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5 novembre 2020

Sacerdote caldeo: dai giovani cristiani e musulmani la rinascita di Mosul


Mosul e la piana di Ninive hanno avviato un lento cammino di rinascita dopo anni di violenze confessionali e di dominio jihadista, con iniziative che vedono uniti cristiani e musulmani, soprattutto fra i giovani.
L’iniziativa raccontata ieri dei volontari di Sawaed al-Museliya “è una delle tante” conferma ad AsiaNews don Paolo Thabit Mekko, responsabile della comunità cristiana di Karamles, ma è segno “dello spirito che regna in buona parte della popolazione”. Sono gli stessi musulmani, aggiunge il sacerdote, “che collaborano per recuperare, pulire e allestire le chiese, perché pensano siano funzionali al ritorno dei cristiani nella regione”.
“Si tratta di piccoli gruppi, in larga parte formati da giovani - spiega don Paolo - pieni di buona volontà e che cercano di mettere in campo iniziative positive. Fra qualche giorno, alcuni giovani musulmani prenderanno parte alle operazioni di ripristino della cattedrale dei caldei di Mosul”. Questi gesti, avverte, “testimoniano che vi è un cambiamento nella mentalità e aiutano anche altri ad impegnarsi sulla strada del dialogo e del confronto”.
A conferma di un rinnovato clima di fiducia, anche la controversia esplosa di recente fra la Francia e il mondo islamico non ha avuto pesanti riflessi. Qualche scontro sui social, ma all’atto pratico non vi sono state proteste, scontri e manifestazioni in una piazza in passato assai calda.
Per il sacerdote caldeo, da anni impegnato nella cura delle migliaia di famiglie fuggite nell’estate del 2014 in seguito all’ascesa dello Stato islamico (SI, ex Isis), questo processo “avviene partendo proprio dai giovani, che dalla liberazione di Mosul hanno promosso un numero crescente di progetti e iniziative”. Forse manca una regia da dietro le quinte, avverte, che sia funzionale a un migliore uso delle risorse. Tuttavia, “resta l’impegno comune e la partecipazione anche in questo tempo di pandemia di nuovo coronavirus”, con gruppi cristiani e musulmani che “si prodigano per allestire spazi per isolamento e quarantena e aiutano portando cibo, medicine, generi essenziali”. 
Alcuni musulmani, in caso di bisogno, “vengono anche qui da noi, nella piana di Ninive, per dare una mano” conferma don Paolo. “Adesso è prioritario l’intervento di reparti specializzati per rimuovere le mine che hanno piantato nel terreno i membri dello Stato islamico, ve ne sono anche attorno alle nostre chiese”. Compiuta questa operazione “possiamo ripartire a costruire, anche perché la situazione oggi appare più tranquilla”.
Fra le iniziative completate nell’ultimo periodo il centro culturale a Karamles, ma vi sono “altri progetti allo studio, sebbene manchino ancora i fondi, con l’obiettivo di salvaguardare la nostra identità”. “Nel centro culturale - racconta il sacerdote - vi è al primo piano una grande sala per i matrimoni, poi un’aula per il teatro e altre iniziative comunitarie, un bar. Infine una parte adibita a museo del villaggio in cui sono conservate anfore, attrezzi da cucina, altri utensili che abbiamo recuperato da uno spazio già allestito in precedenza, oggi in disuso. Abbiamo dato vita a una mostra che ripercorre, in modo ideale, la storia del territorio preservando pure l’elemento architettonico”. 
La ricostruzione completa di Mosul e della piana è ancora lontana, ma “sono stati compiuti diversi passi” in questo tempo, nonostante le difficoltà. Un altro esempio è la rinascita di un quartiere storico di Mosul, nei pressi della città vecchia, devastato dai jihadisti e in cui oggi vi sono diversi ristoranti tradizionali e un grande mercato del pesce. “La pandemia di Covid-19 - afferma il sacerdote - è una delle tante e un po’ ci ha rallentato, ma non possiamo certo fermarci per il virus”.