said in a statement on platform X obtained by the Iraqi news agency INA that “We reaffirm our unwavering support for His Beatitude Cardinal Louis Raphaël I Sako, the sole nominee from the Middle East to succeed the late Pope Francis (may his soul rest in peace) as the head of the Holy See in the Vatican. His Beatitude is widely respected both locally and internationally, and he plays a vital role in advancing peace and fostering interfaith tolerance.”
Al-Sudani also said that “Iraq has long been one of the most significant homelands for followers of the Christian faith, who have lived in harmony and brotherhood with other religious communities throughout history.”
The prime minister concluded “Today, Iraq remains a land where all Christian denominations are represented—embodying a spirit of love and unity among believers of diverse religions.”

For Iraqi Christians, Pope Francis’ visit was a rare moment of hope

By ABC4
Qassim Abdul-Zahra - Stella Martany, Associated Press
April 22, 2025 

The death of Pope Francis has sent shockwaves through Iraq’s Christian community, where his presence once brought hope after one of the darkest chapters in the country’s recent history.
His 2021 visit to Iraq, the first ever by a pope, came after years of conflict and displacement. Just a few years before that, many Iraqi Christians had fled their homes as Islamic State militants swept across the country.
Christian communities in Iraq, once numbering over a million, had already been reduced to a fraction of their former number by decades of conflict and mass emigration.
In Mosul, the site of some of the fiercest battles between Iraqi security forces and the Islamic State, Chaldean Archbishop Najeeb Moussa Michaeel recalled the pope’s visit to the battle-scarred city at a time when many visitors were still afraid to come as a moment of joy, “like a wedding for the people of Mosul.”
“He broke this barrier and stood firm in the devastated city of Mosul, proclaiming a message of love, brotherhood, and peaceful coexistence,” Michaeel said.
As Francis delivered a speech in the city’s al-Midan area, which had been almost completely reduced to rubble, the archbishop said, he saw tears falling from the pope’s eyes.
Sa’dullah Rassam, who was among the Christians who fled from Mosul in 2014 in the face of the IS offensive, was also crying as he watched the pope leave the church in Midan that day.
Rassam had spent years displaced in Irbil, the seat of northern Iraq’s semiautonomous Kurdish region, but was among the first Christians to return to Mosul, where he lives in a small house next to the church that Francis had visited.
As the pope’s convoy was leaving the church, Rassam stood outside watching, tears streaming down his face. Suddenly the car stopped, and Francis got out to greet him.
“It was the best day of my life,” Rassam said. The pope’s visit “made us feel loved and heard, and it helped heal our wounds after everything that happened here,” he said.
The visit also helped to spur a drive to rebuild the city’s destroyed sites, including both Muslim and Christian places of worship.
“After the wide international media coverage of his visit, many parties began to invest again in the city. Today, Mosul is beginning to rise again,” Michaeel said. “You can see our heritage reappear in the sculptures, the churches and the streets.”

Building ties across communities
Chaldean Patriarch Cardinal Louis Raphael Sako told The Associated Press that Francis had built strong relationships with the Eastern rite churches — which are often forgotten by their Latin rite counterparts — and with Muslim communities.
The patriarch recalled urging Francis early in his papacy to highlight the importance of Muslim-Christian coexistence.
After the pope’s inaugural speech, in which he thanked representatives of the Jewish community for their presence, Sako said, “I asked him, ‘Why didn’t you mention Muslims?’… He said, ‘Tomorrow I will speak about Muslims,’ and indeed he did issue a statement the next day.”
Francis went on to take “concrete steps to strengthen relationships” between Christians and Muslims through visits to Muslim-majority countries — including Egypt, the United Arab Emirates, Bahrain and Jordan as well as Iraq — Sako said. “He brought Muslims and Christians together around shared values.
His three-day visit to Iraq “changed Iraq’s face — it opened Iraq to the outside world,” Sako said, while “the people loved him for his simplicity and sincerity.”
The patriarch said that three months before the pope’s death, he had given him a gift of dates from Iraq, and Francis responded that he “would never forget Iraq and that it was in his heart and in his prayers.”
During his visit to Iraq, Francis held a historic meeting with the country’s top Shiite cleric, Grand Ayatollah Ali al-Sistani, at the latter’s home in Najaf.
Sistani’s office in a statement Monday expressed “deep sorrow” at the pope’s death, saying he was “greatly respected by all for his distinguished role in serving the causes of peace and tolerance, and for expressing solidarity with the oppressed and persecuted across the globe.”
The meeting between the two religious leaders had helped to “promote a culture of peaceful coexistence, reject violence and hatred, and uphold values of harmony based on safeguarding rights and mutual respect among followers of different religions and intellectual traditions,” it said.

“Our favorite pope”
In Irbil, Marvel Rassam recalled joining the crowds who packed into a stadium to catch a glimpse of the pope.
The visit brought a sense of unity, Rassam said, “as everyone attended to see him, and not only the Catholics.”
“He was our favorite pope, not only because he was the first to visit Iraq, but he was also very special and unique for his humility and inclusivity,” he said.
At St. Joseph Chaldean Cathedral in Baghdad, where Francis led a Mass during his 2021 visit, church pastor Nadhir Dako said the pope’s visit had carried special weight because it came at a time when Christians in Iraq were still processing the trauma of the IS attacks.
“We, the Christians, were in very difficult situation. There was frustration due to the forcible migration and the killing that occurred,” Dako said. “The visit by the pope created a sort of determination for all Iraqis to support their Christian brothers.”