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18 febbraio 2021

La testimonianza di suor Yola che attende il Papa in Iraq

Marco Guerra

Come si sta preparando l’Iraq ad accogliere Papa Francesco? E che Paese troverà il Santo Padre?
Non è facile rispondere a queste domande nella cornice del complesso quadro del Medio Oriente, destabilizzato da decenni di conflitti e piegato dalla pandemia del Covid 19. Vale la pena ricordare che stiamo parlando di una delle terre che videro sorgere le prime comunità cristiane formate dai discepoli che hanno dato vita alla Chiesa universale. Luoghi in cui i cristiani non sono ospiti ma testimonianza viva di un’eredità plurimillenaria.
Per questo motivo abbiamo voluto raggiungere telefonicamente a Baghdad suor Yola Girges, religiosa francescana siriana delle Missionarie del Cuore immacolato di Maria, originaria di Ghassanieh nella provincia di Idlib (unica parte della Siria ancora controllata dai terroristi).
La religiosa francescana si trova alla missione del Cuore Immacolato nella capitale irachena dal 3 dicembre scorso per aiutare le comunità cristiane locali e mandare avanti l’asilo che accoglie anche bambini musulmani.
“Siamo molti felici di accogliere il Papa, anche se ci dispiace che qui a Baghdad Francesco non incontrerà il popolo ma solo le autorità religiose e civili, per motivi di sicurezza. I cristiani del nord, ad Erbil e Qaraqosh, sono più fortunati perché potranno vedere il Santo Padre e parteciparle alle funzioni da lui presiedute e si stanno preparando con veglie ed incontri di ogni tipo”.
Dalle parole di suor Yola traspira l’amarezza per il fatto che il soggiorno a Baghdad non potrà essere impreziosito dalla partecipazione delle folle.
“La popolazione della capitale è molto fiaccata – prosegue -, le Chiese non sono gremite come negli anni passati a causa del Covid e del continuo esodo dei cristiani. Serve un segnale di forte speranza per andare avanti”.
Vale la pena ricordare che i Cristiani in Iraq erano circa 1.500.000 nel 2003, ovvero circa più del 6% della popolazione del Paese e comunque in calo rispetto al 12% del 1947, quando si contava popolazione di circa milioni di fedeli. Oggi invece sono ridotti a circa 500mila unità e la loro fuga dalla Piana di Ninive e dalle altre roccaforti cristiane è tamponata solo grazie ai progetti di Aiuto alla Chiesa che Soffre, tramite i quali sono stati ricostruiti villaggi e chiese distrutti dall’Isis. a religiosa evidenzia la gravità della situazione economica: “In Siria malgrado 10 anni di guerra la comunità cristiana è ancora molto vitale. Qui a Baghdad ho trovato una situazione ancora più difficile, le difficoltà economiche sono enormi. Gli iracheni erano tra i più benestanti della regione e ora la gente è costretta a vivere di espedienti per magiare. Molte famiglie hanno persino allestito un orto nel giardino delle loro case e molti laureati, persino gli ingegneri, sono costretti a fare i lavori più umili per portare pochi soldi alle loro famiglie. Sentono la sofferenza di aver perso tutto, d’altra parte è da trent’anni che non vivono in pace”.
Le suore francescane operano in una zona della città dove si trovano le chiese siriaca e caldea, prima del Covid molto fedeli accedevano a questi luoghi di culto per le funzioni. Molto apprezzato è l’asilo gestito dalle religiose.
“I Musulmani vogliono che i loro figli siano educati moralmente dalle suore – racconta suor Yola – ci chiedono di aprire anche le elementari e le scuole superiori, hanno fiducia nell’educazione cristiana, non solo a livello didattico ma anche etico-morale”. “C’è un buon rapporto sia con gli sciiti sia con i sunniti – spiega ancora la francescana – la guerra e le divisioni sono state portate da fuori e alimentate da altri Paesi”.
Secondo la religiosa i cristiani sono la chiave di volta per la pacificazione di tutta la regione: “Non siamo ospiti di queste terre ma una parte fondamentale per ogni soluzione per la pace del Medio Oriente, per questo bisogna fermare in ogni modo l’esodo dei cristiani dall’Iraq e dalla Siria”. “Basta pensare che l’antica città di Ur in Iraq diede i natali al patriarca Abramo, le nostre radici affondano qui”.
 In questa prospettiva suor Yola chiede di fermare le sanzioni che colpiscono la Siria e hanno come unico risultato quello di affamare la popolazione più fragile. “Non possiamo dire alle famiglie irachene e siriane di avere pazienza se non hanno da magiare – prosegue – servono aiuti concreti, noi facciamo il possibile, siamo di speranza importante ma non possiamo aiutare tutti”.
Lanciando il suo grido di dolore per il Medio Oriente, suor Yola desidera scuotere le coscienze dell’Occidente: “Dobbiamo rompere il muro di silenzio, nessuno parla del dramma dei cristiani d’Oriente, delle persecuzioni subite e dell’esodo. Ristabilire la verità e raccontarla a tutto il mondo è il primo passo per aiutare tutti i popoli del Medio Oriente”.