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29 marzo 2022

Dove i cristiani svaniscono: la fuga dal Medio Oriente raccontata da Janine Di Giovanni

Angiola Codacci -Pisanelli

Il titolo è un omaggio a Henri Carter-Bresson: «Noi fotografi abbiamo a che fare con cose che svaniscono di continuo, e quando sono svanite non c’è modo di farle tornare indietro. Non possiamo sviluppare e stampare un ricordo», ha detto il famoso creatore di immagini che non si cancellano più dalla memoria di chi le ha viste.
Ma a svanire, nel libro “The vanishing” di Janine Di Giovanni (Bloomsbury), sono persone, famiglie, un popolo intero: i cristiani del Medio Oriente, sempre meno numerosi nella terra in cui la loro religione ha avuto origine. «Tra cent’anni non ce ne saranno più, ho detto a un sacerdote del posto», ha raccontato l’autrice. «Lui mi ha risposto: “Un secolo? Che ottimismo: ci vorranno a stento quarant’anni…”».
Di Giovanni ha iniziato a frequentare la zona trentacinque anni fa e l’ha girata in lungo e in largo mentre lavorava come corrispondente di guerra: un settore che tristemente vede il Medio Oriente come una fonte inestinguibile di notizie. 
Arrivata nel 1987 per occuparsi della prima intifada, Di Giovanni ha seguito poi la guerra in Iraq, la Siria, il Libano. Dei conflitti che hanno segnato la fine del secolo scorso non ne ha saltato uno: Bosnia, Ruanda, Cecenia, un altro territorio islamico, dove ha corso più rischi: «Ero entrata senza visto e sono rimasta fino alla fine. I russi stavano chiudendo il cerchio intorno al villaggio dov’ero, rintanata in una casa con dei soldati ceceni. Non sapevo come scappare, quando ho visto arrivare l’intermediario che avevo pagato per farmi entrare clandestinamente. Mi ha dato uno scialle per coprirmi la testa, mi ha messo in braccio un bambino urlante e mi ha detto che da quel momento ero sorda e muta. Mi hanno fatto salire su un camion e sono riuscita a scappare così: poco dopo i russi sono entrati nel villaggio e hanno massacrato tutti».
La sua scelta è sempre stata di andare come indipendente, non “embedded” con i militari «che ti fanno parlare solo con il capo del villaggio e non con i ragazzi del posto». E di ascoltare tutti, «anche i soldati israeliani durante la prima intifada: ero convinta che fossero dalla parte del torto ma nel mio libro ho dato voce anche al loro punto di vista». Tra le atrocità incontrate, il triste record lo assegna all’esercito siriano: «Lì torturano a morte anche i bambini», racconta. Tutte le guerre hanno elementi comuni: uno dei più tragici è il bombardamento degli ospedali: «Quando lo fa Israele a Gaza dice che lì si nascondevano terroristi, ora i russi dicono di farlo per errore ma c’è un calcolo preciso. Se uccidi un solo chirurgo, uccidi centinaia di persone: i feriti che lui avrebbe salvato e ora sono destinati a morire. È più che un crimine di guerra: è il male assoluto».
In mezzo alle urla e alle esplosioni, Di Giovanni è stata colpita da un evento silenzioso: la diminuzione continua della componente cristiana della popolazione. «In Iraq sono stati cacciati dall’Isis, ma non è solo la violenza a spingere alla fuga», ha raccontato presentando il libro presso il Centro Studi Americani, a Roma, dove è venuta per regalarne una copia a Papa Francesco. «I cristiani hanno pochi figli, e quei figli una volta cresciuti scelgono di emigrare in cerca di migliori condizioni di vita». E già questo per lei è stato uno choc: «Io vengo dagli Stati Uniti, un Paese giovane: mio padre è arrivato qui da Napoli da bambino con suo padre che fuggiva dal fascismo. Ma loro hanno vissuto nello stesso territorio per oltre duemila anni, e adesso stanno svanendo».
Il saggio intreccia giornalismo e memoir, le informazioni sulle guerre vissute in prima persona e le emozioni che quando lavora Di Giovanni si impone di mettere a tacere. E la storia delle religioni, legata a quella dei colonizzatori, europei cristiani che arrivavano come padroni nella terra in cui erano nati Gesù e i personaggi della Bibbia. 
La struttura del libro disegna una geografia dell’assenza: Iraq, Gaza, Siria, Egitto. Dopo aver visto chiese, magari brutte ma accoglienti, in ogni parte del martoriato mondo che frequentava, è a Mosul, durante «l’invasione americana dell’Iraq», che Di Giovanni si rende conto «che tutte queste antiche popolazioni erano in grande pericolo di scomparire, di essere inghiottite come Giona nel ventre della balena. Caldei, babilonesi sumeri, accadici, tutti i rami intrecciati del cristianesimo antico erano minacciati dall’estinzione».
Particolarmente precaria è la situazione dei cristiani di Gaza, circa un migliaio di persone che, oltre ad affrontare le difficoltà di tutti i non ebrei, vengono ostracizzate dalla maggioranza musulmana («Elias al-Jalda, il portavoce della Chiesa Greca Ortodossa nella Striscia di Gaza, accusa Hamas di rendere sempre più difficile il passaggio della frontiera con Israele per i cristiani, sottoponendoli a perquisizioni invasive, e di spingerli a matrimoni con musulmani»). Il racconto della Siria è alla luce del paradosso che vede la roccaforte del potere della famiglia Assad proprio a Damasco, città legata a quel momento fondamentale per la storia del cristianesimo che è stata la conversione di un cittadino romano che sarebbe diventato San Paolo.
Qui Di Giovanni incontra le suore di Maaloula che rifiutano di mettersi al sicuro lasciando il convento e le persone di cui si occupano, e il vescovo Antoine Chbeir, un cattolico maronita libanese che malgrado tutto confida nel regime di Assad per la sopravvivenza dei cristiani della regione: «La relazione tra cristiani e musulmani sono buone, grazie agli alawiti che governano. Gli alawiti sono una parte della comunità islamica che è stata perseguitata dai sunniti, che li considerano eretici». E quindi, confida il vescovo come molti altri cristiani siriani, «capiscono i problemi di una religione minoritaria e sono pronti a proteggere i cristiani dai sunniti, che formano la maggioranza dell’islam».
Tra gli egiziani copti, invece, Di Giovanni si sofferma sulla storia di Adhan, uno degli “Zabbaleen” che gestiscono la spazzatura della “Garbage City” del Cairo: ma sindaco e governo, denuncia, stanno affidando la gestione a ditte straniere, anche italiane, «per punire la minoranza cristiana». Mary invece ricorda che non si era mai sentita cristiana prima che arrivasse al potere Sadat, che si scontrò con il patriarca copto quando volle indicare come base della costituzione la sharia, il diritto tradizionale islamico. «Quello è stato l’inizio della fine», ricorda Mary: quando tutta la sua famiglia ha iniziato a emigrare. Lei resta, perché spera ancora di costruire con i vicini musulmani una comunità condivisa, dove però lei e le sue figlie non siano costrette a indossare il velo.
Dopo tante guerre vissute in prima linea, Di Giovanni la guerra in Ucraina la sta seguendo in una posizione diversa. Fa parte della commissione Onu che si occupa di “transitional justice”, dove si stanno già preparando i processi contro i crimini che i russi stanno commettendo. «Insegniamo alle persone come raccogliere prove delle violenze, in modo che abbiano i requisiti per servire come testimonianze in tribunale». Perché già mentre la guerra è in corso, Di Giovanni pensa a come finirà: «È strano a dirsi ma una guerra è importante che “finisca bene”: cioè con una giustizia riparativa. Se non punisci chi l’ha scatenata, se le vittime non hanno la sensazione di aver ricevuto in qualche modo giustizia, nasce il bisogno di vendetta. Che è la radice di un nuovo conflitto».
A chi le chiede come ha potuto scrivere un libro che parla di Dio dopo aver conosciuto tutte le guerre del mondo, Di Giovanni risponde citando l’eroismo dei buoni: i medici, i volontari ma anche tutte le persone comuni che dopo un bombardamento si danno da fare per aiutare e ripulire «sapendo che corrono il rischio di un secondo bombardamento che colpisca proprio loro». 
Ma potrebbe citare una frase che si legge all’inizio di “The Vanishing”, dove paragona la religione al rapporto che lei ha ancora, grazie ai mille ricordi di un’infanzia passata insieme, con il fratello Joseph morto anni fa: «Allo stesso modo, la religione offre memorie condivise, una serie di rituali che durano nel tempo, tradizioni che possono essere trasmesse ai figli: la nostra intimità condivisa, i nostri segreti».