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23 novembre 2022

Iraq. Un «ponte» che unisce Assisi e Ur per un vero pellegrinaggio di pace

Luca Geronico

«Noi come religiosi dobbiamo rafforzare il rapporto con Dio e servire l’uomo. Dobbiamo scendere dalle nostre poltrone e incontrare l’uomo».
Sorride affabile nella “divaneria” della moschea di Hussein – il più importante luogo santo per gli sciiti con il mausoleo di Ali a Najaf – lo sceicco Abdul Mahdi al-Karbalai: «Gesù viveva accanto agli uomini e noi, come i profeti, dobbiamo essere una porta per la misericordia di Dio. Dobbiamo imparare da Gesù e dagli altri profeti», afferma calmo lo sceicco conosciuto da tutti come il portavoce del grande ayatollah Ali al-Sistani. Il suo volto pacato che ogni venerdì, attraverso la televisione, entra nelle case di molti iracheni che ascoltano il “grande sermone”, ora accoglie qui a Kerbala la piccola delegazione giunta da Assisi.
Attraversare i portici che portano alla tomba di Hussein, a Kerbala – un centinaio di chilometri a sud di Baghdad – è un’esperienza che allarga i confini del sacro: in questo luogo nel 680 d.C. il figlio di Fatima, e quindi nipote del profeta Maometto, venne trucidato assieme a familiari e sostenitori dalle truppe del califfo omayyade Yazid. La moschea mausoleo di Hussein è al cuore dello sciismo: il martirio di Hussein sancì infatti la separazione definitiva tra sunniti e sciiti e ogni anno, per la festa dell’”ashura”, più di venti milioni di pellegrini visitano la moschea che ospita la tomba del martire sciita. In origine un minuscolo villaggio che attorno all’accoglienza di pellegrini da tutto il mondo ha visto fiorire una città santa, ed ora potrebbe diventare una tappa del cammino interreligioso dei figli di Abramo.
«In questo periodo la nostra maggiore attività è ancora di indagare tutti i crimini commessi nella Piana di Ninive e a Mosul: chiese, moschee, templi yazidi distrutti oltre a violenze sulle persone. Raccogliamo le prove che devono servire a far allontanare la gente da tutto questo: l’islam rifiuta tutto ciò che è violenza», spiega lo sceicco al-Karbalai che ricorda pure come nel «tempo della prova» a Kerbala «abbiamo accolto molti profughi da Mosul e dall’Ambar» che sono rimasti qui «finché non è passata la tempesta».
La «tempesta», ovviamente, è il Daesh che per tre anni ha seminato terrore nel Nord dell’Iraq, ma la «svolta» di cui ti parlano gli accompagnatori che fanno strada ai delegati della Diocesi di Assisi attraverso gli enormi portici della moschea è stata la visita di Papa Francesco in Iraq all’inizio di marzo del 2021.
Il detto dell’imam Ali: « Le persone sono di due tipi: o sono tuoi fratelli nella fede o tuoi simili nell’umanità» è divenuto un motto che ha aperto nuovi varchi e avviato contatti sinora inesplorati.
La foto del cardinale Gianfranco Ravasi sul telefonino dell’addetto stampa della moschea, pure lui in visita a Kerbala, è come un piccolo “trofeo” del nuovo corso.
A Najaf – l’altra città santa sciita a un centinaio di chilometri più a sud – è l’ayatollah Murtada al-Shirazi a ricevere la delegazione della “Commissione Spirito di Assisi” che, dopo aver celebrato con un convegno lo scorso 6 marzo nella città di San Francesco il primo anniversario della preghiera interreligiosa di Papa Francesco a Ur, ha risposto all’invito dell’ambasciata irachena di visitare i luoghi santi dell’Iraq.
Un pellegrinaggio di pace – con l’intenzione di costruire un ponte fra Assisi e Ur – iniziato con una celebrazione eucaristica sulla tomba di San Francesco: una riedizione aggiornata, dopo poco più di otto secoli, del viaggio di San Francesco fino in Egitto per incontrare il sultano al-Malik al-Khamil.
«La vostra – afferma austero e solenne l’ayatollah al-Shirazi nel salottino della scuola teologica a poche centinaia di metri dalla moschea-mausoleo di Ali – è una missione nobile di apertura di ponti. Sono necessari tre punti di partenza per il dialogo tra le religioni». Il primo: «Dio è il punto di incontro. “Al-Salam”, la pace è uno dei nomi di Dio.
Come è scritto nel Corano: tu guardi Dio e devi camminare sulla via della pace». Un dialogo che vuol dire pluralismo: «Come musulmani crediamo nel valore della democrazia che produce pace. La democrazia deriva dal Corano: in una sura si dice che se non ci fosse la sfida tra i partiti non ci sarebbe un comando. Senza questa sfida sarebbero caduti minareti e campanili».
Da Najaf – questo è il secondo punto – una mano tesa al dialogo tra le religioni e una sincera ammirazione per Gesù di Nazareth. Per affermarlo l’ayatollah, in modo solenne, apre il libro di un autore religioso del 1.160: «Ti abbiamo mandato per la misericordia nel mondo. La missione di Gesù è la carità, la preghiera di Gesù è a faccia a faccia con Dio». Toni molto poetici, prima di inanellare una versione sciita del discorso della montagna. «Beati gli operatori di pace, saranno più vicini a Dio nel giorno della risurrezione. Beati i puri di cuore, visiteranno Dio nel giorno della risurrezione...». E poi, terzo punto per il dialogo tra le religioni, la responsabilità. «Dio parla a Gesù: tu sei responsabile. Abbi pietà del debole, non trascurare l’orfano. Quello che sulla terra è per voi uomini, ma anche per gli animali: occorre responsabilità per l’ambiente».
Il pensiero, con spontanea naturalezza, va a un altro incontro – il 6 marzo del 2021 – in una spoglia casa nel centro di Najaf tra il grande ayatollah Ali al-Sistani e papa Francesco. « È stato un avvenimento coraggioso e storico. Una visita importante dal punto di vista spirituale, ma ora è importante fare altri passi concreti perché possa portare i dovuti frutti. Per questo il vostro lavoro come delegazione da Assisi è importante per dare concretezza ai risultati di quell’incontro. Chi fa il primo passo, indica una direzione, ma non può fare da solo: ci deve essere una collaborazione. Più incontri ci saranno, più frutti ci saranno», conclude l’ayatollah Murtada al-Shirazi.
La presa di contatto, da parte di una delegazione diocesana italiana, con i luoghi santi sciiti in Iraq è come un piccolo seme nella costruzione della fratellanza fra le fedi che, dopo la pubblicazione del Documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi e dell’enciclica Fratelli tutti, ha nella figura di Abramo il suo simbolo.
Così il 2 novembre lo spiazzo davanti alla ziggurat di Abramo, nel parco archeologico di Ur che accolse papa Francesco e gli altri leader religiosi iracheni è tornato a popolarsi. Scolaresche in festa e autorità locali hanno salutato il delegati della Terza conferenza del Comitato permanente per il dialogo interreligioso tra Iraq e Vaticano. I primi in assoluto svolti in Iraq, anche questo un risultato – gestito da governo iracheno e il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso del Vaticano – del viaggio di papa Francesco in Iraq.
La visita del Papa nel marzo 2021 ha rappresentato una svolta, dicono gli accompagnatori che fanno strada ai delegati diocesani della città di San Francesco. Un cammino appena iniziato, che può portare lontano
Molto significativo il tema scelto per il confronto fra i rappresentanti della Chiesa cattolica, sciiti, sunniti e altre minoranze religiose: l’educazione dei giovani con una particolare attenzione ai programmi scolastici e alla formazione degli insegnanti. La conferenza è stata così l’occasione per tornare a visitare i luoghi che papa Francesco aveva chiesto di custodire per ripercorrere «il cammino di Abramo» che fu «una benedizione di pace». Sotto il cielo che parlò ad Abramo, è tornata a risuonare la preghiera pronunciata il 6 marzo 2021: « Dio Onnipotente, Creatore nostro che ami la famiglia umana e tutto ciò che le tue mani hanno compiuto, noi, figli e figlie di Abramo appartenenti all’ebraismo, al cristianesimo e all’islam, insieme agli altri credenti e a tutte le persone di buona volontà, ti ringraziamo per averci donato come padre comune nella fede Abramo, figlio insigne di questa nobile e cara terra...».
Due giorni dopo, in Bahrein, papa Francesco incontrando i membri del Muslim council of elders, ha affermato: «Vengo a voi per camminare insieme, nello spirito di Francesco di Assisi, il quale era solito dire: “La pace che annunziate con la bocca, abbiatela ancor più copiosa nei vostri cuori”». Per poi aggiungere: «Credo che abbiamo sempre più bisogno di incontrarci, di conoscerci e di prenderci a cuore, di mettere la realtà davanti alle idee e le persone prima delle opinioni, l’apertura al Cielo prima delle distanze in Terra: un futuro di fraternità davanti a un passato di ostilità, superando i pregiudizi e le incomprensioni della storia in nome di Colui che è Fonte di Pace. D’altronde, come potranno i fedeli di religioni e culture diverse convivere, accogliersi e stimarsi a vicenda se noi restiamo estranei gli uni agli altri?» 
Intanto a Qaraqosh, nella Piana di Ninive ripopolata dopo la cacciata del Daesh, la fiamma di una lampada a olio, partita il 27 ottobre dalla tomba di San Francesco, attende accesa nella cappella del monastero dei Fratelli di Gesù redentore l’arrivo dei primi pellegrini sul cammino di Abramo.