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8 novembre 2025

Patriarch Sako: Vatican does not respect Eastern Churches

November 5, 2025

Vatican officials do not understand the situation of Christians and must learn to “work with the local churches, not above”, according to the head of the Chaldean Catholic Church.
The Chaldean Patriarch of Babylon Cardinal Louis Raphaël I Sako told The Tablet that the Dicastery for Eastern Churches fails to treat Eastern Catholic patriarchs as heads of their own sui iuris Churches.
“They should know they are there to serve the Churches,” the patriarch said. “They have to respect our identity.”
He complained of “a lot of bureaucracy”, with correspondence unanswered for months at a time, and a lack of respect for the patriarchs who “precede all bishops of any degree everywhere in the world” according to the Code of Canons of the Eastern Churches.
Dealings with the patriarchs “should be very polite and very respectful”, Sako said, suggesting the dicastery does not understand their status and the difficulties of their situation. “We are like fathers,” he continued. “We are not businessmen. We are pastors.”
Chaldean Catholics make up 80 per cent of the roughly 200,000 Christians remaining in Iraq, and are also present across the wider Middle East. There were an estimated 1 million Christians in Iraq in 1990, but instability since the US-led invasion in 2003 and persecution by Islamist extremists has driven many to flee the country.
Sako said Pope Leo understands the situation of Eastern Catholics. He spoke frequently to the then-Cardinal Robert Prevost during the conclave in May this year.
“I had time to explain to him what we are,” the patriarch said, recounting their historic character, their “mission towards Muslims” in the modern day and how “our presence is threatened now”.
The Pope addressed pilgrims for the Jubilee of the Eastern Churches on 14 May, days after his election, urging the Latin Church “to preserve and promote the Christian East” and telling Eastern Catholics: “You are precious.”
Leo will hold a private meeting with the five Catholic patriarchs at the nunciature in Beirut on 1 December, during his six-day visit to Turkey and Lebanon.
Since his election, he has given private audiences to the Maronite Patriarch of Antioch Cardinal Béchara Boutros Raï and the Syriac Catholic Patriarch of Antioch Ignatius Joseph III Younan. The Tablet understands that Sako expected to meet Pope Leo privately during a visit to Rome last week, and was disappointed this did not take place.
In his remarks to The Tablet, the patriarch suggested curial officials were not best placed to advise the Pope about Eastern Churches.
“The Pope should be well informed by the dicasteries,” he said, complaining of a lack of local understanding and “practical experience” in the Vatican, with little representation from the Middle East and Asia. “When they speak, they speak occidental speech.”
He said that while the prefect of the Dicastery for Eastern Churches Cardinal Claudio Gugerotti knows Eastern Christianity from his academic background and experience as a nuncio, “he has his own ideas, fixed ideas” about the Churches.
The Vatican’s approach, he continued, “should be academic, but also realistic” about the situation of Eastern Churches. It “should do more [to intervene with local leaders], not only speeches” because it can “make an impact on political life in the Middle East”.
In Rome, the patriarch attended the episcopal ordination of Archbishop Mirosław Stanisław Wachowski in St Peter’s on 26 October, following his appointment as apostolic nuncio to Iraq in September. Sako said he would offer “a map for the new nuncio” to follow.

Iraq: card. Sako (patriarca), un decalogo per rendere l’Iraq di nuovo grande

4 novembre 2025

“Un ritorno alle ricche radici storiche e di civiltà, senza cadere nell’estremismo; porre il bene comune del Paese al di sopra degli interessi privati; uscire dalle dispute settarie, etniche e politiche che danneggiano tutti; istituire uno Stato civile laico, basato sulla cittadinanza, la giustizia, l’uguaglianza, la libertà e la dignità”: sono alcune delle indicazioni suggerite dal patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, in vista del voto parlamentare del prossimo 11 novembre. Dopo aver invitato, in due messaggi ravvicinati, gli iracheni ad andare a votare per scegliere candidati “capaci, integri ed onesti”, il patriarca torna sul tema con un testo, diffuso dai canali del Patriarcato, in cui elenca, in una sorta di decalogo, una serie di punti per lui imprescindibili necessari per ‘Rendere l’Iraq di nuovo grande’. Uno slogan, spiega il cardinale, ripreso anche da Mark Savaya, imprenditore caldeo, inviato speciale degli Stati Uniti per l’Iraq, e da alcuni intellettuali iracheni che “aspirano a vedere l’Iraq come un paese sovrano, dotato di capacità legislativa, esecutiva e finanziaria”.
Tuttavia, avverte Mar Sako, per far tornare grande l’Iraq “serve l’impegno di tutti gli iracheni con la collaborazione dei Paesi amici”. Tra i punti ineludibili elencati nel suo ‘decalogo’ il cardinale evidenzia la necessità di “una costituzione che garantisca il diritto di cittadinanza a tutte le componenti della società e sostenga il loro diritto alla piena partecipazione alla vita pubblica con garanzie di sicurezza”. Per Mar Sako, inoltre, “la situazione attuale del Paese chiede una nuova legislazione commisurata ai cambiamenti culturali e sociali, e le riforme delle vecchie leggi ereditarie e dello status personale che contraddicono il diritto internazionale”.
Non meno importante è “la lotta alla corruzione e il recupero dei fondi saccheggiati nella tesoreria dello Stato. La ricchezza del paese appartiene ai cittadini e dovrebbe essere distribuita equamente”.
Un paese libero e sovrano, aggiunge il patriarca caldeo, non può prescindere dal “ritenere responsabili coloro che sono coinvolti in rapimenti, omicidi e atti terroristici, prestare attenzione all’istruzione, all’educazione”.
Il messaggio del cardinale termina con un appello al futuro Governo “affinché motivi gli iracheni formati e competenti emigrati all’estero a tornare e ad unirsi al processo di riforma del Paese. Le riforme sono l’unico modo per salvare l’Iraq dal caos ed evitare che diventi incapace di garantire sicurezza, libertà, dignità e servizi pubblici al suo popolo”.

Iraq: al voto per trasformare speranze in partecipazione concreta. Card. Sako “andare a votare per il cambiamento”

Daniele Rocchi
1 novembre 2025

“L’obiettivo di libere elezioni democratiche è quello di raggiungere la giustizia, l’uguaglianza, la dignità, la libertà e l’abbondanza di vita per i cittadini. Le elezioni sono una responsabilità nazionale e morale necessarie per lavorare diligentemente e dare al Paese il giusto cambiamento fatto di stabilità e sovranità. Ma fino a quando le elezioni non saranno eque e chiare rimarremo fermi e senza nessun cambiamento”: nell’imminenza del voto per il nuovo Parlamento iracheno fissato per l’11 novembre, a sottolineare l’importanza del momento è il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako.

Banco di prova.
Un vero e proprio banco di prova per il Paese, per la sua tenuta istituzionale e per la sua capacità di lasciarsi alle spalle le tensioni settarie. Pesano, inoltre, l’economia ancora debole, l’elevata corruzione, una disaffezione popolare verso le classi politiche dirigenti, il rapporto con il Governo Regionale Curdo, le interferenze iraniane, la lotta al terrorismo e il ruolo delle milizie. Non meno pesanti sono le pressioni regionali spinte dall’attivismo militare israeliano, dopo il 7 ottobre 2023. la guerra a Gaza, il conflitto con l’Iran e con Hezbollah in Libano, disegnano un panorama sempre più imprevedibile con possibili ripercussioni per gli equilibri dell’area.
In questo contesto il Primo ministro, Mohammed Shia al-Sudani, è alla ricerca di un secondo mandato dopo la sua elezione nel 2022 avvenuta grazie a una coalizione di partiti sciiti, alcuni dei quali filo-iraniani (Quadro di Coordinamento Sciita). Ma le accuse di corruzione rivolte ad esponenti della sua stessa coalizione e la denuncia di abusi nel procacciamento dei voti da parte delle milizie sciite delle Forze di Mobilitazione Popolare mettono in seria discussione la sua guida nel nuovo Governo. 
Da capire, poi, come si muoveranno i movimenti di protesta, che hanno caratterizzato il paese negli ultimi anni, fautori di richieste di riforme e di miglioramenti nella società civile.

Rischio astensione.
Secondo stime che circolano nel Paese sarebbero ben 9 milioni gli iracheni che avrebbero deciso di non andare a votare. Nel 2021 votò circa il 41 % degli aventi diritto, l’affluenza più bassa nella storia post-2003. Una nuova, alta, astensione rischierebbe di togliere legittimità al nuovo Parlamento, con conseguenze sul piano della stabilità politica interna e regionale. Il consenso intorno all’agenda delle riforme, promosse dal premier – lotta alla corruzione, miglioramento dei servizi pubblici, diversificazione economica – è ampio ma la fiducia degli iracheni che il cambiamento possa arrivare è ancora incerta.

La voce della Chiesa.
“Il cambiamento cui gli iracheni aspirano – ricorda il patriarca caldeo in un messaggio diffuso il 31 ottobre – è che il prossimo parlamento sia responsabile e consapevole dell’interesse nazionale e di essere al servizio dei cittadini, e per questo non sia preda di conflitti settari e regionali. È difficile pensare ad elezioni chiare quando l’Iraq ha sofferto per due decenni a causa della corruzione, delle quote settarie e delle milizie armate fuori controllo dello Stato”.
Parole che ribadiscono concetti già espressi dallo stesso cardinale ad inizio ottobre quando, in un messaggio analogo, esortava tutti gli iracheni, e i cristiani in particolare, ad “andare a votare in modo massiccio e scegliere coloro che ritengono più adatti a servire il popolo senza discriminazioni, candidati capaci, integri ed onesti, rispettosi del pluralismo, della diversità delle religioni e delle nazionalità che caratterizzano l’Iraq, e che credono nella sua sovranità, rinascita e stabilità”.
Parole chiare che suonano come una netta condanna di quei “candidati corrotti, dei gruppi armati che controllano le risorse e le città cristiane nella Piana di Ninive. Non accetteremo che la componente cristiana diventi ‘carburante’ per questi estranei”.
Non solo. Mar Sako stigmatizza il fatto che “per più di 15 anni, il governo iracheno non è riuscito a proteggere i diritti delle minoranze e ad adottare misure vincolanti per garantire loro giustizia e preservare la loro rappresentanza e il loro ruolo”.
Un modo chiaro per sollecitare, da parte della Chiesa locale, una riforma del sistema elettorale affinché i seggi riservati ai cristiani siano effettivamente scelti da elettori cristiani e rappresentino autenticamente la comunità cristiana.
“Per questo – aggiunge – i cristiani non si arrenderanno e si impegneranno a fondo per ottenere il diritto costituzionale che garantisce il loro futuro e consolida la loro sopravvivenza. La Chiesa caldea non si vende e non cede all’ingiustizia, e la sua lealtà all’Iraq e il suo amore per gli iracheni rimangono illimitati”.

Dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell'Oriente

29 ottobre 2025

Il 27 e 28 ottobre 2025 si è tenuta presso la Domus Sanctae Marthae in Vaticano la diciassettesima sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira d'Oriente, ospitata dal Dicastero per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. In linea con il tema discusso dal 2023, la riunione plenaria di quest'anno è stata dedicata al tema: “La liturgia nella vita della Chiesa: uno studio comparativo delle tradizioni liturgiche latina e della Chiesa dell'Oriente”, con particolare attenzione alla liturgia delle ore in entrambe le tradizioni.
Come indicato nel comunicato, i membri hanno presentato e discusso relazioni su: “Il servizio vespertino nel rito siriaco orientale”, dell'Arcidiacono William Toma; “L'istruzione generale sulla liturgia delle ore”, del Vescovo Johan Bonny; “La storia della Liturgia delle Ore romana”, del Rev. Prof. Dominik Jurczac, OP, esperto invitato; e “L'ordine e la teologia dei contenuti del servizio mattutino della domenica e dei feriali (Sapra)”, dell'Arcidiacono George Toma.
Il Vescovo Antoine Audo, SJ, ha anche offerto una riflessione sul tema da una prospettiva caldea, sottolineando l'importanza del legame tra liturgia e identità ecclesiale. Durante la discussione, i membri hanno notato con soddisfazione le somiglianze fondamentali tra le due tradizioni liturgiche, anche se si sono evolute in contesti storici e culturali diversi.
Martedì 28 ottobre, Sua Santità Mar Awa III e Sua Eminenza il Cardinale Kurt Koch hanno salutato i membri della Commissione e hanno partecipato alla discussione sull'ordine del giorno della prossima sessione.
Lo studio e la discussione della Commissione proseguiranno nella prossima riunione, che sarà ospitata dalla Chiesa assira d'Oriente a Erbil, dal 23 al 28 novembre 2026.
La delegazione assira comprendeva Sua Beatitudine Mar Meelis Zaia, Metropolita di Australia, Nuova Zelanda e Libano (copresidente); Sua Beatitudine Mar Awgin Kuriakose, Metropolita dell'Arcidiocesi dell'India e del Golfo meridionale; Sua Grazia Mar Abris Youkhanna, Vescovo di Duhok e Ninive; Sua Grazia Mar Elia Isaac, Vescovo di Baghdad; l'Arcidiacono George Toma; e l'Arcidiacono William Toma, Sottosegretario del Sinodo (Cosegretario).
La delegazione cattolica comprendeva S.E. Mons. Johan Bonny, Vescovo di Anversa (Copresidente); S.E. Mons. Antoine Audo, SJ, Vescovo di Aleppo per i Caldei; S.E. Mons. Francis Kalabat, Vescovo dell'Eparchia caldea di San Tommaso Apostolo, USA; la Professoressa Theresia Hainthaler, Professore onorario della Scuola Superiore di Filosofia e Teologia Sankt Georgen, Francoforte, Germania; il Rev.do Prof. Željko Paša, SJ, decano della Facoltà di Studi Cristiani Orientali presso il Pontificio Istituto Orientale; il Rev.do P. Jijimon Puthuveettilkalam, SJ, Università Gregoriana; e il Rev.do P. Hyacinthe Destivelle, OP, Officiale del DPCU (Co-segretario).
La riunione della Commissione ha coinciso con la prima visita ufficiale di Sua Santità Mar Awa III a Sua Santità Papa Leone XIV.
Istituita nel 1994, la Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira d'Oriente ha pubblicato due documenti significativi: il primo nel 2017, intitolato Dichiarazione comune sulla “Vita sacramentale”, e il secondo nel 2022, intitolato “Le immagini della Chiesa nelle tradizioni patristiche siriaca e latina.”
L'ultima riunione della Commissione si è tenuta a Roma dal 6 al 9 novembre 2024.

Papa Leone XIV riceve il Catholicos Patriarca Mar Awa III

29 ottobre 2025

Lunedì 27 ottobre, il Santo Padre ha ricevuto nel Palazzo Apostolico Sua Santità Mar Awa III, Catholicos Patriarca della Chiesa assira dell’Oriente, e i membri della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira d'Oriente.
Nel suo discorso, ricordando la commemorazione del 1700° anniversario del Concilio di Nicea, il Catholicos Patriarca Mar Awa III ha sottolineato che «siamo molto incoraggiati […] dalla fede comune che già condividiamo, ovvero la nostra professione del Credo del Concilio di Nicea. […] Questa professione di fede ci unisce già nelle dottrine essenziali riguardanti la Santissima Trinità e la duplice natura divina e umana dell'unico Signore Gesù Cristo, Figlio incarnato di Dio”.
Nella sua risposta, Papa Leone XIV, con riferimento alla fase attuale del dialogo, ha osservato che “la sfida principale sta nello sviluppare congiuntamente un modello di piena comunione, ispirata dal primo millennio, rispondendo al tempo stesso con attenzione alle sfide del presente. […] un tale modello non deve comportare assorbimento o dominazione; piuttosto deve promuovere lo scambio di doni tra le nostre Chiese, ricevuti dallo Spirito Santo per l’edificazione del Corpo di Cristo (cfr. Ef 4, 12)”.
Riferendosi anche all'anniversario del Concilio di Nicea, Papa Leone ha citato le parole di Papa Francesco durante la visita del Catholicos Patriarca Mar Awa III nel 2022: «Il cammino della sinodalità, che la Chiesa Cattolica sta percorrendo, è e deve essere ecumenico, così come il cammino ecumenico è sinodale».
Durante la sua visita a Roma, il Catholicos Patriarca è stato ricevuto anche dal Cardinale Kurt Koch. Insieme hanno incontrato la Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell'Oriente durante la sua sessione plenaria annuale.

ADDRESS OF HIS HOLINESS MAR AWA III 
TO HIS HOLINESS POPE LEO XIV


Beloved and Venerable Brother!
It is my great joy to be with Your Holiness this morning, together with my delegation of hierarchs and clergy of the Assyrian Church of the East, on this my first official visit to Your Holiness after your accession to the See of Rome as its bishops and primate. I recall that I was also present at the inaugural mass of Your Holiness as Bishop of Rome this past May. Be assured that my prayers will accompany you on this your sublime arch-pastoral ministry of shepherding the holy flock entrusted to your care by the Holy Spirit. 
Indeed, we gather together in a fraternal spirit—the primates of the two ancient and apostolic Churches of Rome and Seleucia-Ctesiphon—with a holy embrace in the same spirit which the blessed apostles of our Lord Jesus Christ enjoyed and demonstrated. Therefore, our meeting today is a cause for joy and gratitude to the Lord for having gathered us in His holy Name,and inspired by the blessed Apostle St. Paul: “We give thanks to the God and Father of our Lord Jesus Christ, praying always for you...” (Colossians 1:3).Without a doubt, we follow in the footsteps of our venerable predecessors today, walking on the path already demonstrated by the primates of our respective Churches,the late Pope John Paul II and Patriarch Mar Dinkha IV, of blessed memory, in 1984. The prophetic vision of both the pope and patriarch was to dispel all the theological obstacles between our two Churches since the Council of Ephesus (431). After almost a decade of dialogue, the christological differences between us were resolved, culminating in the joint signing by these two Church heads of the Common Christological Declaration of 1994.
This document became the bulwark of our official dialogue, and later in 2017 a joint statement on sacramental life was also signed by our Churches, thus furthering our relationship and common understanding. Now, the constitution of the Church is being studied by the International Commission for Theological Dialogue Between the Catholic Church and the Assyrian Church of the East, whose members are present today in our respective delegations. Their work is a most important one, as many of the most difficult aspects concerning the Church will be studied by them in this third phase of dialogue. May they continue to be guided by the Holy Spirit in finding the many commonalities already existing between us, and in resolving the theological differences that still exist and which prevent us from sharing in the one holy Chalice. 
 We are greatly encouraged, nonetheless, in the shared faith which we already enjoy, namely,our profession of the Creed of the Council of Nicaea. It is a gift of the Lord to the entire Church that we are all observing the commemoration of the 1700thanniversary of the convocation of the first ecumenical council of the Church in the year 325. This profession of faith already unites us in the essential doctrines concerning the Holy Trinity and the dual natures of the divinity and humanity of the one Lord Jesus Christ, the incarnate Son of God. In fact, the very Common Christological Declaration itself was based on the Nicene faith and its expression; I quote: “As heirs and guardians of the faith received from the Apostles as formulated by our common Fathers in the Nicene Creed, we confess one Lord Jesus Christ, the only Son of God, begotten of the Father from all eternity who, in the fullness of time, came down from heaven and became man for our salvation.” In truth, this is the common and shared faith of our two Churches, and of allthe holy Churches of God who faithfully adhere to the apostolic deposit of faith, which “...was once and for all time delivered untothe saints” (Jude 1:3).At the end of this past September, the Assyrian Church of the East hosted an international academic conference in Erbil, Iraq, commemorating this historic anniversary of Nicaea. It was the only conference of its kind in the entire region of the Middle East, which was also marked by a very ecumenical spirit. I am thankful for the presence of a representation of the Catholic Church at this conference. 
The Assyrian Church of the East, though predominately located in the diaspora, continues to preserve its deep and historic roots in the East. Notwithstanding the fact that the Middle East has been marked by great difficulties politically, socially and religiously these past many decades, yet we continue to struggle in order to faithfully carry out our mission in that part of the world. Particularly and historically found in Iraq, the Assyrians are the indigenous people of that country and the original Church founded by St. Thomas one of the Twelve Disciples and his co-evangelists Ss. Addai & Mari from the band of the Seventy-Two apostles, who evangelized Mesopotamia in the first half of the first Christian era. The grace of God has helped us to remain down these more than two millennia of Christianity, and we are committed to remain in our historic homeland, and to continue witnessing to the Gospel. It is our hope, therefore, that Your Holiness can one day visit Iraq in the near future, God willing. 
In conclusion, I thank Your Holiness for your warm and fraternal welcome to the Vatican. May the grace and peace of our great High priest and Shepherd Jesus Christ strengthen Your Holiness always,as your carry out your apostolic ministry as the Bishop of Rome. 

Given at the Vatican, on this 27thday of October, in the year of our Lord 2025.


Santità,
Cari amici in Cristo,
«Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo» (Ef 1, 2). Con queste parole di san Paolo l’accolgo, Santità, come amato fratello in Cristo, ed esprimo ancora una volta gratitudine per la sua presenza all’inaugurazione del mio pontificato. Di cuore estendo i miei saluti anche ai membri della Commissione congiunta per il Dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell’Oriente.
Queste visite congiunte del Catholicos-Patriarca della Chiesa assira dell’Oriente e dei membri della Commissione rappresentano una bella abitudine istituita in anni recenti. Danno testimonianza del fatto che l’incontro fraterno e il dialogo teologico sono elementi reciprocamente costitutivi sul cammino verso l’unità. Il «dialogo di verità» è un’espressione dell’amore che già unisce le nostre Chiese, mentre il «dialogo di carità» deve essere compreso anche teologicamente.
La sua ultima visita, nel 2024, ha segnato il trentesimo anniversario del dialogo ufficiale tra le nostre Chiese. I progressi compiuti nel corso di questi anni sono significativi, avendo seguito fedelmente il mandato e la metodologia stabiliti dai nostri predecessori. Come affermato nella Dichiarazione congiunta di Sua Santità Giovanni Paolo II e Sua Santità Mar Dinkha IV del 1994: «Per essere piena e totale, la comunione presuppone l’unanimità per quanto riguarda il contenuto della fede, i sacramenti e la costituzione della Chiesa».
Questo trittico ha fornito il quadro per le fasi successive del nostro dialogo teologico. Dopo avere raggiunto il consenso sulla fede cristologica risolvendo così una controversia che durava da 1500 anni, il nostro dialogo è progredito con il reciproco riconoscimento di sacramenti, permettendo una certa communicatio in sacris tra le nostre Chiese. Desidero esprimere la mia profonda gratitudine a ognuno di voi, teologi della Commissione congiunta, per i vostri preziosi contributi e per gli sforzi congiunti, senza i quali questi accordi dottrinali e pastorali non sarebbero stati possibili.
Per quanto riguarda la costituzione della Chiesa — argomento attualmente al centro del dialogo — la sfida principale sta nello sviluppare congiuntamente un modello di piena comunione, ispirata dal primo millennio, rispondendo al tempo stesso con attenzione alle sfide del presente. Come hanno ripetutamente sottolineato i miei predecessori, un tale modello non deve comportare assorbimento o dominazione; piuttosto deve promuovere lo scambio di doni tra le nostre Chiese, ricevuti dallo Spirito Santo per l’edificazione del Corpo di Cristo (cfr. Ef 4, 12). Attendo con piacere i frutti del vostro dialogo teologico in corso su tale questione, condotto «evidentemente insieme», come ha fortemente desiderato Papa san Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Ut unum sint (n. 95).
In questo cammino verso la piena comunione, la sinodalità si presenta come una via promettente per andare avanti. Durante la sua visita nel 2022, Santità, Papa Francesco ha coniato l’espressione poi inclusa nel Documento finale del recente Sinodo sulla sinodalità della Chiesa cattolica; cito: «Il cammino della sinodalità, che la Chiesa Cattolica sta percorrendo, è e deve essere ecumenico, così come il cammino ecumenico è sinodale» (Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione, n. 23). Nello spirito di quel Sinodo, spero sinceramente che il 1700° anniversario del Concilio di Nicea ci porti a «mettere in pratica forme di sinodalità tra i Cristiani di tutte le tradizioni» e ci ispiri nuove «pratiche sinodali ecumeniche» (Ibidem, n. 138-139).
Possiamo proseguire questo pellegrinaggio rafforzati dalle preghiere di tutti i santi delle nostre Chiese, specialmente sant’Isacco di Ninive, il cui nome è stato aggiunto al Martirologio Romano lo scorso anno! Per loro intercessione, possano i cristiani in Medio Oriente dare sempre una testimonianza fedele del Cristo risorto e possa il nostro dialogo accelerare l’arrivo del giorno benedetto in cui celebreremo insieme allo stesso altare, partecipando allo stesso Corpo e Sangue del nostro Salvatore, «perché il mondo creda» (Gv 17, 21).
Uniti in preghiera con il nostro Salvatore, vi invito ora a recitare insieme a me la preghiera del Signore. Padre nostro...

Il patriarca della Chiesa assira ha trollato il papa

28 ottobre 2025

Foto Vatican News
Lunedì in Vaticano c’è stato un incontro tra papa Leone XIV e l’arcivescovo Mar Awa III, il patriarca della Chiesa assira d’Oriente. La Chiesa assira d’Oriente è una chiesa cristiana che ha le sue origini nell’antica Chiesa d’Oriente, nata in Mesopotamia nel V secolo. Oggi ha sede a Erbil, in Iraq, ma ha diocesi in tutto il mondo.
Per l’occasione Vatican News, il portale d’informazione ufficiale del Vaticano, ha pubblicato una foto di Leone XIV e Mar Awa III che esibiscono una maglia dei Cubs – squadra di baseball di Chicago – che il patriarca ha regalato al papa. Entrambi sorridono, ma il sorriso del patriarca è un po’ più ampio e quello del papa sembra più stiracchiato: Leone XIV infatti è un tifoso dei White Sox, l’altra squadra di baseball di Chicago, la città statunitense dove sia lui che il patriarca sono nati. La rivalità tra le due squadre va avanti da oltre cent’anni, e il tifo della città è suddiviso in due zone: a sud c’è quello dei White Sox, a nord quello dei Cubs.
Da quando è stato eletto lo scorso maggio dopo la morte di papa Francesco, Leone XIV ha fatto presente in più occasioni di essere un tifoso dei White Sox. A giugno è stato fotografato mentre indossava un cappellino dei White Sox sopra la sua veste papale bianca, e pochi giorni dopo si era unito brevemente a un coro per i White Sox intonato da alcuni fedeli al momento del suo passaggio in piazza San Pietro.
È assai improbabile quindi che il patriarca Mar Awa III non sapesse per che squadra tifa papa Leone XIV.
Su Instagram ha pubblicato la fotografia del Vaticano e ha scritto: «Non è necessario dirlo, ma al papa il regalo è molto piaciuto», aggiungendo una faccina che ride.
Il 15 ottobre, poi, in piazza San Pietro una persona ha urlato «Go Cubs!» (forza Cubs!), mentre Leone XIV passava a salutare i fedeli. Dal tono non si capisce se fosse una provocazione scherzosa o se un tentativo di dire qualcosa di simpatico al papa, citando la squadra di baseball più famosa della sua città.
Fatto sta che il papa ha replicato in spagnolo, con una certa soddisfazione, «Han perdido!», hanno perso. Poi lo ha ripetuto in inglese («They lost!»). Quattro giorni prima in effetti i Chicago Cubs avevano perso contro i Milwaukee Brewers.
Il primo a parlare del tifo del papa per i White Sox, dopo la sua elezione, era stato il fratello John Prevost, descrivendolo come una «persona normale, comune» e grande fan dei White Sox.
Sempre a maggio il Chicago Sun-Times aveva pubblicato una foto del 2005 in cui si vede il papa allo stadio con un amico, Ed Schmit, a vedere una partita allo US Cellular Field (oggi si chiama Rate Field, è lo stadio dove giocano i White Sox).

Intervento di Mar Awa III Royel

28 ottobre 2025

Buongiorno.
È per me un privilegio essere qui con tutti voi questa mattina, in occasione del 39° “Incontro Internazionale per la Pace” promosso dalla Comunità di Sant'Egidio, con sede qui a Roma. Il nostro sincero ringraziamento alla Comunità per il suo continuo lavoro nel promuovere la pace nella sua missione e nel suo lavoro quotidiano, e per averci riunito per discutere della pace nelle nostre società oggi e nel mondo in generale. Vorrei affrontare un argomento che sta al centro dell'esistenza umana, in particolare dal punto di vista della fede cristiana, ovvero: "Rinnovare le ragioni per vivere insieme". In altre parole: come possiamo rinnovare la necessaria convivenza. In un mondo spesso frammentato da conflitti, disuguaglianze e divisioni, la ricerca della pace mondiale può sembrare un compito arduo, un sogno lontano.
Inoltre, con il passare del tempo stiamo gradualmente perdendo il senso umano essenziale del “vivere insieme”. Una conseguenza diretta di questa perdita è l'aumento delle tensioni sociali e nazionali, la rottura del dialogo, l'indebolimento della pace tra le nazioni e le società e delle strutture che promuovono e conducono alla pace.
Ma io propongo che per realizzare questa grande visione, dobbiamo prima tornare alle basi, alle ragioni divine e bibliche per cui siamo qui e condividiamo un piccolo pianeta.

1. Il fondamento: Imago Dei e la nostra umanità condivisa 
Da una prospettiva cristiana, le ragioni per vivere insieme non sono solo sociologiche o politiche, ma teologiche. La nostra ragione fondamentale è il concetto della Imago Dei, l'immagine di Dio. Genesi 1:27 ci dice che ogni essere umano, indipendentemente dalla razza, dalla nazione o dal credo, è creato a immagine di Dio. Questo valore condiviso e intrinseco è la prima e imprescindibile ragione della coesistenza. Se siamo tutti riflessi del Divino, allora fare del male a un altro significa deturpare l'immagine di Dio. Escludere un altro significa limitare la nostra visione della creazione di Dio.
Inoltre, ci è stato dato un mandato divino. La storia della creazione non parla di isolamento individuale, ma di comunità: Adamo ed Eva, la famiglia, la tribù, ecc. Noi siamo programmati per le relazioni, un riflesso del Dio trinitario che è eternamente in relazione. Il mandato primario, quindi, non è la separazione, ma la gestione responsabile della terra e gli uni degli altri.

2. La chiamata redentrice: il grande comandamento
Il fondamento dell'Antico Testamento (Deuteronomio 6) trova il suo rinnovamento definitivo nel Nuovo Testamento attraverso la persona e gli insegnamenti di Gesù Cristo. Quando gli fu chiesto di riassumere tutta la legge, Gesù ci diede il grande comandamento: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore… e il prossimo come te stesso” (Matteo 22,37-39). Questo comandamento trasforma la ragione del vivere insieme da mera tolleranza in amore attivo e sacrificale.
• Chi è il mio prossimo? La parabola del buon samaritano (Luca 10) infrange ogni confine tribale, nazionale o religioso che potremmo costruire. Il prossimo è colui che è nel bisogno, colui che culturalmente ci si aspetta che tu eviti, colui che è diverso e, cosa più importante, colui che condivide la tua umanità!
• Come dovrei amarlo? Come me stesso. Questo standard di cura di sé – il tuo desiderio di sicurezza, approvvigionamenti, dignità e pace – deve essere esteso a ogni altro essere umano. Questa è l'architettura morale per la pace nel mondo. Va oltre gli accordi e i trattati, fino a raggiungere la disposizione stessa del cuore.

3. Sfide al nostro rinnovamento della convivenza
Naturalmente, vivere insieme in pacifica convivenza non è né facile né automatico, e tanto meno lo è il suo rinnovamento. Vorrei menzionare brevemente quattro di queste sfide.
a. Divisione e sfiducia. Le comunità umane sono soggette a conflitti: differenze etniche, religiose, politiche, economiche. Il mondo oggi è molto diviso.
b. Individualismo. La deriva culturale verso “i miei diritti”, “il mio spazio”, "la mia autonomia" mina la comunità e il senso di comunità.
c. Ferite storiche. A volte i gruppi o le comunità di fede si sono feriti a vicenda o hanno escluso gli altri, il che diminuisce la fiducia. Tali ferite non guariscono facilmente né rapidamente d. Fratture globali. In un mondo in cui i conflitti e la separazione crescono, e la polarizzazione è in crescita sfrenata; il compito di convivere diventa molto difficile e gravoso.

4. Rinnovare le ragioni della nostra convivenza: tre motivazioni chiave.
Ora che abbiamo compreso i fondamenti biblici e basati sulla fede della nostra convivenza e del suo rinnovamento, diamo un'occhiata alle tre motivazioni principali del nostro rinnovamento comune della convivenza e della sua promozione nell'umanità.
a. Per la gloria di Dio.
Quando i credenti vivono in unità e amore reciproco, il mondo vede qualcosa di diverso: una comunità plasmata da Cristo. Il Salmo 133 dice che Dio comanda la benedizione quando il suo popolo vive insieme. Nel vivere insieme, riflettiamo l'immagine del Dio trino che è comunione, relazione, amore.
b. Per il fiorire del prossimo e della comunità.
La vita di fede non è solo verticale (con Dio), ma anche orizzontale (con gli altri). Ci sosteniamo a vicenda: portiamo i fardelli gli uni degli altri, gioiamo con chi gioisce, piangiamo con chi piange. In un mondo frammentato dall'isolamento, dalla competizione, dal pregiudizio, la comunità di fede può essere una testimonianza controculturale: un luogo dove le persone appartengono, sono apprezzate, curate. Questo tipo di convivenza dà dignità al prossimo e invita alla guarigione.
c. Per la causa della pace nel mondo.
Solo quando le persone di fede vivono insieme in unità e coesistenza possiamo testimoniare in modo vero e concreto la pace. La pace inizia nelle piccole comunità di fede e si diffonde verso l'esterno. Come dice il documento Love and Witness of the World Council of Churches (Amore e Testimonianza del Consiglio Mondiale delle Chiese) (sez. 39.iv)
"... siamo chiamati a vivere in umiltà e pace con i nostri simili, al di là delle nostre differenze ... a vivere il Vangelo, promuovere la pace e vivere una vita abbondante per l'intera creazione".
1 Rinnovare il nostro impegno a vivere insieme significa rinnovare il nostro impegno per la pace - a casa, a livello locale, a livello globale.
1 https://www.oikoumene.org/sites/default/files/2021-02/Love_Witness_Web.pdf?utm

5. La pace nel mondo come vocazione
La ricerca della pace nel mondo attraverso la nostra convivenza e il suo costante rinnovamento non è un caso, ma la nostra vocazione comune che deriva dalla nostra umanità comune e dalla nostra condivisione dell'Imago Dei che, sia ontologicamente che teologicamente, lega tutta l'umanità.
• La giustizia è un prerequisito per la pace: il profeta Isaia dice: «L'effetto della giustizia sarà la pace» (Isaia 32:17). Non possiamo parlare di pace ignorando l'ingiustizia sistemica, la povertà, l'oppressione e l'odio verso l'«altro» causati dall'individualismo estremo o dal nazionalismo. Rinnovare le nostre ragioni per vivere insieme significa esigere che a ogni persona siano date le condizioni per prosperare, e la fonte ultima di ciò è l'amore per il prossimo.
• La pacificazione come ruolo attivo: Gesù disse nel Vangelo: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Matteo 5,9). Notate la parola: operatori di pace, non solo gli aspiranti alla pace o persone pacifiche. È un ruolo attivo, impegnativo, spesso costoso. Ci richiede di entrare nei difficili spazi del dialogo, della mediazione e della difesa dei diritti, anche quando è scomodo o pericoloso.

Considerazioni finali
Come persone di fede, rinnoviamo il nostro impegno nei confronti delle ragioni fondamentali della nostra esistenza: riflettere l'immagine di Dio in tutto ciò che facciamo e amare il nostro prossimo. Quando lo faremo, la grande visione di rafforzare le ragioni che ci obbligano a vivere insieme sarà consolidata e, come risultato diretto, la pace nel mondo cesserà di essere una fantasia utopica. Diventerà invece l'opera fedele, costante e inevitabile del popolo di Dio sulla terra. Impegniamoci tutti a seguire questi principi per rinnovare il nostro senso di “convivenza” pacifica.
Grazie.

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New US Envoy Wants to ‘Make Iraq Great Again’

 October 26, 2025

New US presidential envoy to Iraq Mark Savaya stressed on Saturday that his mission aims to restore trust and bolster the strategic partnership between Baghdad and Washington.
In remarks to the Chaldean Press, he said: “I want to make Iraq great again.”
Relations between the US and Iraq are passing through a critical phase, which demands direct and honest communication that serves the peoples of both countries, he went on to say.
He added that the US is not seeking to impose an agenda on Iraq, saying that the Iraqi government is independent and can make its own sovereign decisions.
As envoy to Iraq, he will work with all political, religious and economic parties to ensure a stable and prosperous Iraq can be a real partner to the US, away from regional conflicts, he stated.
Savaya is the third American envoy to Iraq since the 2003 US invasion. Paul Bremer was appointed after the invasion and Brett McGurk during the fight against ISIS in 2014.
Savaya, who was born in Iraq, added that the country boasts massive human and economic capabilities, which should they be invested properly, can allow the country to become a regional hub for development and stability. “I want to make Iraq great again,” he declared.
He will soon visit Baghdad to deliver a clear message that Washington is committed to supporting a strong and unified Iraq and that a new chapter in relations with the US has indeed started.
US President Donald Trump announced Savaya’s appointment on October 19. “Mark’s deep understanding of the Iraq-US relationship and his connections in the region will help advance the interests of the American people,” Trump wrote on his Truth Social platform.
Savaya was a key player in the Michigan campaign who helped secure a record Muslim American vote during Trump’s reelection, he noted.
Savaya’s appointment has stirred debate in Iraq as it took place weeks before the country heads to parliamentary elections on November 11. The polls are witnessing a fierce competition among the ruling Iran-backed Shiite Coordination Framework,
Meanwhile, the Foundation for Defense of Democracies warned that Iraq was at a “difficult crossroads” given the state of lawlessness and that “the politics of the gun - and not the ballot box - play too great a role,” citing the spate of political assassinations that have rocked the country.
On October 15, an IED tore through a vehicle in Baghdad’s northern outskirts, killing Safaa al-Mashhadani, a candidate in the parliamentary elections. Three days later, gunmen opened fire on the office of another candidate, Muthanna al-Azzawi, 25 kilometers south of the capital, wounding two bodyguards, it said.
“So far, Iraqi Prime Minister Mohammed Shia al-Sudani has ordered a probe into the assassination, while authorities announced the arrest of five suspects. Past precedent offers little optimism for justice. For years, Baghdad has sought to play a good-cop-bad-cop routine, enabling militias to terrorize Iraq and the region while also claiming to investigate their crimes,” it added.
The November 11 elections are seen as a test of the government's ability to protect the democratic process and put an end to political violence, while observers are waiting the results that will determine where Iraq will be positioned given the changes sweeping the region.

Card. Sako: Cristiani alle urne per preservare stabilità e pluralismo

Dario Salvi
14 0ttobre 2025

“Ad un solo mese dalle elezioni parlamentari, mi sento in dovere di cogliere questa opportunità per estendere un invito a tutti gli iracheni, e ai cristiani in particolare, a partecipare in massa” recandosi alle urne e votando candidati “che sono più adatti a servire il popolo senza discriminazioni”. È quanto scrive il primate di Baghdad dei caldei, il card. Louis Raphael Sako, in un messaggio pubblicato sul sito del patriarcato e inviato ad AsiaNews a meno di un mese da una tornata elettorale fondamentale per delineare il futuro della nazione. A maggior ragione oggi in cui l’intera regione sembra essere attraversata da tensioni e cambiamenti, scontri fra interessi opposti e tentativi di mediazione a partire dal piano di pace su Gaza siglato ieri sotto l’egida statunitense per un nuovo Medio oriente. “Devono votare - prosegue il porporato - per persone capaci, note per la loro integrità e onestà, che rispettano pluralismo e diversità di religioni ed etnie che caratterizzano l’Iraq e che credono nella sovranità, nel progresso e nella stabilità”.

Frammentazione e disillusione
Il panorama elettorale dell’Iraq, nazione che il prossimo 11 novembre sarà chiamata alle urne per le seste elezioni parlamentari dalla caduta di Saddam Hussein, è caratterizzato da un misto di frammentazione politica, disillusione dell’opinione pubblica e alleanze politiche mutevoli. Come ha evidenziato il patriarca caldeo non mancano problemi di integrità e competenze fra gli stessi candidati, in un Paese in cui troppe volte corruzione e malaffare hanno prevalso nella vita pubblica a discapito dei cittadini, in primis delle minoranze etnico-religiose.
Il primo ministro Mohammed Shia Al-Sudani, che cerca di ottenere un secondo mandato grazie ad un elevato consenso popolare, deve affrontare l’opposizione dei leader politici sciiti rivali e un sistema politico progettato per impedire il consolidamento del potere. A quasi un anno dal voto amministrativo nel nord a maggioranza curda, il Partito democratico del Kurdistan e l’Unione Patriottica del Kurdistan si presentano alla nuova scadenza senza aver formato un governo, mentre i leader politici sunniti rimangono divisi. In questo quadro conflittuale, molti iracheni sceglieranno di non partecipare mettendo in dubbio l’importanza stessa delle elezioni e il peso decisionale dell’elettorato in un Paese permeato da forte instabilità.
Inoltre, la campagna elettorale ha rafforzato la consueta divisione tra due principali gruppi: quelli che lottano per il potere o cercano di conservarlo e quanti nutrono vaghe e irrealistiche speranze di cambiamento o che partecipano semplicemente come elementi decorativi. Questa divisione non è solo politica, ma anche finanziaria. Da un lato candidati poveri che conducono campagne modeste e sobrie, cercando di attirare gli elettori attraverso idee e programmi; dall’altro contendenti ricchi che orchestrano iniziative sontuose, facendo leva su clamore, battage mediatico e spettacolo visivo. Di questi ultimi, la maggior parte proveniente da forze politiche che hanno governato l’Iraq negli ultimi due decenni con questioni irrisolte sia legali che morali. Personaggi come l’ex primo ministro Nouri al-Maliki, il leader della milizia Badr Hadi al-Amiri e il comandante di Asa’ib Ahl al-Haq Qais al-Khazali hanno tutti mostrato di disporre di ingenti risorse finanziarie e influenze interne allo Stato. In questo modo, le elezioni rischiano di trasformarsi da un processo democratico positivo in un ciclo negativo che perpetua la corruzione, riportando al potere le stesse figure.

Cristiani e rappresentanza
In questo quadro di incertezze e criticità si inserisce l’intervento del patriarca Sako, già più volte in passato in prima fila nella lotta contro la corruzione o il tentativo di gruppi e milizie armate di arrogarsi la pretesa di rappresentare gli “interessi” dei cristiani. “La Chiesa caldea - sottolinea il porporato - rifiuta che i cristiani siano rappresentati da individui la cui corruzione è stata denunciata e acclamata o da gruppi armati che controllano le loro risorse e dominano le loro città nella piana di Ninive. Non accetteremo che la componente cristiana diventi carburante per questi attori stranieri” con un riferimento, fra gli altri, alle milizie sciite e a movimenti - molti dei quali legati a Teheran - che sfruttano la componente cristiana per una mera questione di potere. Esempio ne è lo scontro durissimo in atto da anni fra lo stesso patriarca e il sedicente leader cristiano “Rayan il caldeo”, alla guida delle famigerate Brigate Babilonia filo-iraniane.
“Avevamo ufficialmente chiesto ad alcuni organi governativi competenti, come la Commissione Elettorale, di limitare il voto alla componente cristiana - prosegue la nota del porporato - come soluzione legale che ne garantisse la rappresentanza”. “I partiti caldeo, assiro e siriaco - avverte - hanno fatto lo stesso, ma nessuno ci ha ascoltato. Purtroppo, per oltre 15 anni, il governo iracheno non è riuscito a tutelare i diritti delle minoranze, ad adottare misure vincolanti per garantirne l’equità e a preservarne la rappresentanza e il ruolo”. “I cristiani non si arrenderanno nonostante le ferite e si impegneranno con determinazione per realizzare questo diritto costituzionale che garantisce il loro futuro e consolida la loro sopravvivenza. La Chiesa caldea - conclude il card. Sako - non si svenderà, non si arrenderà all’ingiustizia e la sua lealtà verso l’Iraq e il suo amore per gli iracheni rimarranno intatti”.

Esclusioni pretestuose
La questione della rappresentatività e della libertà di partecipazione non è certo un elemento secondario per la vita delle minoranze e una loro partecipazione nell’agone politico e istituzionale del Paese. Prova ne è la recente mossa, definita senza precedenti da analisti ed esperti, della Commissione elettorale indipendente (Ihec) di escludere candidati caldei e assiri per motivazioni “pretestuose”. Un esempio su tutti è la bocciatura di Issam Behnam Matti, il candidato caldeo-siriaco-assiro in rappresentanza della quota cristiana nella provincia di Ninive. Matti Yakub, sindaco del distretto di Hamdaniya fino all’inizio di quest’anno quando è stato sostituito da un candidato affiliato a Rayan il Caldeo, è stato escluso per presunta violazione dell’art. 7 (quinto) della legge elettorale modificata n. 12 del 2018 del Consiglio dei rappresentanti iracheno.
Nonostante il ricorso formale contro questa ed altre esclusioni eccellenti sempre in base alla stessa norma, la Commissione ha confermato le sue decisioni. Una scelta che ha contribuito ad alimentare le preoccupazioni sulla trasparenza dell’applicazione della legge, in particolare per quanto riguarda gli standard comportamentali soggettivi o le violazioni procedurali. Studiosi e osservatori spiegano che tali sentenze rischiano di compromettere le possibilità delle minoranze di ottenere una rappresentanza parlamentare autentica in un’Assemblea di 329 seggi, di cui solo nove riservati alle minoranze (cinque i cristiani). La controversia va oltre i tecnicismi giuridici e solleva questioni più profonde sulla partecipazione politica delle minoranze irachene dopo il 2003 e sulla capacità del sistema elettorale di salvaguardare la diversità demografica e politica. Per le prossime elezioni, la Commissione ha approvato i seguenti rappresentanti cristiani, alcuni dei quali di origine caldea-siriaca-assira: Baidaa Khidhir Bahnam Yakub, Dureid Jameel Ishoh Simaan, Farouq Hanna Atto Shamoun, Hiba Jirjis Abdul-Ahad al-Qass e Aswan Salim Sadiq Sawa al-Kaldani.

Il 27 ottobre il Papa incontra il Patriarca della Chiesa Assira dell'Oriente

25 ottobre 2025

In un comunicato del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, viene resa nota la prima visita ufficiale al Papa, lunedì 27 ottobre, di Sua Santità Mar Awa III, Catholicos Patriarca della Chiesa Assira dell’Oriente.
 Il Catholicos Patriarca sarà accompagnato dai membri della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Assira dell’Oriente, che in questi giorni a Roma prosegue una nuova fase di dialogo sulla liturgia nella vita della Chiesa.
Il 9 novembre 2024, Papa Francesco aveva ricevuto il Patriarca assiro Mar Awa a trent’anni dalla firma della “Dichiarazione cristologica comune” di Giovanni Paolo II e Mar Dinkha IV che aveva di fatto posto fine a 1500 anni di controversie dottrinali tra Chiesa cattolica e orientale.
Nel corso della stessa udienza Papa Bergoglio aveva annunciato che sant'Isacco di Ninive, noto anche come Isacco il Siro, uno dei Padri più venerati della tradizione siro-orientale, sarebbe stato inserito nel Martirologio Romano.