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25 gennaio 2021

Ricercando un modello di piena comunione

Hyacinthe Destivelle *
21 gennio 2021

Il viaggio ormai prossimo di Papa Francesco in Iraq, prima visita di un vescovo di Roma in questo Paese, sarà sicuramente l’occasione di incontrare rappresentanti della Chiesa assira dell’Oriente. Una antica Chiesa che si trova su queste terre sin dalle origini del cristianesimo. Infatti, gli Atti degli apostoli riportano che «Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia» erano presenti nel Cenacolo il giorno di Pentecoste (2, 9). Essi furono senza dubbio i primi cristiani della Persia, dove poi predicarono, secondo la tradizione, l’apostolo san Tommaso e i suoi discepoli Addai e Mari.
Situata al di fuori dell’impero romano, sia d’Occidente sia bizantino, e isolata all’interno dell’impero persiano, la Chiesa assira dell’Oriente ha maturato una tradizione teologica e spirituale originale in un contesto culturale prevalentemente semitico e siriaco, molto vicino alle prime comunità apostoliche. Questa tradizione siro-orientale, diversa da quella greca e latina, si differenzia anche da quella siro-occidentale antiochena. Rifiutando alcune formulazioni del concilio di Efeso, la Chiesa assira riconobbe solo i due primi concili ecumenici, motivo per cui è stata a lungo considerata “nestoriana”. Nonostante il suo isolamento, essa ha sviluppato nell’alto Medioevo uno straordinario dinamismo missionario seguendo le varie vie della seta attraverso l’Asia centrale, l’India e persino la Cina. La Chiesa assira dell’Oriente ha lo stesso patrimonio teologico e liturgico della Chiesa caldea, e anche della Chiesa siro-malabarese in India, ambedue entrate in comunione con la Chiesa di Roma nel XVI secolo.
La persecuzione ha tragicamente segnato la storia della Chiesa assira sin dalle sue origini, prima nell’impero persiano poi nell’impero mongolo, e infine nell’impero ottomano (in particolare durante il genocidio assiro, noto come “Seyfo”, negli anni 1914-1924) e ha costretto la maggior parte dei suoi fedeli a emigrare in Occidente, portando con sé la loro secolare tradizione. Anche se rimangono grandi comunità in Medio oriente (soprattutto nel nord dell’Iraq, in Siria, in Iran e nel Libano), oltre che in India (dove porta il nome di Chiesa siro-caldea d’Oriente), quasi la metà dei 450 mila fedeli di questa antica Chiesa si trova ormai negli Stati Uniti, con una significativa diaspora in Canada, in Europa e in Australia.
Il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira, iniziato nel 1984 nell’ambito di conversazioni non ufficiali, si sviluppa dal 1994 all’interno di una commissione specifica, denominata Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell’Oriente. La Chiesa assira, infatti, non essendo in comunione con le altre Chiese ortodosse orientali, non fa parte della commissione internazionale che promuove il dialogo con la famiglia delle Chiese di tradizione armena, alessandrina e siriaca, che riconoscono i primi tre concili ecumenici, e che per questo spesso vengono chiamate “precalcedonesi”. Fin dall’inizio, il dialogo teologico con la Chiesa assira si è posto l’obiettivo di studiare le tre aree in cui deve essere raggiunta l’unità dei cristiani: il contenuto della fede, la celebrazione dei sacramenti e la costituzione della Chiesa.
L’11 novembre 1994, al termine di una prima fase di dialogo non ufficiale sulle questioni cristologiche, san Giovanni Paolo II e il catholicos-patriarca Mar Dinkha IV hanno potuto firmare una storica dichiarazione cristologica comune. Essa riconosceva «la legittimità e la correttezza» dei vari titoli della Vergine Maria, considerati all’epoca del concilio di Efeso come i criteri dell’ortodossia cristologica: “Madre di Cristo nostro Dio e Salvatore” usato dalla Chiesa assira, “Madre di Dio” (“Theotokos”) utilizzato nella tradizione cattolica e ortodossa. Affermando che le differenze cristologiche del passato «erano fondate in buona parte su incomprensioni», Mar Dinkha IV e Giovanni Paolo II dichiararono di ritrovarsi «uniti nella confessione della stessa fede nel Figlio di Dio che si è fatto uomo perché gli uomini possano diventare figli di Dio per sua grazia». Sono stati così superati 1.500 anni di controversia dottrinale intorno alla cristologia del concilio di Efeso, principale problema dogmatico tra la Chiesa cattolica e quella assira.
Sette anni dopo, durante una seconda fase, il dialogo teologico ha avuto un altro esito significativo, questa volta sui sacramenti. La Chiesa assira utilizza nella sua liturgia l’anafora di Addai e Mari, una delle anafore cristiane più antiche, che non include però esplicite parole dell’Istituzione, considerate dalla Chiesa cattolica essenziali per la validità della preghiera eucaristica. Il 17 gennaio 2001 il dialogo teologico ha permesso il riconoscimento da parte della Congregazione per la dottrina della fede — decisione approvata da Papa Giovanni Paolo II — della validità dell’anafora di Addai e Mari, dato che le parole dell’istituzione eucaristica vi sono ben presenti «non in modo narrativo coerente e ad litteram, ma in modo eucologico e disseminato». Come per la questione cristologica che ha permesso di riconoscere un’unità di fede in una diversità di espressioni, lo stesso approccio ermeneutico ha consentito di riconoscere un’identità sacramentale al di là della varietà delle pratiche liturgiche.
Questo esito teologico ha reso possibile un’importante decisione pastorale: il 20 luglio 2001 il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha pubblicato alcuni Orientamenti per l’ammissione all’Eucaristia tra la Chiesa caldea e la Chiesa assira dell’Oriente, riconoscendo ai fedeli caldei e assiri la possibilità, in determinate circostanze, di ricevere l’eucaristia dall’una o dall’altra Chiesa, tenendo conto delle esigenze pastorali, in particolare nel contesto della diaspora.
Nel 2017 la Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell’Oriente concludeva questa seconda fase del dialogo con una dichiarazione congiunta sulla “vita sacramentale”. Il documento mostra che le tradizioni sacramentali della Chiesa cattolica e della Chiesa assira d’Oriente «sono una nella loro diversità; pur avendo adottato forme e riti differenti, ambedue intendono celebrare lo stesso ed unico mistero di salvezza».
Durante le sue due prime fasi, il dialogo teologico con la Chiesa assira ha quindi superato in pochi anni due grandi difficoltà: una polemica vecchia di 1.500 anni sulla fede cristologica, e un dibattito relativo alla validità di un’anafora eucaristica usata fin dalle origini del cristianesimo. Ciò dimostra il successo di questo dialogo, e soprattutto della sua metodologia ermeneutica capace di discernere l’unità di fede nella diversità di espressioni e di pratiche. Il dialogo non solo ha risolto controversie secolari, ma ha consentito una certa communicatio in sacris ancor prima del ristabilimento della piena comunione tra le nostre Chiese.
Dal 2017 è in corso una terza fase di dialogo sulla costituzione della Chiesa. Tuttavia, diversamente dagli altri dialoghi ecumenici, la commissione si incentra non sulle diverse caratteristiche o sulle istituzioni della Chiesa, ma sulle sue immagini. L’ecclesiologia dei Padri, soprattutto dei primi secoli, è infatti formulata in un linguaggio tipologico e simbolico piuttosto che in presentazioni concettuali e sistematiche. La tradizione siriaca, in particolare, fedele alle categorie bibliche e alle tradizioni della prima Chiesa giudeo-cristiana, intende il mistero della Chiesa spesso a partire dalle immagini dell’Antico Testamento e lo esprime per mezzo di inni e di omelie. Il dialogo teologico con la Chiesa assira si propone pertanto di riflettere sulle immagini e sui simboli presenti nelle Scritture e sviluppate dai Padri latini e siriaci dei primi quattro secoli. Lo scopo è di mostrare che queste immagini, comuni alle tradizioni latina e assira, anche se talvolta espresse e comprese in modo diverso, possono aiutarci a trovare insieme i fondamenti di una comune ecclesiologia, e ad esprimerla in un modo che possa maggiormente parlare ai nostri contemporanei rispetto al linguaggio concettuale. Con questo nuovo documento sulla comprensione della Chiesa, sarà compiuto un altro passo avanti sul cammino verso la piena comunione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira.
Certo, questo dialogo teologico, o “dialogo della verità”, non sarebbe possibile senza l’approfondimento parallelo del “dialogo della carità” e del “dialogo della vita”. Infatti, mai nella storia le relazioni tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira sono state così fraterne: nel 1978 il catholicos-patriarca Mar Dinkha IV ha partecipato alla messa inaugurale del nuovo pontificato, nel 1984 è tornato a Roma per il suo primo incontro ufficiale con il Papa, poi nel 1994 per la firma della dichiarazione cristologica comune, nel 2005 per i funerali di Giovanni Paolo II, nel 2007 per incontrare Papa Benedetto XVI e nel 2014 per visitare Papa Francesco.
Il suo successore, Mar Gewargis III , la cui elezione nel 2015 ha segnato il ritorno in Iraq dalla sede patriarcale (dal 1940 in esilio negli Stati Uniti), è venuto a Roma nel 2016, a Bari nel luglio 2018 e poi di nuovo nella capitale italiana nel novembre 2018, visita durante la quale ha firmato con Papa Francesco una significativa dichiarazione congiunta sulla situazione dei cristiani in Medio oriente.
Anche a livello locale, in Iraq, le relazioni tra la Chiesa assira e la Chiesa caldea hanno avuto sviluppi molto positivi. Già nel 1996, il patriarca Mar Raphaël Bidawid e il patriarca Mar Dinkha IV avevano firmato una lista di proposte congiunte al fine di raggiungere il ristabilimento della piena unità ecclesiale tra i due storici eredi dell’antica Chiesa orientale. Nel 1997 i sinodi delle due Chiese hanno confermato questo programma con un decreto sinodale congiunto. Oggi, in un doloroso contesto segnato dalla guerra e dall’insicurezza, il clero e i fedeli delle due Chiese vivono già in molti luoghi quasi in piena comunione, cercando di testimoniare insieme il vangelo di Cristo.
A dire il vero, mancherebbe poco per ricomporre la piena comunione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell’Oriente. Spetta probabilmente alla prima proporre un modello di unità diverso dall’attuale statuto delle Chiese orientali cattoliche sui iuris, le cui odierne relazioni con la Chiesa di Roma non sono riconosciute dalle Chiese ortodosse come modello di futura comunione. Questo modello implicherebbe una rinnovata riflessione sui presupposti dottrinali e sulle conseguenze canoniche del principio affermato dal concilio Vaticano II , secondo il quale le Chiese orientali hanno «potestà di regolarsi secondo le proprie discipline» («facultatem se secundum proprias disciplinas regendi», Unitatis redintegratio, 16). Questa affermazione aveva ispirato i Principi per guidare la ricerca dell’unità tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa copta firmati nel 1979 da Papa Giovanni Paolo II e dal patriarca Shenouda III, che dichiaravano: «L’unità che prevediamo in nessun modo significa assorbimento dell’uno dall’altro o dominio dell’uno sull’altro. È al servizio di ciascuno per aiutare ciascuno a vivere meglio i propri doni che ha ricevuto dallo Spirito di Dio. L’unità presuppone che le nostre Chiese continuino ad avere il diritto e il potere di governarsi secondo le proprie tradizioni e discipline».
Ricordando lo stesso principio, Papa Francesco affermava il 30 novembre 2014 a Istanbul che la piena comunione con le Chiese ortodosse «non significa né sottomissione l’uno dell’altro, né assorbimento, ma piuttosto accoglienza di tutti i doni che Dio ha dato a ciascuno per manifestare al mondo intero il grande mistero della salvezza realizzato da Cristo Signore per mezzo dello Spirito Santo».
Possa la storica visita di Papa Francesco in Iraq segnare un ulteriore passo in avanti verso tale modello di piena comunione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell’Oriente.

* Officiale della sezione orientale del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani