Pagine

16 marzo 2021

Il cardinale Ayuso: “Dopo il Papa, non penseremo all’Iraq solo per le immagini di devastazione”

Salvatore Cernuzio

Dopo la visita del Papa, il mondo non ricorderà l’Iraq solo per le immagini di sofferenza e devastazione. Per il cardinale Miguel Ángel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, è assolutamente positivo il bilancio dello storico pellegrinaggio di Francesco in Iraq. Il porporato spagnolo ha accompagnato il Pontefice in ogni tappa della visita, incluso l’importante incontro a porte chiuse con il Grande Ayatollah Al-Sistani: «Un incontro cordiale, caratterizzato da atteggiamenti per nulla protocollari».

A pochi giorni dall’ottavo anniversario dell’elezione, il Papa ha visitato l’Iraq. Molti lo hanno definito non un semplice viaggio ma “il” viaggio, il più importante del pontificato. Perché?

 «Il viaggio in Iraq ha avuto un sapore speciale, perché è proprio la situazione difficile in cui versa quel Paese ad aver reso particolare l’iniziativa del Santo Padre. È una terra a tutt’oggi non pacificata e che deve ancora riprendersi da decenni segnati da guerre, violenze, distruzioni. Tutti sappiamo quanto negli anni passati la situazione irachena sia stata al centro delle preoccupazioni della Santa Sede che tentò in ogni modo di evitare la guerra esplosa negli anni ’90, consapevole delle tragedie che ne sarebbero derivate. È noto pure il profondo desiderio di San Giovanni Paolo II di recarsi pellegrino a Ur dei Caldei in occasione del Giubileo del 2000. A tutto questo Papa Francesco ha aggiunto la sollecitudine del Pastore che desidera incontrare la sua gente: non è andato in Iraq per difendere la comunità cristiana ma per incoraggiarla. La sua visita è stata davvero un’occasione favorevole affinché i cristiani, anche se minoritari in questa terra, non si sentano emarginati ma effettivamente parte della vita di tutta la Chiesa universale, non si sentano più una minoranza chiusa che lotta per sopravvivere o fuggire ma cittadini attivi che hanno il diritto e il dovere di contribuire allo sviluppo della società».
Il Papa ha lanciato importanti appelli anche per le altre minoranze…
«L’Iraq, che è senza dubbio il Paese arabo più ricco dal punto di vista etnico, religioso, culturale e linguistico, costituisce un bel mosaico da ricomporre con attenzione e custodire con cura. Le legittime diversità, anche dal punto di vista religioso, sono una ricchezza e non devono essere percepite come una minaccia. È chiaro pertanto che il messaggio a favore del dialogo interreligioso, e della sua promozione, emerge da tutto il viaggio di Papa Francesco».
In Iraq è stato anche il primo viaggio di un Papa in un Paese a maggioranza sciita. Lei ha accompagnato il Pontefice in ogni tappa, incluso l’incontro privato a Najaf con il Grande Ayatollah Al-Sistani. Può raccontarci qualche dettaglio in più di quel colloquio?
«Sì, ho avuto il privilegio di essere uno dei testimoni dell’incontro tra Papa Francesco e il Grande Ayatollah Sayyid Ali Al-Husaymi Al-Sistani. Un incontro caratterizzato da atteggiamenti per nulla protocollari – a cominciare dalla durata protrattasi oltre il previsto – con il Grande Ayatollah che si è alzato per ricevere il Santo Padre e alla fine si è alzato di nuovo per accompagnarlo e ancora lo ha richiamato e si sono rincontrati più volte. Un chiaro clima di cortesia, di accoglienza. Papa Francesco ha riaffermato i princìpi di parità tra tutte le componenti etniche, sociali e religiose del Paese fondati sulla cittadinanza. Sappiamo che non si può capire il Medio Oriente senza i cristiani ma non è neanche possibile farlo senza il dialogo interreligioso. Ci tengo a sottolineare che su questa strada è stato accompagnato dallo stesso Al Sistani, il quale ha voluto assicurare il proprio impegno affinché i cittadini cristiani vivano come tutti gli iracheni in pace e sicurezza, con tutti i loro diritti costituzionali».
Che ripercussione avrà la visita ad Al Sistani e, in generale, l’intero viaggio del Papa per il dialogo con il mondo sciita?
«Conoscendo Papa Francesco e conoscendo la personalità di Al-Sistani ho potuto ancora una volta constatare quanto sia importante la possibilità di lavorare insieme in uno spirito di fratellanza per creare un mondo migliore. Un mondo che, attraverso la “cultura dell’inclusione”, mostri maggiore uguaglianza perché ci sia più benessere e solidarietà a favore dell’umanità intera. L’incontro tra il Papa e il Grande Ayatollah ha segnato un ulteriore passo nel cammino di fratellanza fra le diverse tradizioni religiose».
Non è stato, però, firmato nessun Documento congiunto come ad Abu Dhabi.
«Non è sempre necessario produrre documenti per sottolineare l’importanza di un evento. Ricordiamoci ciò che disse Papa Francesco nel 2016 quando ricevette in Vaticano il grande imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb: “Il messaggio è l’incontro”. Del resto la Chiesa cattolica in Iraq è profondamente impegnata nel dialogo interreligioso anche grazie all’efficace azione del cardinale Louis Sako ed ha intessuto legami di amicizia e collaborazione con i credenti di altre tradizioni religiose da lungo tempo. Il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso che presiedo è da anni impegnato in un dialogo di rispetto ed amicizia con la comunità sciita sia in Iran che in Iraq».
Sempre dal punto di vista interreligioso, quali risultati sono stati già ottenuti con la visita del Papa?
«In Iraq già esiste una collaborazione interreligiosa ed è attivo nel Paese il Consiglio Iracheno per il Dialogo Interreligioso (Iraqi Council for Interfaith Dialogue). Da parte sua il Pontificio Consiglio ha avviato un dialogo ufficiale con le Sovrintendenze religiose dell’Iraq che comprendono tre dipartimenti autonomi e indipendenti: il waqf sciita, il waqf sunnita e un unico waqf per cristiani, yazidi, sabei-mandei. Si sono già tenuti due incontri a Roma nel 2013 e nel 2017. Le due delegazioni si sono messe d’accordo per creare un Comitato permanente per il dialogo. Va ricordato inoltre l’appuntamento di Ur che è stata l’occasione per pregare insieme ai credenti di altre tradizioni religiose, in particolare musulmani, per ritrovare le ragioni di una convivenza tra fratelli, ricostruire un tessuto sociale oltre fazioni ed etnie, lanciare un messaggio al Medio Oriente e al mondo. In Iraq, e in generale in Medio Oriente, è importante riprendere coscienza del fatto che siamo cittadini e credenti e, in quanto tali, dobbiamo costruire la società arricchendola con le nostre rispettive tradizioni religiose, passando dalla diversità rispettosa alla comunione dei valori condivisi a partire dai quali possiamo ricreare quella convivenza che non è tolleranza ma capacità di vivere nella diversità».
Molti avevano sconsigliato il Papa di andare in Iraq a causa dei rischi di sicurezza e del Covid. Secondo lei, a viaggio finito, ne è valsa la pena?
«È ovvio che ne è valsa la pena! Ho potuto constatare di persona la grande felicità del Santo Padre nell’essere riuscito a portare a termine questa missione. Che fosse rischioso era sotto gli occhi di tutti, ma non è stato un viaggio all’insegna dell’imprudenza. Ha avuto una lunga e attenta organizzazione che non ha lasciato nulla al caso. Un’immagine di pace, un messaggio di speranza, fraternità e rinnovamento si sono sostituiti alle immagini di dolore e di devastazione che a tutti noi venivano in mente solo al sentir nominare l’Iraq. I volti delle persone che hanno incontrato il Papa, pur segnati dal dolore e dalla fatica di vivere in una situazione difficile, erano volti gioiosi e non rassegnati».
Quali frutti si raccoglieranno dopo questa visita?
«Sono certo che la presenza del Pontefice in terra irachena ha non solo incoraggiato la comunità cattolica ma anche mostrato la presenza reale dei cristiani e la possibilità di vivere fianco a fianco con credenti di altre religioni. Tutte quelle persone riunite insieme, attorno al Papa, testimonieranno la fraternità umana e l’importanza del dialogo. Impariamo comunque dal Santo Padre ad avere la pazienza del seminatore. Oggi c’è chi semina, domani qualcun altro mieterà!».