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22 novembre 2022

Accademico iracheno: da papa Francesco la via per il dialogo fra sunniti e sciiti

Dario Salvi

Il tema del dialogo islamo-cristiano e quello interno al mondo musulmano, sciita e sunnita, è riemerso a più livelli in questo mese di novembre in concomitanza con incontri di primissimo piano che hanno registrato la partecipazione delle massime cariche religiose.
Dal Forum for Dialogue in Bahrein con papa Francesco e l’imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, al Forum per la Pace di Abu Dhabi con la partecipazione di personalità musulmane, cristiane ed ebraiche, il cammino indicato dal pontefice nel 2019 continua seppur fra limiti e ostacoli.
Di recente il patriarca di Baghdad dei caldei card. Louis Raphael Sako ha sottolineato come “dialogo e riconciliazione” siano necessari per la “stabilità e la sicurezza regionale” e le “divisioni” fra sciiti e sunniti vanno superate mediante confronto “diretto” e “rispetto”.
Dagli Emirati sono giunte parole inedite anche da al-Tayyeb, il quale ha lanciato un raro appello all’unità: “Chiedo ai miei fratelli, agli studiosi musulmani in tutto il mondo e di ogni dottrina, setta e scuola di pensiero di promuovere il dialogo interno all’islam”. “Respingiamo insieme qualsiasi discorso di odio, provocazione e scomunica - ha aggiunto l’imam dell’università al Cairo, fra i centri più autorevoli dell’islam sunnita - e mettiamo da parte il conflitto antico e moderno, in tutte le sue forme”.
Abbiamo approfondito questi temi con Saad Salloum, giornalista, professore associato di Scienze politiche all’università di al-Mustanṣiriyya a Baghdad e vincitore di numerosi riconoscimenti, che attraverso la Fondazione Masarat di cui è presidente sostiene l’ideale del dialogo.
Intervistato da AsiaNews, egli ha sottolineato che è “fondamentale” venga mantenuto e rafforzato fra cristiani e musulmani, ma altrettanto importante che si affermi in modo concreto e costruttivo anche quello “interno […] fra sunniti e sciiti”. Una riflessione in linea con l’appello dell’imam di al-Azhar e fra i frutti più importanti “dei viaggi del papa” in Medio oriente. Un primo risultato di questa unità di intenti si è vista nelle proteste di piazza in Iraq, in cui “giovani di etnie e confessioni diverse” sono scesi “assieme” a manifestare “per riformare il sistema politico”.

Di seguito, l’intervista completa:
Dal Bahrein ad Abu Dhabi, si sono tenuti importanti forum cui hanno partecipato, fra gli altri, papa Francesco e l’imam di al-Azhar. Che valore hanno in un’ottica di dialogo fra fedi?
I forum in Bahrein e negli Emirati sono parte integrante e completano la visita del papa ad Abu Dhabi del 2019, l’incontro con lo sceicco al-Tayyeb e la firma del documento sulla fratellanza umana, infine il viaggio in Iraq e il faccia a faccia con al-Sistani a Najaf. Questi due ultimi eventi sono parte del percorso e riflettono la politica del pontefice, secondo cui è fondamentale il dialogo fra cristiani e musulmani ma è altrettanto importante quello interno all’islam, fra sunniti e sciiti. Ed è anche per questo che l’imam di al-Azhar, quando in Bahrein ha incontrato Francesco, ha sollevato la questione interna fra sunniti e sciiti. Porre al centro dell’attenzione questo tema è uno dei riflessi più importanti dei viaggi apostolici [in Medio oriente] e dell’invito al dialogo.
Il papa ha compiuto diversi passi verso il mondo musulmano, frutto della comune intesa con l’imam di al-Azhar. Ma questo percorso ha avuto una sponda nella società?
Certo! Oggi vi sono elementi visibili sul piano sociale o a livello di popolo. La visita del papa non è solo l’incontro fra leader, con al-Tayyeb o al-Sistani. Quando la sua immagine viene mostrata in televisione o nei social emerge la consapevolezza che cristianesimo e cristiani sono parte integrante della vita [della regione]. E vedere assieme cristiani e musulmani ai più alti livelli è un messaggio alle persone comuni: oggi il pontefice è una sorta di ”eroe popolare”, un portatore di pace e il simbolo dell’essere leader religiosi e incidere in modo positivo. Di come il clero possa essere parte della soluzione, non del problema come avveniva in passato.
Prof. Salloum, tornando alle parole di al-Tayyeb a che punto sono oggi i rapporti fra islam sunnita e sciita?
La lotta interna al mondo musulmano cambia l’identità e il volto del Medio oriente. Abbiamo due capitali, o due potenze regionali [Arabia Saudita e Iran], e ciascuna rappresenta una delle due interpretazione dell’islam. In questa battaglia vi sono molte nazioni coinvolte, anche se molte vorrebbero mantenere una posizione di neutralità in questo conflitto. Il ruolo del papa in questo dialogo, le sue visite sono un tentativo di cambiare questa lotta, spingere i leader politici di questi Paesi a pensare mille volte prima di focalizzarsi sulla competizione. Al contrario, devono costruire ponti. I vertici delle due dottrine hanno incontrato il pontefice e vogliono mostrare che l’islam è parte di questo nuovo mondo. Con il cristianesimo e l’ebraismo ha in comune la discendenza da Abramo, che assieme devono gettare le basi per sostenere la pace, non i conflitti. Abbiamo testimoniato la distruzione di molte nazioni come Siria, Yemen, Iraq, Libano ed è questo uno dei riflessi della lotta interna all’islam. La visita del papa è una luce per trovare una soluzione.
Il patriarca Sako ha chiesto maggiore confronto fra i due mondi. Sunniti e sciiti devono parlarsi di più e meglio secondo lei?
Quello che ha detto il primate caldeo e che io stesso ho ripetuto molte volte nelle televisioni irachene e libanesi, nelle università e nei congressi, e col lavoro della nostra fondazione Masarat è proprio di sostenere questo dialogo interno. È una premessa, una introduzione confronto con altre fedi. Le parole del papa e del patriarca [e l’invito dell’imam di al-Azhar] sono ciò di cui abbiamo bisogno per cambiare la realtà del Medio oriente a livello sociale, politico, culturale e religioso.
Come definirebbe oggi la realtà irachena in una prospettiva di dialogo interno?
Dopo l’Isis e la distruzione di Mosul, del Sinjar, della piana di Ninive e dei crimini jihadisti contro l’umanità, dopo il genocidio yazidi, il popolo iracheno ha iniziato davvero a riflettere e domandarsi come fare per non rivivere tutto questo ancora una volta. L’Iraq è in vetta alle nazioni del Medio oriente per atrocità vissute nella lotta interna al mondo musulmano. Per 17 anni dopo l’invasione Usa del 2003 abbiamo visto la distruzione della comunità sciita, di quella sunnita, la perdita di sovranità. Le persone vogliono vivere la loro vita; il cuore, la mentalità sono cambiate in Iraq prima di altre nazioni. Questo si è visto nelle proteste dell’ottobre 2019, quanto molti giovani di etnie e confessioni diverse, dai cristiani agli yazidi, dai sunniti agli sciiti sono scesi assieme in piazza Tahrir a manifestare per cercare di riformare il sistema politico.
Il valore del perdono e l’esegesi dei testi sacri sono ancora due elementi che differenziano islam e cristianesimo? Ed è possibile, o auspicabile, immaginare progressi?
Nel Corano e nella Bibbia vi sono passi che parlano di tolleranza e coesistenza. Non è solo questione di interpretazione, ma si tratta di avere anche un ambiente che sul piano sociale e politico sostenga questa interpretazione. Penso che la differenza fra Oriente e Occidente consista nel fatto che noi non abbiamo avuto, almeno sinora, un ambiente sociale e politico fondato sull’elemento della tolleranza. Qualcosa sta però scuotendo la regione e le nuove generazioni sembrano maggiormente orientate verso questa prospettiva, verso un cambiamento dei segni, dei passaggi, delle interpretazioni.
Quali passi vanno fatti per risolvere le dispute interne, le lotte, le divisioni?
Bisogna insistere sul dialogo interno, questo è il primo passo che dovremmo compiere. Va rafforzato il confronto, dobbiamo costruire ponti, fare comunità. Io stesso, nei miei studi e nel lavoro promosso dalla mia fondazione, sto spingendo proprio in questa direzione.