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10 novembre 2021

Il Grande Imam di al-Azhar in Iraq per superare i conflitti confessionali

Georges Fahmi 
28 ottobre 2021 

Durante una conferenza svoltasi qualche anno fa a Beirut, un religioso sciita iracheno aveva dichiarato che i Paesi arabi stavano trascurando le relazioni con gli sciiti del suo Paese, permettendo così all’Iran di accrescere la propria influenza nell’area. Il Grande Imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyib è pronto a rimediare a questa situazione. Ha infatti annunciato di essere in procinto di recarsi in Iraq per una visita che toccherà Baghdad, Mosul, Erbil e la città santa di Najaf.
La visita a Najaf avrà un’importanza particolare. La città è infatti un importante centro d’insegnamento delle scienze religiose islamiche oltre che luogo di residenza della più alta autorità sciita irachena, se non del mondo: l’Ayatollah al-Sistani. Questi è infatti il riferimento degli sciiti duodecimani dal 1992, e una delle personalità religiose più influenti dell’Iraq degli ultimi tre decenni, specialmente dopo la caduta del regime di Saddam Hussein nel 2003. È nato nel 1931 a Mashhad, in Iran, ma vive a Najaf dal 1951, e la sua autorevolezza ha oltrepassato i confini dell’Iraq per diffondersi in tutto il mondo.
La visita di Al-Tayyib a Najaf giunge in un momento in cui il dialogo interreligioso vive un periodo d’oro. Negli ultimi anni si è infatti assistito a un avvicinamento tra al-Azhar e il Vaticano, culminato nel Documento sulla Fratellanza Umana firmato dal Grande Iman di al-Azhar e da Papa Francesco ad Abu Dhabi nel 2019. Nel marzo di quest’anno poi, l’Iraq ha ricevuto la visita proprio di Papa Francesco, che ha incontrato l’Ayatollah al-Sistani nella sua abitazione di Najaf. 
La visita di Ahmad al-Tayyib è il coronamento queste due iniziative.
Essa persegue una serie di obiettivi non solo religiosi ma anche politici. 
A livello religioso, è un incoraggiamento al dialogo tra la leadership sunnita e quella sciita, ciò che potrebbe ispirare positivamente le comunità arabe in cui convivono sunniti e sciiti, come avviene in Iraq, in Libano e in molti Paesi del Golfo, in modo da stemperare le forti tensioni interconfessionali. In passato sia al-Tayyib che al-Sistani hanno invocato la necessità di porre fine a queste tensioni. In diverse occasioni il Grande Imam ha espresso il suo rifiuto per qualsiasi forma di offesa nei confronti degli sciiti, sostenendo che questi costituiscono insieme ai sunniti le due “ali” della comunità islamica, e che occorre lavorare per porre fine al disaccordo tra le due comunità. Allo stesso modo, l’Ayatollah al-Sistani ribadisce costantemente il bisogno di convivenza pacifica tra sciiti e sunniti e tra questi e le altre religioni dell’Iraq. Al-Sistani si è peraltro opposto ai discorsi che incitavano all’odio settario nella fase degli scontri confessionali in Iraq tra il 2006 e il 2007, affermando l’illiceità per un musulmano di uccidere un altro musulmano.
Sul piano politico, la visita è un nuovo passo per limitare la monopolizzazione della rappresentanza sciita araba da parte dell’Iran. Quest’ultimo infatti tenta sistematicamente di usare la carta confessionale per arrogarsi il diritto di parlare a nome di tutti gli sciiti, specialmente durante le fasi di tensione settaria, presentandosi come il loro difensore in Medio Oriente. Ed è riuscito a promuovere quest’immagine all’interno delle stesse società arabe, al punto che si è diffusa la concezione errata di un legame tra confessione sciita e fedeltà politica all’Iran. In molti sono convinti che tutti gli sciiti siano necessariamente sostenitori del sistema nato dalla Rivoluzione islamica. Questo può essere vero con alcune forze politiche sciite che l’Iran sostiene per estendere la propria influenza nell’area, ma non è il caso di al-Sistani e di una grande fetta degli sciiti iracheni.
In realtà ci sono diverse divergenze tra l’autorità religiosa di Najaf e la Repubblica Islamica d’Iran. Alcune di esse riguardano la religione, altre le politiche iraniane nei confronti dell’Iraq. L’Ayatollah al-Sistani, per esempio, rifiuta il principio della wilāyat al-faqīh, che assegna ai religiosi sciiti un’autorità politica sulle questioni di governo ed è stato adottato in Iran a partire dall’ascesa di Khomenei nel 1979. Di contro, al-Sistani invita a istituire uno Stato civile, rifiutando qualsiasi ruolo politico nella gestione dello Stato iracheno. È una posizione che riflette le sue convinzioni religiose: egli crede infatti nell’autogoverno della umma (e non nel governo dei giuristi-teologi, NdT), dal momento che il potere trae la sua legittimità dal popolo e questo contrasta con il modello della wilāyat al-faqīh fatto proprio dalla Rivoluzione iraniana.
Tra le due parti vi sono anche divergenze politiche. Per esempio, al-Sistani ha assunto posizioni critiche verso la crescita dell’influenza iraniana in Iraq dopo la caduta del regime di Saddam Hussein, nonostante l’Iran sia la sua patria natale. Ha criticato personalità politiche vicine all’Iran, come l’ex primo ministro iracheno Nouri al-Maliki, e sostiene l’attuale primo ministro Mustafa Al-Kadhimi, per il quale è prioritario il mantenimento dell’indipendenza irachena dall’influenza iraniana. Ha poi condannato in più occasioni i tentativi di divisione dell’Iraq in zone di influenza messi in atto da varie potenze regionali, tra cui l’Iran.
Negli ultimi anni, Al-Sistani ha inoltre appoggiato le richieste dei manifestanti iracheni che invocavano la fine della corruzione politica, e dunque anche la corruzione delle forze sostenute dall’Iran. Quando le proteste sono state represse con la violenza, al-Sistani ha chiesto di aprire un’inchiesta sugli incidenti, dei quali erano accusati elementi delle milizie fedeli all’Iran. Si è trattato di manifestazioni imponenti, che hanno preso di mira i partiti sciiti al governo, principalmente in quelle zone dove lo sciismo è assolutamente maggioritario. Esse chiedevano tra le altre cose la fine del “protettorato” iraniano sull’Iraq, e alcuni manifestanti si sono spinti a incendiare il consolato iraniano di Basra per protestare contro le ingerenze di Teheran nel Paese.
La rilevanza della visita di al-Tayyib consiste nell’intreccio tra i suoi obiettivi politici e quelli religiosi, unendo due aspetti legati a doppio filo: il dialogo necessario con le autorità religiose sciite e l’urgenza di combattere le forze e i discorsi settari.
L’Iran coltiva il progetto di estendersi nel mondo arabo, e ricorre a tutti gli strumenti a sua disposizione per realizzarlo, pretendendo di rappresentare le comunità sciite nei Paesi arabi. Tale pretesa acquista legittimità soltanto nei momenti di tensione settaria tra sciiti e sunniti, ma se questa dovesse venire meno, l’Iran non avrebbe più una giustificazione valida per intromettersi nelle comunità arabe. Non solo, ma non troverebbe più orecchie disposte ad ascoltare e dovrebbe smettere di interferire. Questo dialogo con le autorità sciite è dunque un passaggio obbligato per disfare la trama di tensioni religiose che le forze settarie sfruttano per imporre i propri progetti politici. C’è infatti una regola aurea nelle relazioni tra le comunità religiose: ogni volta che aumenta la tensione religiosa, le forze settarie si attivano; quando invece la tensione viene meno, i discorsi settari perdono attrattiva. Se dunque le relazioni tra gli arabi sunniti e gli arabi sciiti si rafforzeranno, per le forze settarie diminuiranno le opportunità di promuovere la propria agenda.

*La versione originale di quest’articolo è stata pubblicata il 13 ottobre 2021 sul quotidiano egiziano al-Shurūq con il titolo Ziyārat Shaykh al-Azhar li’l-Najaf (La visita dello Shaykh al-Azhar a Najaf).
Traduzione dall’arabo a cura della redazione di Oasis