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16 febbraio 2021

Thabit Michael, scultore irakeno: la fede nell'arte e l’attesa del Papa


La visita di papa Francesco in Iraq è “un messaggio di resistenza, è un invito a restare nella nostra terra e nella nostra patria” continuando a “testimoniare la nostra fede cristiana.”.
È quanto sottolinea ad AsiaNews lo scultore cristiano Thabit Michael, che abbiamo incontrato e intervistato grazie alla collaborazione di don Paolo Thabit Mekko, responsabile della comunità cristiana a Karamles, nella piana di Ninive, nel nord dell’Iraq.
La presenza del pontefice, prosegue l’artista autore di diverse statue della Vergine da Qaraqosh alla chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso a Baghdad” teatro della strage di al-Qaeda nel 2010, “darà coraggio e ci aiuterà a ricostruire la nostra esistenza”.
Nato nel 1963 e laureato all’Accademia delle Belle arti di Baghdad, Thabit Michael vive nella città di Qaraqosh, nome mutuato dall’impero ottomano che i cristiani preferiscono chiamare con il nome aramaico di Bakhdida, nella piana di Ninive. Negli anni di attività egli ha realizzato decine di statue, oggi sparse per diverse province dell’Iraq, di carattere sacro e non. Una parte delle quali sono state distrutte dalla follia iconoclasta dei miliziani dello Stato islamico (SI, ex Isis).
“La mentalità dell’artista - ricorda - l’ho sviluppata sin da bambino, quando mi trovavo nella casa di mio zio a Mosul, anch’egli scultore, dove passavo molto tempo ad ammirare una grande porta antica” sulla quale erano impresse rappresentazioni di Ninive. A lui si deve la produzione di un toro alato nel sito archeologico di Ninive. “Guardando a lui - afferma Thabit Michael - mi sono avvicinato al campo dell’arte e a questa professione. L’ambiente in cui sono cresciuto si è rivelato fondamentale per la mia vita, per la scelta del lavoro”.
“La maggioranza dei miei lavori - spiega - si trova nella piana di Ninive. Diverse statue sono state abbattute dai jihadisti, soprattutto nei monasteri e nelle chiese. Da qualche tempo ho iniziato a realizzarne delle altre, per sostituirle, avvalendomi in questo senso anche dell’aiuto di mio figlio che vuole ripercorrere le mie stesse orme, perché anche lui lavora nel campo dell’arte”. Attraverso la nostra opera, afferma, “vogliamo testimoniare la presenza cristiana: noi siamo figli di questa terra, di questa cultura e di questo patrimonio antico mantenendo vivo il ricordo dei nostri antenati che sono stati fra i primi apostoli ed evangelizzatori della cristianità”.
Fra le sue opere rase al suolo dall’Isis vi sono la statua della Madonna della Tigre a Mosul, quella nella cattedrale dei caldei nella città vecchia nella parte occidentale, e un monumento nella casa vescovile dei caldei. Alcune di queste sono già state ricostruite, altre restano in attesa ma sono il segno vivo di una comunità che vuole rinascere dopo tante sofferenze. “Nonostante le violenze dei jihadisti - racconta Thabit Michael - le relazioni con i musulmani restano buone, soprattutto nell’ambiente culturale e artistico dove incontro grande rispetto e collaborazione, non solo nelle parole ma anche nei gesti. Vi è grande rispetto per il lavoro artistico, anche se altri hanno una mentalità diversa che è più difficile da sradicare”.
Un discorso che vale anche per i curdi, una parte dei quali “ha atteggiamenti ostili verso i cristiani sebbene la maggioranza coltivi rapporti cordiali. Un signore - ricorda - mi ha commissionato la costruzione di una statua per un monastero caldeo nel Kurdistan irakeno. Una parte dei curdi musulmani della zona si è rivoltata e abbiamo dovuto posizionare la statua dentro la chiesa”. L’ultimo lavoro fatto, conclude, “è una statua dedicata al ritorno dopo l’emigrazione. Speriamo che l’arrivo del papa dia ancora più forza e coraggio per restare e ricostruire”.