Pagine

27 dicembre 2022

Natale in Iraq/ Mons. Yaldo: tanti vogliono diventare cristiani, la legge però lo vieta

26 dicembre 2022 

L’Iraq, dopo la sconfitta dello Stato islamico che aveva occupato e devastato gran parte del suo territorio, provocando morte e distruzione, non si è mai realmente ripreso da quella tragedia, che si era aggiunta alla guerra portata dagli Stati Uniti nel 2003.
Solo lo scorso 13 ottobre, dopo un anno di stallo politico, manifestazioni, incidenti e proteste, è stato eletto il nuovo presidente della Repubblica.
Si tratta di Abdul Latif Rashid, un ex ministro curdo di 78 anni, che ha poi incaricato Mohammed Shia al Sudani, sciita, di formare un governo. La situazione del Paese è grave, nonostante le grandi risorse petrolifere: corruzione, disoccupazione, divisioni provocate dalle varie minoranze sciite, l’influenza dell’Iran e nelle ultime settimane i bombardamenti congiunti turchi e iraniani nel Kurdistan.
La minoranza cristiana vive il disagio più forte, costretta all’emigrazione, nonostante la visita di Papa Francesco ne avesse riacceso le speranze. Abbiamo parlato di tutto questo e di cosa significhi il Natale in Iraq con monsignor Basel Yaldo, vescovo ausiliare di Baghdad.

Finalmente l’Iraq ha un governo e un presidente. Come è la situazione adesso? La lotta intestina tra le fazioni sciite, nella quale spicca la figura del leader Muqtada al-Sadr, continua a creare problemi?
La situazione in Iraq non è ancora stabile, nonostante abbiamo un governo e un presidente dopo un anno di attesa. Ora la lotta continua tra i partiti politici, poi tra sunniti e sciiti e poi tra gli sciiti stessi.
La situazione economica che aveva spinto la popolazione a protestare nelle strade continua a essere grave?
La situazione economica in Iraq è difficile a causa della corruzione. Mancano servizi sociali, elettricità, lavoro per i giovani e non ci sono più fabbriche locali come prima: ora tutto viene da Iran e Turchia.
Nel Kurdistan iracheno si registrano ultimamente attacchi sia da parte turca che iraniana: qual è la posizione della Chiesa?
Noi chiediamo di fermare questi attacchi e preghiamo sempre per la pace. La Chiesa sta accanto alla gente, proviamo a essere messaggeri di pace.
Come vivono le comunità cristiane del Paese? E i cristiani continuano a emigrare?
Incoraggiamo sempre la nostra gente a rimanere in Iraq. Siamo cristiani qui in Mesopotamia dal primo secolo dopo Cristo e abbiamo un grande patrimonio, tre sono le città menzionate nella Bibbia: Ur dei Caldei, Ninive dell’impero assiro e Babilonia. La nostra Chiesa ha dato tantissimi martiri, per questo motivo si chiama Chiesa dei Martiri. Noi cristiani viviamo in Iraq per migliorare il Paese, perché tutti sanno il ruolo dei cristiani, che danno una testimonianza di vita
Qual è la vera risposta al fondamentalismo islamico? Deve essere solo morale, religiosa, o anche politica?
La vera risposta al fondamentalismo islamico deve essere morale e religiosa, cioè i capi cristiani e musulmani devono essere nei loro discorsi contro la guerra, contro il terrorismo, contro la violenza e contro la corruzione.
Ma non c’è solo il fondamentalismo. Con i musulmani avete anche relazioni costruttive?
I cristiani hanno un buon rapporto con tutte le comunità in Iraq, specialmente con i musulmani. Perché siamo gente pacifica, noi non abbiamo armi o milizie. È vero che siamo la minoranza, ma siamo rispettati da tutti.
Ci sono giovani che scelgono di abbracciare il cristianesimo? Che cosa li attrae?
C’è tanta gente che vuole abbracciare il cristianesimo perché vede la tranquillità, la carità, il perdono, la speranza, ma la legge in Iraq non permette di cambiare religione, specialmente ai musulmani.
I cristiani dal punto di vista politico hanno poca rappresentanza: solo 5 seggi in Parlamento. E dal punto di vista civile e religioso? Sono più o meno rispettati?
A dir la verità, i nostri parlamentari cristiani non rappresentano tutti i cristiani, perché appartengono ai partiti politici, seguono i loro interessi come gli altri, quindi la gente non si affida tanto a queste persone.
In Occidente molti cattolici – oggi in minoranza nella società – rimproverano alla Chiesa di aver parlato troppo con il potere e poco ai cuori. La Chiesa deve parlare o no con il potere? Fino a chiedergli di tutelarla?
Una settimana fa abbiamo incontrato (con*) Sua Eminenza il cardinale Sako il primo ministro iracheno e anche, un mese fa, il nuovo presidente. Era un incontro per parlare della situazione generale dell’Iraq, di come trovare il lavoro per i giovani e di come fermare la corruzione. Abbiamo chiesto, in particolare, di difendere i diritti dei cristiani. La Chiesa deve difendere la loro comunità e dire la verità.
Cosa pensa della guerra che si combatte in Ucraina? Come interroga la sua coscienza e responsabilità di pastore?
Noi dal primo giorno siamo contro la guerra, perché abbiamo già sofferto la guerra in Iraq e conosciamo bene cosa sia una guerra. A pagare è sempre la gente comune, il popolo. Dobbiamo fare tutto il possibile per fermare ogni guerra.
In questo quadro, l’avvenimento del Natale che significato particolare assume?
L’Evento del Natale è un tempo pieno di grazia, speranza e pace. La nostra missione trova un vero significato profondo nell’Avvento, cammino verso la speranza, la gioia e la pace celebrate a Natale. L’Avvento è vissuto in prima persona da ciascuno e da tanti dei nostri fratelli rifugiati. Preghiamo per loro e facciamo nostro il loro dolore, perché la loro realtà ci avvicina senz’altro al mistero del Natale.

*Nota di Baghdadhope