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11 giugno 2023

I cristiani iracheni lanciano anche una tv per salvare il siriaco

2 giugno 2023

Il crollo demografico dei cristiani in Iraq (e in Siria), alimentato dalla guerra e dalle violenze confessionali, non ultima l’ascesa dello Stato islamico (SI, ex Isis) che ha innescato un’ulteriore emorragia, rischia di far scomparire il siriaco, antico dialetto derivante dall’aramaico. In uso da circa tre millenni e, negli ultimi anni, praticato soprattutto nelle case e nelle famiglie - in alcune zone anche a scuole e nelle chiese, durante le funzioni religiose - oggi l’antico idioma rischia di scomparire come successo per oltre metà della popolazione nell’area. Fra le iniziative per valorizzare e promuoverne l’uso, vi è anche il lancio di un nuovo canale televisivo dedicato proprio alla “lingua morente”.
Mariam Albert, una giornalista televisiva del canale in lingua siriaca Al-Syriania, conferma: “È vero che parliamo siriaco a casa, ma sfortunatamente sento che la nostra lingua sta scomparendo, tanto lentamente quanto inesorabilmente”. Il governo di Baghdad ha lanciato il canale ad aprile per aiutare a mantenere viva la lingua. Con i suoi 40 dipendenti, la rete offre una varietà di programmi che spaziano dal cinema, all’arte e alla storia. “È importante - prosegue la 35enne - avere una stazione televisiva che ci rappresenti”.
Molti programmi sono presentati utilizzando una forma dialettale del siriaco, ma per i notiziari si predilige la forma classica, che ha però lo svantaggio di non essere compresa da tutti. L’obiettivo dichiarato di Al-Syriania, prosegue il direttore del canale tv Jack Anwia, è quello di “preservare la lingua siriaca” attraverso quello che viene definito “intrattenimento”, senza dimenticare l’informazione e gli eventi più significativi per la comunità. “Una volta - prosegue il responsabile - il siriaco era un idioma diffuso in tutto il Medio oriente” e tutti, governo compreso, “abbiamo il dovere di impedirne l’estinzione”. “La bellezza dell’Iraq - chiosa - consiste anche nella sua grande diversità culturale e religiosa”.
L’Iraq un tempo era conosciuta come culla della civiltà, terra degli antichi Sumeri e Babilonesi che hanno prodotto il primo codice giuridico scritto al mondo. Al suo interno vi è anche la città di Ur, secondo la Bibbia luogo natale di Abramo, il padre delle tre grandi religioni monoteiste. Oggi è in gran parte musulmano (sciita), ma ospita al suo interno comunità sunnite, curdi, cristiani, yazidi. Le lingue ufficiali sono l’arabo e il curdo; prima dell’invasione Usa nel 2003 i cristiani erano circa 1,5 milioni, poi scesi sotto i 400mila in seguito all’avanzata dei gruppi jihadisti, fra cui l’Isis.
Il patrimonio culturale, linguistico e archeologico in Iraq è un elemento che preoccupa anche la Chiesa locale: sin dai tempi in cui era arcivescovo di Kirkuk l’attuale patriarca di Baghdad dei caldei, il card. Louis Raphael Sako, aveva sottolineato l’importanza di una politica di riscoperta, salvaguardia e valorizzazione. Un bene che il porporato definiva “universale” e da curare come l’archeologia, che da sola vale “più del petrolio”. Un compito che spetta a tutti i cittadini e che ha richiamato nel 2016 alla “Conferenza internazionale per la salvaguardia del patrimonio culturale nelle aree teatro in conflitto” di Dubai (Emirati), che ha riunito capi di Stato e di governo, studiosi, leader religiosi islamo-cristiani, attivisti ed esperti di storia, archeologia e cultura.
Negli anni la lingua siriaca è stata sempre più “emarginata” come conferma Kawthar Askar, capo del dipartimento di lingua siriaca alla Salahaddin University di Erbil, nel Kurdistan iracheno. “Non possiamo dire che sia - aggiunge - una lingua morta... [ma] è sotto minaccia” di sparire a causa della migrazione. Il dipartimento accoglie circa 40 studenti, altri frequentano il corso all’università di Baghdad. In totale viene insegnato in circa 265 scuole sparse per il Paese, secondo i numeri forniti da Imad Salem Jajjo, responsabile dell’educazione siriaca presso il ministero dell’Istruzione.
L’ultimo colpo al patrimonio è arrivato con il califfato islamico, nel 2014, e solo grazie alla buona volontà di alcune persone, anche musulmani, che parte delle antichità si sono salvate. Fra questi vi è l’attuale arcivescovo di Mosul, mons. Najib Mikhael Moussa, che prima di abbandonare la città ha portato con sé numerosi manoscritti. Oggi almeno 1700 di questi e altri 1400 libri - alcuni dei quali dell’undicesimo secolo - sono conservati nel centro digitale di Erbil, sostenuto dall’Unesco e curato anche dai padri domenicani. La conservazione “preserverà il patrimonio e garantirà la sua sostenibilità” spiega il prelato. Il siriaco “è la nostra storia, è la nostra lingua madre” aggiunge Salah Bakos, un insegnante di Qaraqosh, nella piana di Ninive. “Insegnare il siriaco - conclude - è importante, non solo per i bambini ma per tutti i segmenti della nostra società […] anche se i genitori dicono che è una lingua morta che non serve a nulla”.

France24