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22 marzo 2023

Iraq, Filoni: nessuno ascoltò l’appello di Giovanni Paolo II contro la guerra

By Vatican News
Marie Duhamel 

“Mai la guerra può essere considerata un mezzo come un altro, da utilizzare per regolare i contenziosi fra le Nazioni”.
Era il 13 gennaio 2003 quando Giovanni Paolo II, nel discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, lanciava il suo appello per scongiurare la minaccia della guerra poi abbattutasi sulle popolazioni dell’Iraq. Wojtyla esortava a non trascurare le conseguenze che un conflitto avrebbe comportato “durante e dopo le operazioni militari”.
Appello reiterato anche nell’Angelus del 16 marzo 2003, quando “di fronte alle tremende conseguenze che un'operazione militare internazionale avrebbe per le popolazioni dell’Iraq e per l'equilibrio dell’intera regione del Medio Oriente, già tanto provata, nonché per gli estremismi che potrebbero derivarne”, disse al mondo: “C’è ancora tempo per negoziare; c'è ancora spazio per la pace; non è mai troppo tardi per comprendersi e per continuare a trattare”.
La ragione principale dell’attacco era il timore che Baghdad poteva costruire o già detenere armi di distruzione di massa. Ipotesi poi smentita da inchieste postbelliche. Il segretario di Stato americano, Colin Powell, ammise successivamente come molte fonti dell’intelligence erano sbagliate.
“Il Papa aveva parlato e nessuno l’aveva ascoltato”, ricorda oggi il cardinale Fernando Filoni, all’epoca nunzio apostolico a Baghdad. Con i media vaticani il porporato ricorda, dopo vent’anni, quel momento drammatico per la storia dell’umanità.
Eminenza, il 20 marzo del 2003 gli Stati Uniti avviavano questo intervento militare in Iraq. Lei era lì da mesi e ha visto la guerra arrivare. Come ha vissuto tutto questo? Qual è stata la realtà di questo conflitto?
La sensazione di tutti noi che eravamo in Iraq era di una certa fatalità, cioè che non potevamo fare altro se non sentire sopra di noi decisioni che avrebbero scatenato la guerra e di cui noi eravamo solamente vittime. Dovevamo subirla! Questa era la percezione della gente che io incontravo. Erano tutti in attesa di cosa sarebbe successo. Nessuno poteva sapere come sarebbe stata la guerra, i bombardamenti, gli scontri, cosa sarebbe avvenuto… La gente aveva fatto scorte di riso, di pane, ma nessuno sapeva esattamente come sarebbe andata a finire e come la gente sarebbe stata capace di affrontare i bombardamenti che non sapevamo né dove, né come, né quando sarebbero successi.
Quindi, non si sperava più nella pace …
Erano finite tutte le possibilità. Il Papa aveva parlato e nessuno l’aveva ascoltato, le Nazioni Unite si erano schierate a favore della guerra, in Europa c’erano varie opinioni sulla guerra, ma la determinazione c’era stata pochi giorni prima nelle Azzorre tra il presidente Bush e il primo ministro Aznar e poi Blair, primo ministro inglese, che avevano deciso come e quando attaccare. Ecco, noi eravamo solo vittime di questa realtà. Da parte della leadership irachena, c’era stata una disponibilità. Almeno loro sempre mi avevano manifestato l’intenzione di poter dialogare. Ma una cosa sola chiedevano: non bisogna umiliare i capi, poi possiamo trattare su tutto. Nemmeno questo è stato accettato…
Si attendeva solo l’inizio della guerra…
Sì, vivevamo con la fatale attesa del primo bombardamento che è arrivato tra la notte del 19 e del 20 marzo e ha centrato edifici governativi, colpendo anche le centrali di comunicazioni. I telefoni sono subito saltati, non c’era più la possibilità di comunicare. Poi è cominciata anche l’invasione nel sud del Kuwait dove, sì, c’erano schierate le truppe di Saddam, ma la preponderanza dell’azione militare travolgeva tutte le difese schierate.
Lei, come nunzio, scelse di rimanere per accompagnare il popolo. Perché questa scelta e come ha potuto accompagnare il popolo?
Noi, come servizio diplomatico della Santa Sede, siamo nei diversi luoghi per la pace, per assicurare la libertà della Chiesa, per essere vicino ai nostri cristiani, per manifestare la solidarietà del Papa presso tutte queste Chiese, che siano minoranze o maggioranze. Il nunzio è lì per rappresentare il Santo Padre. Giovanni Paolo II aveva più volte manifestato la sua vicinanza al popolo iracheno. Nonostante quel che si diceva in tanti Paesi, non è vero che tutti erano contro l’Iraq, la Chiesa era contro la guerra e a favore del popolo iracheno. Sulle altre questioni si poteva discutere.
Siete rimasti, quindi, per solidarietà …
Sì, noi eravamo là per manifestare questa solidarietà. E posso dire che non solo il nunzio, ma nessun sacerdote, nessun vescovo, nessun religioso o religiosa è partito: tutti sono rimasti. Molte famiglie che potevano si sono allontanate da Baghdad, qualcuno ha cercato vie per uscire, ma questo è comprensibile quando ci sono bambini e anziani. Però anche il popolo è rimasto sempre lì, l’esodo dei cristiani è cominciato dopo. Quindi era necessario anche per il nunzio, che rappresenta il Santo Padre, rimanere con i cristiani, i sacerdoti, i vescovi. Questo è sempre stato ben apprezzato sia dal popolo iracheno che dalle autorità.
Autorità che, dopo qualche mese, hanno perso il potere. Abbiamo assistito alla caduta di Saddam Hussein. Poi ci sono stati anni molto difficili con un confronto tra sciiti e sunniti e la difficoltà di trovare un potere stabile…
Saddam Hussein era un sunnita e la minoranza islamica sunnita - minoranza consistente - aveva di fatto in mano il potere. Gli sciiti no, anzi erano stati conculcati soprattutto nel Centro-sud. Dunque nel momento in cui è caduto il regime di Saddam, la prima cosa è stata che gli sciiti hanno preso il potere. Per cui, tra gli alleati che avanzavano e facevano cadere il potere del regime e gli altri che non si sapeva come avrebbero reagito, regnava l’anarchia. Ogni giorno c’erano attentati, non militari ma da parte di chi cercava di prendere il potere o comunque trarre vantaggio per rubare. Fu un periodo di incendi enormi, di vittime: solo perché uno passava con una macchina gliela rubavano… C’era il caos, non si sapeva chi comandava, erano scomparsi i militari, i vigili, non c’era nessun tipo di autorità a controllare. Tutti ricordano i saccheggi dei ministeri, tranne di uno che fu subito presidiato: quello del petrolio. Ricordo bene come una delle cose più terribili fu il saccheggio dei musei, dove scomparvero migliaia di opere d’arte. Anche i militari americani le portavano via e infatti furono poi trovate nei loro zaini. Fu terribile pure l’incendio dell’immensa Biblioteca di Baghdad. Per 2-3 giorni ha piovuto cenere sulla città. È stato uno scempio inaccettabile: colpire pure le biblioteche significava colpire la storia, la vita di un popolo, oltre al fatto che tutta l’umanità viene privata di beni dal valore incalcolabile.
Quale conseguenza ha avuto questo periodo di guerra sul volto della Chiesa e come queste conseguenze si riflettono nella Chiesa di oggi?
La Chiesa ha sofferto... È stata la prima ad avere molti martiri, molte uccisioni, esplosioni dentro o davanti alle chiese. I nostri fedeli sono stati tra i primi ad essere presi di mira. Molti beni sono andati perduti perché, essendoci l’anarchia, numerose case di cattolici e cristiani furono occupate. Tutto questo naturalmente ha inciso sulle prospettive future: quale tipo di regime ci sarebbe stato? Quale tipo di governo si poteva instaurare? Fondato su quale legge, visto che molte erano state abrogate? Mi riferisco a quelle sulla libertà religiosa, sui diritti civili, sul diritto di ogni cittadino a vivere nel proprio Paese. Anche quando si è tentato di imporre una legge non veniva rispettata, gli attentati erano continui. Questo è andato avanti per anni. L’Isis è stata la conseguenza di un’anarchia, di problemi che non erano stati risolti, di una difesa non ancora definita. Tutto ciò ha generato il sopravvento di bande e gruppi che hanno messo in crisi la popolazione. Tutta la popolazione, ma in particolare i cristiani che, nella zona del nord Iraq, nella Piana di Ninive, nei villaggi del Kurdistan, sono diventati oggetto di una spietata caccia insieme ad altre minoranze della zona.
Nel 2015 lei è stato mandato da Papa Francesco in Iraq per esprimere la sua prossimità. Poi c’è stato viaggio del Papa. Com’è stata percepita la Chiesa?
La percezione delle autorità ma anche della gente comune è stata di grande rispetto per la Chiesa Cattolica. Non c’era questa percezione prima, non si parlava mai della Chiesa cattolica, i giornali, le televisioni non dicevano mai niente. Ricordo che la gente rimase meravigliata quando per la prima volta, caduto Saddam, hanno potuto comprare le tv che prima era impossibile avere - milioni di antenne satellitari arrivavano con enormi camion - e la gente ha potuto rendersi conto che esiste un mondo fuori e una delle cose che ha scoperto nel periodo in cui era morto Giovanni Paolo II, erano queste file enormi di fedeli che venivano a pregare. E la gente in Iraq ha detto: “Ma come? Ci hanno sempre detto che sono miscredenti e com’è che questa gente prega?”. Era la prima volta che avevano un impatto con una realtà diversa da quella che era stata loro descritta. E questo è rimasto, cioè il fatto che in fondo la Chiesa ha difeso il popolo iracheno. Sempre, sempre, anche durante il regime. Non era una difesa contro Saddam Hussein, ma erano la difesa del popolo, del diritto di un popolo ad avere la sua libertà, la sua dignità, la sua espressione di fede. Questo è continuato anche con le azioni successive del Papa: quando mi ha mandato per solidarietà verso centinaia di migliaia di cristiani fuggiti dalla Piana di Ninive, è stato percepito come un segno di vicinanza del Papa e della Chiesa. È stato molto importante perché la percezione del cristiano prima era quella di un infedele, invece i cristiani erano gli unici che dimostravano una grande vicinanza, non solo a livello morale ma anche economico con il sostegno di Caritas e altri aiuti.
Quindi com'è stato vissuto il viaggio di Papa Francesco in Iraq?
Sì. La visita del Papa è stata la risposta al desiderio di Giovanni Paolo II nel 2000 di andare in Iraq per l’Anno Santo. Desiderio che gli era stato negato. Questo ha completato un’attesa e ha aperto delle porte, a cominciare dal fatto che il Papa si è impegnato nel dialogo con il mondo sunnita e anche con il mondo sciita, andando a trovare Al-Sistani, ha dimostrato che è possibile un dialogo. Queste sono delle porte che sono state aperte e l’inizio di un lungo cammino.