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25 novembre 2022

Kurdistan iracheno, p. Samir: Iran e Turchia unite nel colpire i curdi


I curdi nelle loro storiche terre fra Iraq e Siria sono presi fra due fuochi: da un lato la Turchia che “da molto tempo sta bombardando le montagne” sul versante di Amadiya e Zakho e, dall’altro, la “novità” rappresentata dall’Iran che “attacca dalla parte di Erbil e Sulaymaniyah, molto più vicino alle montagne”. 
A raccontarlo ad AsiaNews è p. Samir Youssef, parroco di Enishke, diocesi di Amadiya nel Kurdistan iracheno, che riferisce di una escalation delle operazioni di Teheran contro “i curdi iraniani fuggiti in passato. Di recente hanno colpito un centro profughi” provocando la morte “di almeno 11 civili”, fra i quali “una donna incinta” deceduta assieme al figlio che portava in grembo “nonostante i tentativi dei medici di salvarla”.
Nonostante i tentativi di sabotaggio della Cina, ieri il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha approvato l’istituzione di una missione chiamata a indagare sulla violenta repressione degli ayatollah iraniani, in risposta all’ondata di proteste per l’uccisione della 22enne curda Mahsa Amini per mano della polizia della morale. 
Una mossa che non basta però a fermare il pugno di ferro impresso dalle autorità di Teheran, che in poche ore hanno compiuto altri due arresti eccellenti: Farideh Moradkhani, nipote della guida suprema Ali Khamenei, famosa per le sue battaglie pro-diritti umani e il calciatore Voria Ghafouri, con l’accusa di aver “insultato e infangato l’onore della nazionale” e per “propaganda contro lo Stato”.
Sul versante turco prosegue l’operazione “Spada ad artiglio” (Claw Sword) voluta dal presidente Recep Tayyip Erdogan contro i gruppi combattenti curdi Pkk e Ypg oltreconfine in Iraq e Siria, dove si lavora a un attacco di terra oltre all’uso di caccia e droni e giunta al quarto giorno. Una risposta all’attentato del 13 novembre a Istanbul e attribuito a una cellula curda, sebbene il Pkk abbia smentito ogni coinvolgimento. Il governo turco dice di aver già “neutralizzato” 254 “terroristi” e sta muovendo carri armati e truppe sul terreno. Per Erdogan questo è “solo l’inizio” e l’obiettivo è la messa in sicurezza del confine con Siria e Iraq, anche se i critici rispondono che è solo un tentativo di deviare l’attenzione da difficoltà interne e crisi economica.
“Gli iraniani hanno bombardato e minacciato i governi di Erbil e Baghdad - spiega p. Samir - dicendo di voler proseguire gli attacchi contro i curdi per togliere loro le armi. In realtà sono in larghissima maggioranza profughi, che Teheran colpisce con droni e razzi mentre dalla Turchia si susseguono attacchi dei caccia. Un movimento incessante, tanto che si fatica a dormire per il rumore”. Una situazione che, a differenza delle profonde divisioni del passato, spinge il sacerdote a ipotizzare “una qualche forma di collaborazione” fra il sultano e gli ayatollah in chiave anti-curda.
L’obiettivo per Teheran, prosegue, “potrebbe essere il Sinjar, già nel mirino in passato dello Stato islamico. Un avamposto strategico, una montagna ambita che potrebbe essere funzionale per colpire Israele in caso di risposte a un attacco”. “Il popolo curdo - afferma il parroco di Enishke, area in cui hanno trovato rifugio centinaia di migliaia fra cristiani e musulmani fuggiti dall’Isis nel 2014 - è oggi in mezzo a due fuochi: ma la novità è l’Iran che, per la prima volta, bombarda con forza anche nelle città dove si nasconderebbero basi e sedi di questi movimenti di opposizione”. E i loro razzi, avverte, hanno lambito anche “villaggi cristiani come quello di Armuta, dove gli abitanti ora hanno paura di una ulteriore escalation”.
“L’atmosfera è cupa - racconta - e i bombardamenti a tappeto calpestano la dignità del Paese e feriscono” l’Iraq e il Kurdistan. L’attentato a Istanbul “ha offerto il pretesto al governo turco per colpire con maggiore forza”, mentre l’Iran sembra sfruttare la repressione delle proteste per regolare i conti con i gruppi dissidenti fuggiti all’estero e che, secondo la versione ufficiale, soffierebbero dall’esterno “sul vento della protesta. In realtà le manifestazioni in Iran hanno un carattere vario e vedono anche la presenza di cristiani, sciiti, sunniti, curdi” in una lotta per la libertà. 
“Certo, noi siamo abituati alla guerra - conclude p. Samir - io stesso sono nato nel 1975 e ho vissuto quella con l’Iran, poi quella del Golfo, l’invasione Usa e lo Stato islamico. Ci eravamo abituati anche agli attacchi dei turchi, ma questa escalation con Teheran è più dura da accettare anche sul piano psicologico perché riporta alla mente sofferenze del passato”.

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Iraq, la storia di Harmota il villaggio cristiano ai confini con l'Iran