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29 dicembre 2022

Mosul ha accolto il Papa ma non dà il bentornato ai cristiani

By Baghdadhope* - Al 'Alam Al Jadeed

Secondo un articolo pubblicato oggi da Al 'Alam Al Jadeed il ritorno dei cristiani iracheni alle loro abitazioni nella Piana di Ninive dopo la loro cacciata ad opera dell'ISIS nel 2014 è molto ridotto ed addirittura in alcune zone "inesistente." 
Stessa, se non peggior sorte, sta toccando a Mosul dove, come nel caso della Piana di Ninive, la diffusa sfiducia tra i cristiani in ambito sociale e di sicurezza personale, unita alla crisi economica ed alla mancanza di opportunità di lavoro, maggiore invece nella vicina regione autonoma del Kurdistan iracheno, ha portato solo 70 famiglie al ritorno delle migliaia che ci vivevano prima della presa della città da parte dell'ISIS. 
Questi dati sono stati confermati ad Al 'Alam Al Jadeed dal sacerdote responsabile della comunità siro-cattolica di Mosul, Padre Ra'ed Adel che stima al massimo a 150 il numero complessivo di cristiani tornati in città. 
Le ragioni che spingono i cristiani di Mosul a non far ritorno in città sono, secondo il sacerdote, molteplici.
La mancanza di ricostruzione delle infrastrutture distrutte durante l'occupazione da parte dell'ISIS e della guerra per liberare la città è uno di essi.
Solo tre chiese, ad esempio, San Tommaso, San Paolo e quella dell'Annunciazione, sono state ricostruite e sono aperte al culto mentre le altre chiese ed i monasteri, più di trenta in tutto, sono ancora o distrutti o in via di ricostruzione.    
Un altro fattore riguarda le proprietà dei cristiani i cui documenti di proprietà sono stati falsificati e poi rivenduti e dei quali solo alcuni sono stati recuperati tramite azione giudiziaria. 
A confermare queste tristi affermazioni sono le dichiarazioni rilasciate dall'Arcivescovo caldeo di Mosul, Monsignor 
Moussa Najib Mikhael O.P, che descrive il calo del numero dei cristiani in città come un indicatore pericoloso e critica il governo iracheno per aver permesso la violazione dei diritti dei cittadini cristiani e la loro discriminazione in termini di assegnazione di incarichi, opportunità di lavoro e uguaglianza di fronte alla legge. 
Oltre a ciò, pur senza rivelare con precisione a quali "pressioni" si stesse riferendo, l'arcivescovo caldeo le ha però citate come uno dei fattori che hanno contribuito a far fallire i tentativi suoi e del governatore della provincia di Ninive, Najim Al Jubouri, di frenare il cambiamento demografico in atto nelle aree tradizionalmente abitate dai cristiani che di certo non ne sta favorendo il ritorno. 
Le denunce dell'arcivescovo però non si fermano qui. 
Se ciò non bastasse, la rinascita della comunità cristiana nel nord dell'Iraq sta fallendo anche perché "il 95% dei cristiani non ha ricevuto nessun indennizzo" per i danni subiti ai tempi dell'occupazione da parte dell'ISIS ed a ciò si aggiunge il fatto che tutte le organizzazioni che avrebbero voluto aiutare le chiese si sono ritirate a causa degli ostacoli posti dal governo e le percentuali che lo stesso governo vuole ricavare: "Le organizzazioni danno il loro aiuto gratuitamente ma il governo le ricatta" ha concluso l'arcivescovo.   
Eppure i motivi non sono solo questi.
E' il ricercatore cristiano Samer Elias Sa'ed che ricorda come la maggior parte delle case dei cristiani siano state saccheggiate e svuotate dai loro stessi vicini. 
Come è successo a lui stesso la cui casa, nei pressi dell'Università di Mosul, è stata prima sequestrata dall'ISIS quando hanno costretto la sua famiglia ad abbandonarla, nel luglio del 2014, ma dopo la cacciata degli islamisti e la liberazione della città è passata nelle mani dei sostenitori dell'allora governatore della provincia di Ninive, 
Atheel al-Nujaifi, che hanno finito di distruggerla. 
Ad avere parole dure per chi ha di fatto ostacolato il ritorno dei cristiani in Iraq in generale ed a Mosul in particolare è anche il patriarca della chiesa caldea, Cardinale Mar Louis Raphael Sako, che, citando le 20 famiglie cristiane che ogni mese lasciano la patria, addossa la colpa al
"caos, alla frammentazione e al nepotismo  creati dalle milizie settarie” con un chiaro riferimento, secondo Al 'Alam Al Jadeed, alla 30a Brigata delle Forze di mobilitazione popolare, brigata formata in maggioranza da Shabak (musulmani sciiti) che impone la sua autorità assoluta sulla Piana di Ninive, ed è accusata di aver favorito il cambiamento demografico sequestrando immobili di proprietà di cristiani e musulmani sunniti.
"Chi deve proteggere questi cristiani pacifici e fedeli alla loro patria se non il governo?" chiede retoricamente il Cardinale Sako aggiungendo addirittura un appello allo stesso governo: "Se non vuole che i cristiani rimangano come cittadini a tutti gli effetti nel loro paese, l'Iraq, allora che lo dichiari francamente in modo da darci la possibilità di gestire la questione prima che sia troppo tardi."  
Eppure ufficialmente le dichiarazioni sono tutte e sempre a favore del ritorno dei "fratelli cristiani," "cittadini originari del paese."
Un politicamente corretto che si scontra con le testimonianze sopra riportate e trova conclusione nelle scoraggianti parole di W
illiam Isho: "Ciò che si dice sulla costruzione di ponti e sulla tolleranza sono solo parole che non riflettono la realtà e che sono a favore dei mezzi di comunicazione. L'ideologia dell'Isis è ancora presente nonostante ci siano musulmani che rispettano i cristiani ed è il motivo principale per cui i cristiani non tornano a Mosul. "

27 dicembre 2022

La persecuzione ai cristiani oggi (AUDIO)


Don Karam Shamasha, sacerdote di Alqosh, nella Piana di Ninive, in Iraq
Alessandro Monteduro, direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre in Italia

Conduce: Debora Donnini

Clicca sul titolo o qui per ascoltare le interviste

Natale in Iraq/ Mons. Yaldo: tanti vogliono diventare cristiani, la legge però lo vieta

26 dicembre 2022 

L’Iraq, dopo la sconfitta dello Stato islamico che aveva occupato e devastato gran parte del suo territorio, provocando morte e distruzione, non si è mai realmente ripreso da quella tragedia, che si era aggiunta alla guerra portata dagli Stati Uniti nel 2003.
Solo lo scorso 13 ottobre, dopo un anno di stallo politico, manifestazioni, incidenti e proteste, è stato eletto il nuovo presidente della Repubblica.
Si tratta di Abdul Latif Rashid, un ex ministro curdo di 78 anni, che ha poi incaricato Mohammed Shia al Sudani, sciita, di formare un governo. La situazione del Paese è grave, nonostante le grandi risorse petrolifere: corruzione, disoccupazione, divisioni provocate dalle varie minoranze sciite, l’influenza dell’Iran e nelle ultime settimane i bombardamenti congiunti turchi e iraniani nel Kurdistan.
La minoranza cristiana vive il disagio più forte, costretta all’emigrazione, nonostante la visita di Papa Francesco ne avesse riacceso le speranze. Abbiamo parlato di tutto questo e di cosa significhi il Natale in Iraq con monsignor Basel Yaldo, vescovo ausiliare di Baghdad.

Finalmente l’Iraq ha un governo e un presidente. Come è la situazione adesso? La lotta intestina tra le fazioni sciite, nella quale spicca la figura del leader Muqtada al-Sadr, continua a creare problemi?
La situazione in Iraq non è ancora stabile, nonostante abbiamo un governo e un presidente dopo un anno di attesa. Ora la lotta continua tra i partiti politici, poi tra sunniti e sciiti e poi tra gli sciiti stessi.
La situazione economica che aveva spinto la popolazione a protestare nelle strade continua a essere grave?
La situazione economica in Iraq è difficile a causa della corruzione. Mancano servizi sociali, elettricità, lavoro per i giovani e non ci sono più fabbriche locali come prima: ora tutto viene da Iran e Turchia.
Nel Kurdistan iracheno si registrano ultimamente attacchi sia da parte turca che iraniana: qual è la posizione della Chiesa?
Noi chiediamo di fermare questi attacchi e preghiamo sempre per la pace. La Chiesa sta accanto alla gente, proviamo a essere messaggeri di pace.
Come vivono le comunità cristiane del Paese? E i cristiani continuano a emigrare?
Incoraggiamo sempre la nostra gente a rimanere in Iraq. Siamo cristiani qui in Mesopotamia dal primo secolo dopo Cristo e abbiamo un grande patrimonio, tre sono le città menzionate nella Bibbia: Ur dei Caldei, Ninive dell’impero assiro e Babilonia. La nostra Chiesa ha dato tantissimi martiri, per questo motivo si chiama Chiesa dei Martiri. Noi cristiani viviamo in Iraq per migliorare il Paese, perché tutti sanno il ruolo dei cristiani, che danno una testimonianza di vita
Qual è la vera risposta al fondamentalismo islamico? Deve essere solo morale, religiosa, o anche politica?
La vera risposta al fondamentalismo islamico deve essere morale e religiosa, cioè i capi cristiani e musulmani devono essere nei loro discorsi contro la guerra, contro il terrorismo, contro la violenza e contro la corruzione.
Ma non c’è solo il fondamentalismo. Con i musulmani avete anche relazioni costruttive?
I cristiani hanno un buon rapporto con tutte le comunità in Iraq, specialmente con i musulmani. Perché siamo gente pacifica, noi non abbiamo armi o milizie. È vero che siamo la minoranza, ma siamo rispettati da tutti.
Ci sono giovani che scelgono di abbracciare il cristianesimo? Che cosa li attrae?
C’è tanta gente che vuole abbracciare il cristianesimo perché vede la tranquillità, la carità, il perdono, la speranza, ma la legge in Iraq non permette di cambiare religione, specialmente ai musulmani.
I cristiani dal punto di vista politico hanno poca rappresentanza: solo 5 seggi in Parlamento. E dal punto di vista civile e religioso? Sono più o meno rispettati?
A dir la verità, i nostri parlamentari cristiani non rappresentano tutti i cristiani, perché appartengono ai partiti politici, seguono i loro interessi come gli altri, quindi la gente non si affida tanto a queste persone.
In Occidente molti cattolici – oggi in minoranza nella società – rimproverano alla Chiesa di aver parlato troppo con il potere e poco ai cuori. La Chiesa deve parlare o no con il potere? Fino a chiedergli di tutelarla?
Una settimana fa abbiamo incontrato (con*) Sua Eminenza il cardinale Sako il primo ministro iracheno e anche, un mese fa, il nuovo presidente. Era un incontro per parlare della situazione generale dell’Iraq, di come trovare il lavoro per i giovani e di come fermare la corruzione. Abbiamo chiesto, in particolare, di difendere i diritti dei cristiani. La Chiesa deve difendere la loro comunità e dire la verità.
Cosa pensa della guerra che si combatte in Ucraina? Come interroga la sua coscienza e responsabilità di pastore?
Noi dal primo giorno siamo contro la guerra, perché abbiamo già sofferto la guerra in Iraq e conosciamo bene cosa sia una guerra. A pagare è sempre la gente comune, il popolo. Dobbiamo fare tutto il possibile per fermare ogni guerra.
In questo quadro, l’avvenimento del Natale che significato particolare assume?
L’Evento del Natale è un tempo pieno di grazia, speranza e pace. La nostra missione trova un vero significato profondo nell’Avvento, cammino verso la speranza, la gioia e la pace celebrate a Natale. L’Avvento è vissuto in prima persona da ciascuno e da tanti dei nostri fratelli rifugiati. Preghiamo per loro e facciamo nostro il loro dolore, perché la loro realtà ci avvicina senz’altro al mistero del Natale.

*Nota di Baghdadhope

23 dicembre 2022

Buon Natale 2022


Buon Natale e Buon Anno Nuovo

Edo Bri'cho o Rish d'Shato Brich'to

عيد ميلاد سعيد وسنة ميلادية مباركة

Happy Christmas and Happy New Year

Feliz Navidad y Feliz Año Nuevo

Feliz Natal e Feliz Ano Novo

Joyeux Noël et Bonne Année

Fröhliche Weihnachten und Gutes Neues Jahr

God Jul och Gott Nytt År


By Baghdadhope*

Cristiani in Iraq: «Con Gesù Bambino non abbiamo paura!»


Iraq, la terra di Abramo, ma anche terra di persecuzione per i cristiani; terra di minoranza per chi professa la fede in Dio. Dal rapporto diffuso nel novembre scorso dall’organizzazione Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) è stato evidenziato che, seppur rispetto ai report precedenti «il ritmo dell’esodo è molto più lento, la comunità è scesa dai circa 300.000 fedeli presenti prima dell’invasione dello Stato Islamico del 2014 ai circa 150.000 rimasti nella primavera del 2022».
Il mistero del Natale è racchiuso nella Luce; e se il buio sembra avere la meglio, per i cristiani, la parola speranza diventa ancor più luminosa, più forte, proprio quando le tenebre sembrano vincere. 
La Nuova Bussola Quotidiana ha voluto ascoltare, proprio nei giorni in cui la Luce del Bambino Gesù viene celebrata, una voce che in questa terra vive la propria missione.
È suor Narjis Henti, della Congregazione Figlie del Sacro Cuore di Gesù, appartenente alla Chiesa Caldea Cattolica. La sua voce è ferma, decisa, profonda: non ha paura, così come le sue consorelle, così come i cristiani che cercano di vivere la propria fede in un paese così piegato dalle guerre.
Le Figlie del Sacro Cuore di Gesù, Suor Henti, nascono proprio in questa terra, l’Iraq. Può delineare – per sommi capi – la storia, le origini, la missione della congregazione della quale fa parte?
Apparteniamo alla Chiesa caldea cattolica dell'Iraq; la congregazione è nata nel 1911 ad Araden, un villaggio del nord iracheno; nasce grazie all’ispirazione di Padre Abd Al-Ahad Raees, che è stato il nostro fondatore: da questa sua esperienza sul campo, prende vita la nostra congregazione che all’origine ha il desiderio di essere di aiuto alla Chiesa, di servizio al prossimo, soprattutto di aiuto per gli ammalati, i moribondi; nasce con l’intento di aiutare le donne ad organizzare le loro mura domestiche, ad educare i bambini. Poi, la missione della nostra congregazione è cresciuta, ovviamente; come la stessa nostra regola contempla, viviamo la missione secondo le necessità che la realtà circostante ci presenta. 
Attualmente, il nostro servizio è più ampio: lavoriamo nelle parrocchie occupandoci del servizio liturgico; ma, soprattutto, la nostra missione è andata sempre più focalizzandosi sull’aspetto pedagogico: abbiamo, infatti, diverse scuole in Iraq. Abbiamo, inoltre, un centro liturgico a Bagdad e uno ad Erbil.
La storia dell’Iraq ci presenta, purtroppo, diverse pagine tragiche. Quali immagini le vengono in mente maggiormente?
Ci sono stati attacchi da parte dell’Isis che possono ritenersi infernali; attacchi in cui abbiamo vissuto momenti terribili: vittime, sangue, dolore e sofferenza. Ricordo una notte in cui le nostre chiese e le nostre comunità hanno aperto le porte a chi aveva bisogno; in una sola notte sono arrivate 5.000 famiglie depredate di tutto. Le guerre, in fondo, le abbiamo sempre vissute, ma dopo la caduta di Saddam Hussein, il tutto si è andato sempre più accentuando. È terribile pensare che si possa uccidere secondo la propria identità!
Le persecuzioni, le bombe, gli attacchi e i feriti: come si vive tutto questo alla luce della fede?
Come cristiani abbiamo sempre avuto la speranza che con Cristo siamo più forti. Nel 2006, quando sono entrata in comunità, ho sentito una chiamata molto forte per essere al servizio di questo popolo. Ho scelto di essere uno strumento che Dio può utilizzare per dare conforto e speranza. La mia vocazione non ha a che fare con la paura. Siamo ancora più forti, anche se siamo perseguitati.
Mi viene in mente san Paolo, la sua Seconda Lettera ai Corinzi: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (12,10). È questa consapevolezza che ci fa andare avanti nella nostra missione, nella nostra vocazione.
 La Chiesa Caldea è conosciuta nella storia come la “Chiesa del martirio”: siamo fieri di ciò che siamo! Nella nostra liturgia dei Vespri ci sono degli inni che portano il nome di Inni dei martiri; in queste preghiere chiediamo la loro intercessione per tutta l’umanità. Abbiamo, inoltre, grande considerazione di tutti gli scritti dei Padri della Chiesa, che assieme ai martiri rappresentano per noi dei veri e propri fari per condurre il nostro cammino nelle terre di persecuzione. Con loro, non abbiamo paura!
Come si prepara al Natale la popolazione cristiana nel territorio iracheno?
Il Natale è una festa di gioia! E, quindi, con gioia, ci prepariamo ad attendere il Bambino Gesù. Le nostre parrocchie sono sempre piene: le attività con i bambini ci aiutano ad attendere la nascita del Re dei re; in noi vive non il pensiero della persecuzione – che nel nostro tempo presente sta divenendo, molte volte e sempre di più, discriminazione verso i cristiani – ma un pensiero di estrema gratitudine a Dio per averci donato Suo Figlio! E noi rispondiamo a questo dono, lodando il Signore con gioia: basterebbe pensare alla nostra liturgia del tempo di Avvento; sono pagine scritte dai Padri della Chiesa, soprattutto, che ci aiutano a prepararci interiormente al Santo Natale.
Il nostro breviario, in lingua aramaica, in questo tempo così importante, ci offre la possibilità di vivere – con alcune preghiere – la bellezza della nostra Chiesa, soprattutto quella delle nostre origini dal I secolo d.C.!
La nostra gioia, certamente, è data dalla certezza della presenza, della vicinanza del Bambino Gesù, di Cristo, nelle nostre difficoltà quotidiane che incontriamo. A queste difficoltà noi rispondiamo con le stesse parole che l’angelo Gabriele, al momento della sua presentazione alla Vergine, aveva pronunciato: «Non temere!».
Mi fa piacere, sinceramente, cogliere questa occasione per augurare a tutti, davvero a tutti, un santo Natale da vivere nella piena speranza, con cuore pronto, per abbracciare il Re della pace.

Il patriarca della chiesa caldea incontra a Baghdad il presidente del consiglio italiano

By Baghdadhope* - Patriarcato caldeo - Rai News

Nell'ambito della visita effettuata al contingente militare italiano impegnato in Iraq il presidente del consiglio italiano, Giorgia Meloni, ha incontrato anche il patriarca della chiesa caldea Cardinale Mar Louis Raphael Sako nella sede patriarcale a Baghdad. 
Le fonti patriarcali riferiscono di una conversazione che ha toccato più temi: il sostegno all'unità ed alla sovranità dello stato iracheno, gli sforzi necessari perché diventi uno stato moderno che possa incoraggiare gli investimenti ma anche la situazione dei cristiani, il loro essere emarginati, una cosa denunciata più volte dal patriarca Sako, e le ingiustizie che li hanno colpiti.
L'Europa, si è detto, dovrebbe sostenere i cristiani d'Oriente, gli abitanti originari del paese, incoraggiandoli a rimanere in patria contribuendo alla ricostruzione delle aree in cui vivono e creando progetti per alleviare il problema della disoccupazione.
 
Il presidente Meloni ha anche chiesto quale impatto abbia avuto in Iraq la visita nel paese di Papa Francesco nel marzo 2021 ed il patriarca l'ha definita molto positiva tanto da lasciare un segno profondo nel cuore di tutti gli iracheni, in particolare con i discorsi del Santo padre sul rispetto delle diversità, sulla solidarietà, sul perdono e sul vivere in pace e dignità.            
Sempre a proposito della presenza cristiana in Iraq il presidente Meloni ha anche espresso i suoi ringraziamenti al primo ministro iracheno, Mohammed Shia al-Sudani, per aver decretato il 25 dicembre festa nazionale.
"U
n importante segnale di grande rispetto della libertà religiosa e di rispetto per i cristiani presenti nel paese" ha detto il presidente Meloni.  
 

22 dicembre 2022

Messaggio di Natale 2022 del patriarca Sako

By Patriarcato caldeo

Il Natale è credere nella presenza continua di Dio nella nostra vita, una presenza eterna nel suo amore e nella sua misericordia
Il Natale è un progetto teologico sul piano della fede, dell’uomo e della vita che aiuta le persone a recuperare i valori spirituali e morali per vivere nell’amore e nella pace con gli altri.
Il Natale non è solo una celebrazione di un anniversario di duemila anni fa, o una celebrazione di folclore con fascino esteriore come le decorazioni, i regali e le visite,  il Natale ci insegna la consapevolezza e la fede nella continuazione della presenza di Dio nella nostra vita, una presenza eterna con il suo amore e la sua misericordia. Un inno natalizio dice: “Quando la mia anima si dissolve nell’essere di Dio, io sono nel Natale”. 
Cristo è venuto per riunirci e avvicinarci, per sviluppare le nostre relazioni in uno spirito di fraternità e tranquillità, quindi accogliamolo con spirito nuovo per raggiungere la pienezza dei valori umani e spirituali che ci ha insegnato, e non lasciamo che la festa passi come i giorni del calendario, come ha detto Papa Francesco tre settimane fa nell’Angelus.
Il Natale non finirà e la speranza di una nuova umanità che viva nella pace, nell’amore e nel perdono rimane un desiderio vivo nel cuore di ogni essere umano: “La notte di Natale è cancellato l’odio, la terra fiorisce, la guerra è abolita, l’amore germoglia”. 
Questa speranza deve continuare.
È un peccato che questo Natale arrivi in un momento in cui il mondo soffre di crisi sempre più gravi come la guerra micidiale tra Ucraina e Russia, e divisioni, conflitti e ingiustizie in Iraq, Palestina, Siria, Libano e Yemen, dove i cittadini, e in particolare le minoranze, sono diventati oppressi, oggetto di violenza, e rapina, poveri e sfollati a causa del conflitto su posizioni e interessi.
Il mondo intero deve rendersi conto che le guerre sono fallimenti e i conflitti sono una perdita; questo metodo dovrebbe finire e si deve intraprendere il dialogo diplomatico per risolvere i problemi; inoltre le persone perverse devono rendersi conto che il male non durerà, che Dio li riterrà responsabili e che solo il bene rimane, e, anche se di poca entità, è una benedizione.
Gesù ha vissuto quello che viviamo oggi: le personalità religiose ebraiche lo hanno attaccato come Anna e Caifa; i politici, come il re Erode e il governatore romano Pilato, lo hanno temuto e hanno agito per liquidarlo e metterlo in croce, ma Dio lo ha risuscitato dai morti, motivo per cui i nostri fratelli musulmani lo chiamano “Gesù il vivente”.
Le nostre paure e i nostri desideri trovano nella nascita e nella risurrezione di Cristo la speranza di un lieto fine: “Quando riempiamo i cuori di speranza, siamo nel Natale”. Questa speranza dovrebbe dare energia ai cuori dei buoni e unire i loro sforzi per porre fine alla sofferenza delle persone costruendo un ambiente migliore in cui ogni cittadino, indipendentemente dal colore, dal sesso o dalla religione, viva con dignità, libertà e fierezza.
Il Natale ci insegna ad essere operatori di pace, di carità, di difesa degli oppressi, di sollievo per gli orfani, le vedove e i poveri, e non possiamo crescere e svilupparci senza una vita spirituale, i valori morali e la cooperazione per ristabilire l’armonia in questo mondo, creato bello da Dio, che ce lo ha affidato per organizzarlo, conservarlo e farlo prosperare.
L’Iraq è un paese di civiltà, di culture e di glorie, con grandi persone di tutte le religioni e categorie. È tempo di tornare alla nostra originalità e ai nostri valori, costruire fiducia sociale ed educarci ad accettare la diversità, consolidare la convivenza e la lealtà verso la patria che abbraccia tutti secondo la regola della cittadinanza paritaria. Questo progetto non è compito del solo Primo Ministro, ma i cittadini hanno una grande responsabilità con il loro sostegno, la cooperazione e la cura per proteggere l’unità e la sovranità del paese e il suo progresso in modo che tutti possano vivere in pace e felicità. Onestamente, non c’è altro modo.
Preghiamo e diciamo: o Signore della pace, dona pace e stabilità al nostro Paese e al mondo.
Buona Festa e Buon Anno. Viva l’Iraq!

21 dicembre 2022

A Mosul torneranno a suonare anche le campane della “chiesa dell’Orologio”


Foto di Ammar Aziz in Kirkuknow.com

Il “viaggio” è in programma per il prossimo mese di marzo.
Sarà allora che le tre campane, rinominate coi nomi degli Arcangeli Gabriele, Michele e Raffaele, partiranno dalla Normandia per arrivare a Mosul e essere ricollocate nel campanile di quella che tutti conoscono come la “chiesa dell’orologio”, o “chiesa dell’ora”.
L’annuncio è apparso nei giorni scorsi sui canali d’informazione dell’Unesco, l’organismo dell’ONU coinvolto nei progetti di ricostruzione della parte storica della città nord-irachena, ancora segnata dalle devastazioni subite durante gli anni dell’occupazione jihadista.
Le tre campane sono state fuse nella fonderia artigianale di Villedieu-les-Poêles Cornille Havard, in Normandia (Francia), atelier dove 15 artigiani specializzati operano facendo tesoro dell’incontro tra i moderni strumenti tecnologiche e tradizioni risalenti al Medioevo. L’Unesco riferisce anche che i lavori di restauro dell’intera chiesa dovrebbero essere completati entro il 2023.
Le fonti locali riportano spesso notizie ambivalenti e comunque non confortanti in merito al “ritorno” delle famiglie cristiane fuggite dal Mosul nel 2014, quando la città divenne capitale irachena dell’auto-proclamato Stato Islamico (Daesh).
Dopo gli anni dell’occupazione jihadista, durata fino al 2017, la convivenza sociale della città tornerà comunque a essere accompagnata anche dal suono delle campane della “chiesa dell’orologio”, uno dei segni più semplici e discreti con cui la presenza cristiana si rende percepibile a tutti, nel passare dei giorni.
La chiesa di Nostra Signora dell’Ora (Al-Saa’a) si trova nel cuore di Mosul, all’incrocio delle due strade principali che attraversano la città vecchia. Costruita alla fine del XIX secolo, è sempre stata considerata uno dei simboli di Mosul, soprattutto per il suo visibilissimo campanile che, con il suo grande orologio, era stato donato alla chiesa dall’imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III. La chiesa, officiata storicamente dai Padri Domenicani, era stata gravemente danneggiata (ma non distrutta, come invece sostenevano a quel tempo voci rilanciate da alcuni media inclini al sensazionalismo più ingannevole) durante l’occupazione jihadista.
Il ripristino dell’edificio sacro, come già riferito dall’Agenzia Fides, era stato inserito nel piano di restauro di chiese e monasteri devastati durante il periodo di occupazione jihadista. Un programma di ricostruzione avviato anche grazie a un contributo dell’Unione Europea. L’Unesco ha riservato alla ricostruzione di Mosul il finanziamento offerto dagli Emirati Arabi Uniti.
La chiesa domenicana di Mosul è l’erede di una lunghissima tradizione. L'Ordine dei Predicatori era infatti giunto in Mesopotamia già nel XIII secolo e aveva stabilito un suo convento anche a Mosul.
“I rintocchi dell’orologio di quella chiesa” raccontò nell’aprile 2016 all'Agenzia Fides suor Luigina Sako, superiora della casa romana delle Suore caldee Figlie di Maria (e sorella del Patriarca caldeo Louis Raphael), “hanno scandito la nostra giovinezza, quando Mosul era una città dove si conviveva in pace. Ricordo che da studenti, quando avevamo un esame importante, andavamo tutti, cristiani e musulmani, a portare i biglietti con le nostre richieste d'aiuto alla grotta di Lourdes ospitata presso quella chiesa, che anche i nostri amici islamici conoscevano e onoravano come 'la chiesa della Madonna miracolosa' ”.

20 dicembre 2022

Baghdad: cristiani in festa per l’ordinazione di tre nuovi sacerdoti


Foto Patriarcato caldeo

Il sacerdozio “assume dentro di sé” l’essenza intera di una persona, di un cristiano e ne permea “il suo pensiero, i suoi sentimenti e la sua attività”.
È quanto ha sottolineato il patriarca di Baghdad dei caldei, card. Louis Raphael Sako, durante l’omelia della messa di ordinazione di tre nuovi sacerdoti della Chiesa irakena.
La funzione si è svolta ieri nella cattedrale di san Giuseppe, a Baghdad, e ha rappresentato un momento di festa per una comunità cristiana segnata - come il resto del Paese - da violenze e guerre ma che cerca, negli ultimi tempi, di risollevarsi. Rivolgendosi ai tre nuovi pastori (nelle foto) il porporato ha aggiunto che il sacerdozio non è “un lavoro per guadagnarsi da vivere”, ma è una missione al servizio che deve mantenere viva “la fiamma dell’entusiasmo” e che deve per questo “imparare a rinnovarsi in modo costante”.
I tre nuovi sacerdoti sono: José Emanuel Martins, nato a Madrid, in Spagna, nel 1969. Egli è laureato in Letteratura Araba e ha studiato teologia in Spagna ed è simbolo della comunità caldea della diaspora; Bashar Basil Najeeb, nato a Baghdad nel 1995, è laureato in Informatica e sta per conseguire la laurea in Teologia presso il Pontificio Collegio Babylon, nella capitale irachena. Aiden Elia Jejo, nato ad Alqosh (nel Kurdistan iracheno) nel 1982, emigrato in Olanda dove ha studiato teologia, oggi lavora come professore di inglese ed è sposato con Larsa Khaled Matti.
Alla funzione erano presenti numerose personalità ecclesiastiche locali, oltre a una nutrita schiera di fedeli. Oltre al primate caldeo che ha presieduto l’ordinazione hanno partecipato il nunzio apostolico in Iraq mons. Mitja Leskovar, l’ausiliare di Baghdad e braccio destro del patriarca mons. Basilio Yaldo, gli ambasciatori di Italia, Spagna e Australia, numerosi sacerdoti, suore, monaci e laici della capitale e da altre parti del Paese.
Nell’omelia il patriarca Sako ha sottolineato come uno dei momenti più importanti dell’ordinazione sia quanto il novello sacerdote dichiara la propria fede e la disponibilità a dedicare la propria vita “al servizio di Cristo e dei fratelli”.
E alla domanda risponde “con entusiasmo: sì, eccomi!”.
Vi è poi l’atto dell’inginocchiarsi come “espressone di umiltà, obbedienza e ringraziamento”, per poi ricevere l’olio crismale segno dello Spirito Santo.
Ai nuovi preti, uno dei quali sposato come da tradizione della Chiesa orientale, il patriarca Sako ha rinnovato l’invito alla preghiera, mezzo che ha il sacerdote “per nutrire il rapporto con Dio e con Cristo”. Non è una “routine”, ma un elemento “essenziale” che è anche “fonte di pace, tranquillità e sicurezza”. Il secondo punto è “il rapporto con la Chiesa” al cui interno opera il sacerdote come una “squadra armoniosa” che porta “lo stesso messaggio” e da esso “non si discosta”. Infine il “rapporto con le persone”, con la propria comunità che ogni sacerdote “porta nel cuore” dedicando la propria vita al “loro servizio” come madri, padri, fratelli e figli.
Chiamandoli per nome, il porporato chiede loro di essere “testimoni” dell’amore, del perdono e della salvezza di Cristo e li ringrazia per la scelta del sacerdozio “in una società che perde i valore umani e spirituali” virando sempre più verso il materialismo. Infine, egli ringrazia quanti “hanno contribuito alla vostra educazione: la famiglia, la Chiesa e tutti i sacerdoti che vi hanno preparato a questo giorno speciale”.

16 dicembre 2022

In Iraq, focus is on role of religious actors in promoting social cohesion, inclusive citizenship


Following several interfaith consultations, representatives of different Iraqi religious and ethnic components identified education, media, and the constitution as important pillars of a nation-building process that provides equal rights to all—including the freedom of religion and belief.
The WCC, together with its member churches, the Middle East Council of Churches, CAPNI (the Christian Aid Program in Northern Iraq) and UFUQ (local interreligious civil society organization) and with the support of NCA, initiated the process of revision of educational curriculums so that they reflect the religious and ethnic diversity of the country and they promote equal citizenship.
From 3-6 December, several workshops took place in order to assess the results of the educational revision process and map the way forward.
“Iraq is considered to be a cradle of civilizations. The diversity of its religious and ethnic components is a heritage to all humanity,” said Carla Khijoyan, WCC programme executive for Peace Building in the Middle East.
“Protecting this diversity implies establishing solid inclusive systems in different disciplines, social, political, legal and cultural. Through our collective efforts, together with the indigenous Iraqi communities, we are able to promote models of inclusive citizenship paving the way towards reconciliation and unity.”
A special workshop was held for the input of female religious and ethnic actors on the role of education in inclusive citizenship. Pioneering women, activists, academics, and specialists in the field of education shared their assessments, reflections, and hopes towards the future of their communities. This first phase was followed by a workshop for input from religious leaders. The third workshop focused on next steps in the process and identified the road map to work on media and Iraqi legislation as important actors in shaping Iraqi communities.
Under the theme “Towards a Brighter Future!” the different workshops also explored the relationship between citizenship and religious and social values, healing of collective memories, transitional justice, and reconciliation.
Participants presented recommendations summarizing their concerns, aspirations, and proposals in order to achieve social cohesion and inclusive citizenship in Iraq.
Many outputs and recommendations have been issued and many also have been started to be implemented at the curriculum and legislative levels. Work has also begun in order to establish a media lobby which aims to protect diversity, promote social solidarity, and maintain ethno-religious diversity in Iraq. WCC member churches in Iraq

Summit inedito tra i Patriarchi delle Chiese di tradizione siriaca


Un incontro inedito, e per certi versi storico, tra i Capi delle Chiese di tradizione siriaca, per confrontarsi e riflettere insieme su emergenze e problemi affrontati dalle comunità cristiane in Medio Oriente, alla luce della comune eredità spirituale e dell’insegnamento dei Padri della Chiesa.
 E’ questo il singolare incontro ecclesiale convocato oggi, venerdì 16 dicembre, a Atchaneh (Libano), presso la sede del Patriarcato siro ortodosso. All’incontro, convocato dal Patriarca siro ortodosso Mar Ignatius Aphrem II, prendono parte tra gli altri il Patriarca siro cattolico Ignace Youssif III Younan, il Patriarca maronita Béchara Boutros Raï, il Patriarca assiro Mar Awa III e il Patriarca caldeo Luis Raphael Sako.*

Alla vigilia del summit ecclesiale, in un’intervista rilasciata all’emittente televisiva Tele Lumière-Noursat, il Patriarca Mar Ignatius Aphrem II aveva sottolineato la singolarità dell’incontro, che riunisce per la prima volta i Capi Chiese accomunate dall’appartenenza alla stessa sorgente spirituale e teologica, ma spesso divise in passato da controversie e conflitti. La riunione punta anche a trovare insieme le vie per custodire e rivendicare l’attualità del comune patrimonio spirituale e teologico di matrice siriaca, rappresentato da grandi figure del cristianesimo dei primi secoli, come Sant’Efrem il Siro.
"Ci uniamo oggi” ha detto il Patriarca Mar Aphrem II aprendo l’incontro “per dare insieme testimonianza in questo mondo pieno di provocazioni, e chiediamo a Dio di darci la forza e l'amore per decidere insieme tutto ciò che è meglio per i membri delle nostre Chiese, in ogni parte del mondo”. “Quello che abbiamo in comune” ha soggiunto il Primate della Chiesa sira ortodossa “è molto, anche se per diverse contingenze storiche oggi viviamo ancora delle discordanze nel modo di esprimere la nostra fede. Ma oggi sentiamo l’urgenza di stare insieme, e far tesoro insieme della nostra ricca eredità siriaca”.

*Il patriarca caldeo Cardinale Mar Louis Raphael Sako ha partecipato all'apertura dell'incontro via web come è specificato da Noursat TV e come appare dalle foto pubblicate dalla pagina facebook del patriarca della chiesa siro-ortodossa dove è presente, oltre ai già citati patriarchi, anche il vescovo caldeo di Mosul, Monsignor Najib Mikhael Moussa OP. 
Nota di Baghdadhope

15 dicembre 2022

Hungary stands out for its aid to beleaguered Christians in Iraq. Here's why

Jonah McKeown


Left: Father Karam Naguib Qasha.
Centre: President Katalin Novák
Right: 
Archbishop Boulos Thabet Habib
Hungarian President Katalin Novák visited Iraq last week, stopping at a majority-Christian town that has been rebuilt in recent years almost entirely with Hungarian support, following years of occupation and devastation by the so-called Islamic State.
Novák, a Reformed Christian, on Dec. 9 toured St. George Chaldean Catholic Church in Telskuf, a predominantly Christian village about 20 miles north of Mosul in the Nineveh Plains which suffered greatly under ISIS occupation beginning in 2014.
The church’s priest, Father Karam Naguib Qasha, gave a brief explanation of the reconstruction work of the church building and damaged houses in the town, and the role of the Hungarian government in achieving the reconstruction, reported ACI Mena, CNA’s Arabic-language news partner.
Since 2017, Hungary has given an outsize proportion of the aid needed for persecuted Christians in Iraq and around the world to rebuild and sustain their livelihood. The country’s Hungary Helps program says it has enabled some 250,000 Christians to remain in their homelands. 
Stephen Rasche, an American lawyer, documentarian, and a fellow of the Religious Freedom Institute who has worked and advocated extensively in persecuted Christian communities in both Iraq and Nigeria, told CNA that Hungary has provided timely, tangible help to persecuted Christians in recent years, and remains one of the only countries to do so.
Hungary’s aid has resulted in entire Christian towns being rebuilt in Iraq, and more recently, Catholic schools in territories previously occupied by Boko Haram being reopened in Nigeria.
"They're there directly, in a way that other countries which have substantially more resources can't be found,” Rasche commented.
Hungary’s aid model involves granting funds directly to the local Catholic or other Christian churches for rebuilding and helping Christian communities stay in their ancestral homelands. 
Iraq is home to one of the world’s oldest Christian communities; as recently as 2003, there were 1.4 million Christians in Iraq, but today there are fewer than 250,000. P
Pope Francis visited the beleaguered Christian community in Iraq in March 2021, to an enthusiastic welcome.
Rasche said Hungary was “really the first government” to provide aid by dealing directly with Iraq's persecuted Christians. He said aid that trickles down to Iraq’s Christians through channels such as the United Nations is often received far too late to make a difference — if aid takes a few months to a year to arrive, often the Christians of the area have moved elsewhere or left the country entirely, he said.
After ISIS lost control of Mosul in 2017, Hungary provided a direct grant to the Chaldean Archdiocese of Erbil to rebuild the town of Telskuf.
Rasche, who serves as counsel to the archdiocese, said an admirable quality of Hungary's program is its willingness to trust the local community and to grant them the money to rebuild in a manner that is best for them. 
The direct aid provided by Hungary allowed the local archdiocese to recover and rebuild the town within two to three months. Many of the hundreds of Christian families who were displaced by ISIS have since returned.
The Knights of Columbus later used the same model as Hungary — granting money directly to the local churches — to do a similar project, rebuilding the majority-Christian town of Karamlesh.
"That aid was tremendously effective for recovering those towns rapidly," Rasche said, saying the examples of Karamlesh and Telskuf stand out as "singular successes" in terms of recovery, and "prove that the model works."
He said he hopes that wealthier countries such as the United States will take notice of Hungary’s success in this area.
President Novák’s recent visit to Iraq included a meeting with Archbishop Boulos Thabet Habib of the Chaldean Archdiocese of Alqosh, and a visit to a kindergarten run by the Dominican Sisters, which was being reconstructed with Hungarian government assistance. She also visited a model farm — located on a piece of land granted by the Chaldean Church to Hungarian organizations — that seeks to develop agriculture practices to help local farmers.
Finally, Novák visited the ancient Chaldean monastery of Rabban Hormizd, which dates to the year 640 A.D. and is located in the far north of Iraq.
"We hope that this visit will be a reminder to the international community about these people who are in this region, not to be forgotten,” Archbishop Habib told ACI Mena.
“The process of reconstruction and development of this region and the consolidation of Christians on their land will continue." 
Hungary Helps, while providing vital assistance on the ground to the persecuted, also has an explicitly stated goal of eliminating the “root causes of migration,” including migration to Hungary itself. 
Hungarian Prime Minister Viktor Orbán is known for his hardline stance against immigration to Hungary, which has garnered criticism from his fellow European Union leaders and elsewhere, including from officials at the Vatican.
“The migration and humanitarian policies of the Hungarian government go hand in hand,” Tristan Azbej, State Secretary for the Aid of Persecuted Christians, writes on the welcome page of the Hungary Helps website.
“We are not advocating that people in need should leave their homelands. Rather, we are promoting that they should stay in their home countries or return there. It is our firm and consistent principle that help should be provided where trouble is instead of bringing people in trouble to Europe and to our country.”
In Rasche's view, the aid is making a real difference in Christian communities, regardless of any additional political baggage that may be attached to it.
Whatever the internal politics within Europe may be, the reality and the effectiveness of these programs can't be denied,” he said.
“Our focus, always, is with the people who are affected in these situations,” he said, referring to the persecuted Christians.
“And so we do our best to make sure that we keep away from these other political differences, and keep our focus always on the people affected."

Former Supreme Knight Carl Anderson Honored For Support of Iraqi Christians


Carl Anderson, the former Supreme Knight of the Knight of Columbus, was honored Tuesday night for the work the charity has done on behalf of Christians in Iraq to help ensure that future generations of Christians will continue to live in what is known as the cradle of Christianity. 
In accepting the 2022 Faith and Culture Award from the Catholic Near East Welfare Association (CNEWA) based in New York City, Anderson remembered his former colleague, the late Andrew Walther, who died of leukemia at age 45 in 2020, as a “true hero in this cause.”
“I accept this award on behalf of my brother Knights who in so many ways stood up for our fellow Christians in their time of need, especially my friend and colleague, the late Andrew Walther, who devoted the last 6 years of his life to the protection of Iraqi Christians—it was his passion, and he is a true hero in this cause,” he said.
 Anderson, who served as Supreme Knight from 2000 to 2021, saw the Knights take a leading role in helping Christians and other religious minorities in Iraq in the wake of the 2014 invasion of Iraq by ISIS.
Today, thanks to material support from the Knights, Christians are able to see a future for themselves in Iraq.
The establishment of the Catholic University in Erbil, thanks to the Knights, and others, offers young Christians economic opportunity and a reason to stay in Iraq. In his speech, Anderson shared three “lessons” from helping Christians from Iraq’s Nineveh Plains. First, he said, Catholics should do more to make persecuted Christians around the world “true neighbors in the faith.” “We should get to know them better. We should do more to mainstream them into the life of the Catholic Church—and especially the Church in the United States,” he said.
Second, the United States, as well as other nations, should do more to help persecuted Christians. “We need to do more to adjust to the new geopolitical reality that confronts Christians throughout the developing world. Minority Christian communities increasingly inhabit a toxic environment of prejudice and violence—often openly tolerated by governments and sometimes even sponsored by them. The hard reality is that Muslim communities throughout the world—even when they resort to violence—can rely on broad-ranging support from Muslim governments—including Iran and Saudi Arabia,” he said.
 “Can we confidently say that there is a Western government that will have the back of the minority Christian communities throughout the Middle East, Africa or Asia?” Anderson asked.
 “We are proud of what the United States accomplished to protect Christians in Iraq. But our government can and should do better. While we are grateful to officials in the two previous administrations including Secretaries of State John Kerry and Mike Pompeo and the bi-partisan coalition in Congress — and especially the leadership of Congressman Chris Smith, it is indisputable that a sustained, determined campaign was necessary to overcome the business as usual, inertia of the United States government in order to initiate the U. S. response — a response that saved many, but could have saved many more if it had been made earlier,” he said.
And third, Anderson said that helping persecuted Christians is a mission that every Catholic should take on.
“The survival of endangered Christian communities throughout the globe is the responsibility of every Catholic—both clergy and lay. All of us must have some share in this work. Not only for their sake, but for our sake as well,” he said.

14 dicembre 2022

Natale: dai caldei in Iraq e nel mondo digiuno e preghiera per la pace


“Da Baghdad all’Ucraina vogliamo invitare alla preghiera” tutta la Chiesa caldea in Iraq e della diaspora “in segno di solidarietà con le persone che soffrono in ogni angolo della terra, per quanti non hanno un posto dove vivere, pensando anche a migranti e sfollati”.
È quanto sottolinea ad AsiaNews mons. Basilio Yaldo, ausiliare di Baghdad e stretto collaboratore del primate caldeo Louis Raphael Sako, anticipando la tre giorni di digiuno e preghiera indetta dal patriarcato e dalla Chiesa locale in preparazione al Natale. In queste ore il neo primo ministro Muhammad al-Sudani ha dichiarato la giornata che celebra la nascita di Gesù “festa ufficiale” per tutti gli iracheni, a prescindere dalla fede professata. *
Il primate dei caldei ha diffuso un messaggio sul sito del patriarcato in cui invita i fedeli di tutto il mondo a digiunare e pregare per tre giorni (il 21, 22 e 23 dicembre) per la pace in Iraq e nel mondo in occasione del Natale.
La nascita di Cristo, sottolinea il card. Sako, “non è solo una celebrazione di un ricordo passato” di 2mila anni fa, ma è un evento presente e carico di significati ancora oggi. Seppur celebrata “con folclore”, la ricorrenza è “consapevolezza e fede” della continua “presenza di Dio fra noi”, una presenza “eterna, di amore e misericordia” in vista della quale “dobbiamo prepararci con un digiuno”.
Ai nostri giorni il digiuno e la preghiera sono un modo “speciale” per stare vicino ai più bisognosi, fra i quali il porporato ricorda le famiglie costrette a lasciare un centro di accoglienza a Baghdad.
“Serve digiunare concentrandosi maggiormente sulla preghiera, sul pentimento, sull’astenersi dal magiare carne e pesce, dal bere alcolici, soprattutto dai vizi”. Egli critica i “discorsi falsi, l’ira, l’invidia, l’orgoglio, l’avidità” ai quali contrappone l’importanza di gesti simbolici come “atti di rettitudine, bontà e carità”. In quest’ottica si inserisce la decisione di stanziare oltre 32mila euro “ai bisognosi della diocesi di Baghdad e alla Caritas che fornisce gratuitamente 800 cesti di cibo”.
“La situazione in Iraq e nel mondo - spiega l’ausiliare di Baghdad - è critica, noi abbiamo bisogno di stabilità con il nuovo governo anche se nelle ultime settimane si sono visti piccoli segnali di miglioramento. Questi sono concetti che abbiamo sottolineato nei giorni scorsi nell’incontro con il premier, auspicando il massimo impegno per il bene di un Paese che soffre da ormai 20 anni. Noi abbiamo deciso di pregare e digiunare, con la speranza che questo nuovo anno, il 2023, sarà davvero di pace e di tranquillità per tutti”.
In risposta, il capo del governo ha assicurato che “intende fare del suo meglio per gli iracheni, cristiani compresi. E il patriarca Sako - precisa mons. Yaldo - ha ribadito che l’attenzione va posta su tutti e che non si devono fare differenze, lavorando in particolare a favore dei giovani per dare loro un futuro."
Infine, l’ausiliare di Baghdad rivolge un pensiero agli sfollati cristiani, soprattutto quanti erano ospitati nel campo profughi della Vergine Maria a Zayouna, Baghdad. “Li abbiamo incontrati - conclude il prelato - e allestito per loro alcune stanze in un ex seminario della capitale, almeno 15 famiglie si stanno preparando al trasferimento. Come patriarcato ci stiamo adoperando al massimo per loro”.
Infine, un richiamo al dialogo fra fedi e alla preghiera per la pace giunge in questi giorni anche dal grande ayatollah Ali al-Sistani, massima autorità sciita del Paese. Incontrando un alto funzionario Onu, il leader religioso ha sottolineato “l’importanza di moltiplicare gli sforzi per promuovere la cultura della coesistenza pacifica, di lottare contro l’odio e di sostenere valori fondati sulla solidarietà e l’attenzione ai diritti reciproci, nel rispetto delle diverse fedi”.

* Il 25 dicembre è stato dichiarato festivo per tutto l'Iraq mentre il 26 sarà festivo solo per i cristiani. Nota di Baghdadhope

13 dicembre 2022

PM al-Sudani Receives Patriarch of the Chaldean Catholic Church in Iraq

Photo Chaldean Patriarchate
By Shafaq

Iraq's new Prime Minister Mohammad Shia al-Sudani received the Chaldean Patriarch in Iraq and the world Cardinal Louis Raphael Sako and his accompanying delegation in Baghdad on Monday.
According to a readout issued by his office, the prime minister praised the peaceful coexistence among the Iraqis as the mainstay of civil peace and constructive citizenship that upholds the security and stability of the country.
The prime minister said that Christians played a major role in the cultural heritage of Iraq and the diversity of the Iraqi community, the readout said.
"The prime minister pledged to provide facilities for a set of issues raised during the meeting," the readout concluded.

Patriarcato caldeo: tre giorni di “digiuno speciale” prima del Natale, per chiedere il dono della pace


Un invito a digiunare per 3 giorni prima del Natale, per chiedere al Signore il dono della pace in Iraq e in tutto il mondo. E’ questa la proposta che il Patriarcato caldeo a rivolto a tutti i battezzati caldei sparsi nel mondo, all’inizio della terza settimana di Avvento.
I giorni indicati per osservare il “digiuno speciale” per la pace sono quelli del 21, 22 e 23 dicembre, quasi a preparare la strada al lieto annuncio della nascita di Gesù. “Natale” ricorda il Patriarca caldeo Louis Raphael Sako nel messaggio diffuso dai canali informativi del Patriarcato caldeo – non è celebrare in ricordo passato di duemila anni fa”. La fede può riconoscere la presenza del Signore che è vivo e opera in mezzo a noi, “con amore e misericordia”.
Il digiuno “speciale” – prosegue il messaggio - può essere accompagnato anche con il sostegno concreto da rivolgere alle famiglie bisognose di profughi cristiani che avevano trovato sistemazione nel Campo rifugiati rinominato “della Vergine Maria”, intorno a una struttura edilizia fatiscente che ora sono costretti a abbandonare su ordine delle autorità locali. Le 130 famiglie di rifugiati, come riferito dall’Agenzia Fides, troveranno ospitalità presso le strutture restaurate dell’ex seminario caldeo, situate a Dora, sobborgo a sud di Baghdad.
I giorni del “digiuno speciale” per la pace – aggiunge il Cardinale Sako – potranno essere giorni di preghiera e di penitenza, di astinenza dal consumo di carne, pesce e alcolici, e anche dal lasciarsi andare a comportamenti e atteggiamenti viziosi come la maldicenza, il parlare menzognero, l’invidia, la superbia e l’avidità, compiendo piuttosto opere di carità, come quelle da realizzare grazie alla offerta di 50 milioni di dinari iracheni 8pari a più di 32mila euro) elargita dall’arcidiocesi caldea di Baghdad per sostenere iniziative a favore delle famiglie più indigenti.
Domenica 11 dicembre, dopo la recita della preghiera mariana dell’Angelus, Papa Francesco, mentre si accingeva a benedire le statuine di Gesù Bambino portate da tanti bambini e bambine a piazza San Pietro per essere poi poste nei presepi allestiti nelle proprie case, ha invitato tutti a pregare “davanti al presepio, perché il Natale del Signore porti un raggio di pace ai bambini del mondo intero, specialmente a quelli costretti a vivere i giorni terribili e bui della guerra, questa guerra in Ucraina che distrugge tante vite, tante vite, e tanti bambini”.

L’ex seminario accoglierà i rifugiati cristiani “sfrattati” dal “campo profughi della Vergine Maria”


Foto Patriarcato caldeo
Le strutture dell’ex seminario caldeo situato a Dora, sobborgo di Baghdad, sono state restaurate in tempi brevi per ospitare gli sfollati cristiani provenienti da Mosul e dalla Piana di Ninive che finora avevano trovato rifugio nella Capitale irachena, occupando i campo profughi che la popolazione aveva cominciato a chiamare “Campo della Vergine Maria”. 
E’ questa la soluzione pratica escogitata dal Patriarcato caldeo per affrontare una emergenza che richiama in tanti suoi dettagli e implicazioni le fatiche e le sofferenze attraversate dalle comunità cristiane irachene negli ultimi due decenni.
Le famiglie che troveranno ospitalità nella struttura risistemata per volontà del Patriarcato caldeo erano dovute fuggire nel 2014 dal Mosul e dalle città della Piana di Ninive, nel nord dell’Iraq. Avevano abbandonato le loro case e tutti i loro beni davanti all’avanzata delle milizie jihadiste del sedicente Stato Islamico (Daesh). Avevano trovato rifugio a Baghdad, dentro e intorno a un edificio nel quartiere di Zayouna, in quello che da quel momento era divenuto noto come il Campo profughi “della Vergine Maria”. 
A sfrattarli dalla loro precaria sistemazione residenziale sono stati gli appetiti commerciali d imprenditori e i piani di sviluppo urbano della Capitale irachena. Le 120 famiglie cristiane, nei mesi scorsi, avevano ricevuto l’ordine di evacuare il complesso che li ospitava, collocato su un terreno demaniale. L’ordine era arrivato dalla Direzione degli investimenti di Baghdad. La giustificazione della disposizione faceva riferimento al fatto che in quell’area dovrà sorgere un centro commerciale.
Nelle prima metà di ottobre, il Patriarca caldeo Louis Raphael Sako aveva visitato il complesso della Vergine Maria per manifestare vicinanza alle famiglie di sfollati e farsi carico delle loro preoccupazioni.
La soluzione trovata è stata quella di risistemare a aprire ai profughi cristiani le strutture dell’ex seminario caldeo, ubicato nella zona conosciuta come “Makanik” a Dora, sobborgo meridionale di Baghdad. Quella struttura dismessa già un decennio fa aveva accolto sfollati provenienti da altre città. Attualmente, una parte delle famiglie lì ospitate sono emigrate o sono tornate alle loro case d’origine, e una parte delle strutture versava in stato di abbandono. Negli ultimi mesi, un’opera straordinaria di recupero e manutenzione realizzata anche grazie al contributo dell’ingegnere Jinan Khader ha consentito di predisporre il complesso all’accoglienza delle famiglie “sfrattate” dal Campo profughi della Vergine Maria. I lavori di recupero e restauro – riferiscono i mezzi di comunicazione del Patriarcato caldeo – hanno interessato anche la chiesa dell’ex seminario.
Nel sobborgo di Dora, prima dell’intervento militare USA in Iraq del 2003, vivevano almeno 150mila cristiani, perlopiù appartenenti alla Chiesa caldea e alla Chiesa assira d’Oriente.
Il seminario maggiore caldeo nel gennaio 2007 fu trasferito per ragioni di sicurezza da Baghdad ad Ankawa, sobborgo di Erbil, capoluogo del Kurdistan Iracheno. Negli ultimi quindici anni si è registrato un impressionante esodo della popolazione cristiana di Dora.

10 dicembre 2022

Conferenza di dialogo cristiano-sciita in programma nel marzo 2023, a due anni dalla visita del Papa


Nel marzo 2023, a due anni dalla visita apostolica in terra irachena, l’Iraq ospiterà una Conferenza di dialogo cristiano –sciita.
L’iniziativa coinvolgerà alti rappresentanti cristiani e sciiti, si svolgerà tra Baghdad e la città santa sciita di Najaf e si porrà come occasione di incontro e confronto nel solco dello storico incontro avvenuto il 6 marzo 2021 a Najaf tra il Vescovo di Roma e l’Ayatollah al Sistani.
Nel pomeriggio di venerdì 9 dicembre, una delegazione di autorevoli studiosi sciiti provenienti da Najaf sono stati ricevuti a Baghdad dal Cardinale Louis Raphael Sako, Patriarca della Chiesa caldea.
L’incontro – riferiscono i media collegati al Patriarcato caldeo – ha fornito l’occasione per un confronto sui contenuti che saranno al centro della Conferenza e su alcuni dettagli organizzativi.
La delegazione proveniente da Najaf comprendeva autorevoli esponenti sciiti, compreso Sayyed Jawad Mohammed Taqi Al Khoei (segretario generale dell’Istituto Al Khoei e co-fondatore del Consiglio iracheno per il dialogo interreligioso) e Sayyed Zaid Bahr al-Ulum, Professore all’Hawza di Najaf, uno dei seminari sciiti (hawza) più antichi del mondo, fondato nell’XI secolo dal grande studioso sciita Shaykh Al Tusi.
Alla vigilia del viaggio di Papa Francesco in Iraq, in un’intervista all’Agenzia Fides, il Patriarca Sako aveva voluto richiamare l’attenzione sulla frase dell’Ayatollah Alì al Sistani che in quei giorni campeggiava sui poster appesi nelle città irachene, in cui in cui la foto della massima autorità sciita del Paese era affiancata a quella del Vescovo di Roma: “Al Sistani” aveva rimarcato il Patriarca “ha detto: ’Voi siete una parte di noi, e noi siamo una parte di voi’. E’ un modo suggestivo per dire che siamo fratelli”.

8 dicembre 2022

Iraq: The Grand Ayatollah Sistani’s emphasis on mutual rights and respect among followers of religions


This morning (Wednesday, 07 December 2022), Miguel Angel Moratinos, the United Nations Under–Secretary–General and High Representative for the United Nations Alliance of Civilizations met with the Grand Ayatollah Sistani in Najaf Ashraf.
According to Shafaqna, the office of the Grand Ayatollah Sistani published a statement about this meeting. The statement reads:
The Grand Ayatollah Sistani received Miguel Angel Moratinos, the United Nations Under–Secretary–General and High Representative for the United Nations Alliance of Civilizations and the person in charge of United Nations Plan of Action to safeguard religious sites before noon today (Wednesday).
The High Representative for the United Nations gave some explanations about this plan, the principles based on it and accomplished procedures in this regard. According to this statement, the Grand Ayatollah Sistani, in this meeting, emphasized the importance of redoubled efforts to promote the culture of peaceful coexistence, negation of violence and hatred and establishment of values of solidarity based on paying attention to mutual rights and respect among the followers of various religions and intellectual trends.
Then, the Grand Ayatollah Sistani pointed out: Tragedies that many nations and ethnic and social groups are suffered in several parts of the world- as a result of intellectual and religious repression and suppression of fundamental freedoms and lack of social justice- play a major role in the emergence of some extremist movements. These movements use blind violence against defenseless civilians and attack religious and ancient sites of those that are different from them in terms of thought and belief.
Also, the Grand Ayatollah Sistani stressed the necessity of dealing with background of these banned and condemned phenomena and taking serious action to reach some degree of justice and peace in various communities that are worthy of human dignity- as God wishes and added that this issue will constrict the favorable space for extending extremist thoughts.
In the end, the prominent Marja’ al-Taqlid of Shia praised the attempts of the United Nations in this regard and whished Mr. Moratinos’ success in performing his mission and asked him to convey his greetings and regards to Antonio Guterres, Secretary-General of the United Nations.

7 dicembre 2022

Iraq: Erbil, visita ufficiale del comandante dell’Italian National Contingent Command Land alla cattedrale caldea e all’arcivescovo Warda


Foto difesa.it
Visita ufficiale oggi* del comandante dell’Italian National Contingent Command Land, colonnello Daniele Pisani, accompagnato dal cappellano militare, all’arcivescovado e alla cattedrale caldea di Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno, dove è stato accolto da mons. Bashar Matti Warda, che guida l’arcidiocesi locale dal 2009. 
L’incontro, si legge in un comunicato dell’Esercito italiano, si è protratto per circa 45 minuti e si è svolto in un clima di estrema cordialità e di reciproca attenzione. Questa visita si inserisce in una serie di incontri istituzionali che il col. Pisani ha avviato con le diverse autorità politiche, religiose e militari del Kurdistan iracheno allo scopo di consolidare ulteriormente il rapporto di conoscenza e reciproca fiducia che già esiste fra la popolazione locale e il contingente italiano. 
Nel corso del colloquio sono state affrontate varie tematiche relative alla cooperazione e all’attuale panorama geopolitico dell’area, nonché alla specifica situazione della comunità caldea, che molto ha sofferto negli anni in cui l’Isis imperversava nella regione. 
Mons. Warda, secondo quanto riporta il comunicato, ha sottolineato che, nonostante la tragedia vissuta in quegli anni, la Chiesa caldea, anche grazie agli aiuti internazionali, intende continuare non solo ad esistere e a rimanere vitale nel Paese, ma a essere soprattutto un elemento aggregante e pacificatore.
“Dobbiamo sognare, progettare e creare il futuro fin da ora – ha detto l’arcivescovo – perché è solo così che riusciremo a vivere in pienezza il presente”.
A conferma di questo, infatti, la Chiesa caldea risulta molto impegnata non solo nell’ambito spirituale, ma anche in quello sociale, culturale e assistenziale; basti pensare alla fondazione, avvenuta nel 2015, dell’Università cattolica di Erbil, che oggi accoglie studenti da tutto l’Iraq e non solo di fede cristiana.
I cristiani caldei, eredi dell’antico popolo assiro, sono una parte importante delle molteplici comunità etniche e religiose che costituiscono l’Iraq. Essi hanno da sempre collaborato fortemente con la maggioranza musulmana nell’interesse comune per un’armonica convivenza e un fruttuoso sviluppo.

* In realtà lo scorso 30 novembre. Nota di Baghdadhope

6 dicembre 2022

Faire sonner les cloches de Mossoul: le sacerdoce d'une fonderie normande

6/12/2022 

Gabriel, Michel et Raphaël sonneront bientôt à Mossoul : trois cloches nées dans la fonderie de Villedieu-les-Poêles (Manche) vont s'envoler vers l'Irak pour rejoindre l'église du couvent Notre Dame de l'Heure, partiellement détruit par l'Etat islamique.
L'une des trois cloches, déjà nettoyée et accordée, a sonné lundi pour la première fois sous les coups de battant de l’ambassadeur d'Irak en France, Wadee al-Batti, accompagné de la directrice générale de l'UNESCO Audrey Azoulay et le provincial dominicain Nicolas Tixier
La délégation avait fait le déplacement pour assister au "déchapage" (retrait du moule extérieur NDLR), et donner le premier coup de brosse aux deux autres cloches encore sous moule avant le transport des trois instruments par avion vers de la deuxième ville d'Irak, à l'extrême nord.
 "En tant que chrétien de la ville de Mossoul, j'ai beaucoup de souvenirs de ce clocher, pendant toute mon enfance, pendant mes études, il a rythmé ma vie" a déclaré M. al-Batti, également ambassadeur à l'UNESCO depuis dimanche.
Faire sonner à nouveau des cloches à Mossoul est pour lui "une victoire de la vie: celle d'être réunis ensemble contre le terrorisme et la violence".
Première école de filles en Irak, première école d’institutrices, le couvent de Notre-Dame de L’Heure (al Saa-a en arabe) a été construit par des frères dominicains au milieu du XIXe siècle sur les plans d’un architecte français. Le campanile de son église (cloches et horloges) avait été payé sur les deniers personnels de l'impératrice Eugénie.
Ce symbole avait été détruit en 2017 par les hommes de Daesh avant d’être chassés de la ville par l’armée irakienne.
L’UNESCO supervise la reconstruction de la vieille ville de Mossoul après sa destruction durant les combats contre l'Etat Islamique, un chantier à plus de 100 millions d'euros.
La directrice générale de l'UNESCO Audrey Azoulay a vu dans ce projet "un soutien à la société mossouliote dans sa diversité, culturelle, cultuelle, de connaissance, d'université, de librairie, il s'agit de reconstruire cet esprit, et pas uniquement des pierres".

"Parler à toutes les confessions"
Le frère Nicolas, habillé d'une seule tunique blanche malgré le thermomètre tutoyant le zéro dans la fonderie Cornille Havard, a estimé que "ces cloches portent l'espoir, et pas uniquement pour la communauté chrétienne", avant d'évoquer un souvenir: "je suis allé à Mossoul récemment et un policier musulman m'a demandé quand les cloches allaient revenir".
Ces trois cloches de bronze, qui pèsent de 110 à 270 kg (fa, mi, sol) ont été fondues en novembre dans un alliage caractéristique composé de 78% de cuivre et 22% d'étain La pose et la maintenance seront assurées en Irak par une équipe de locaux formée sur place par Paul Bergamo, directeur et propriétaire de la fonderie.
"Aller à Mossoul était bouleversant, c'est un projet qui me marquera pour un moment", a déclaré celui qui se voulait "passeur de savoir" dans cette aventure.
Son atelier emploie 15 artisans à plein temps et exporte 25% de sa production, entre autres vers le Vietnam, l'Irlande ou encore le Bénin: 100 cloches d'église par an, pour 200 à 300 cloches de maison. Il n'existe plus que deux fonderies de cloches en France (l'autre est en Savoie), et une trentaine dans le monde.
L'installation des cloches, nommées après les trois archanges, Gabriel, Michel et Raphaël pour "parler à toutes les confessions", selon M. Bergamo, est prévue avant le 6 mars 2023. La fin complète des travaux de reconstruction du couvent est prévue pour décembre 2023 au plus tard.