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24 settembre 2020

Seminarista irakeno: diventare sacerdote dopo il dramma dell'Isis (II)


Nel contesto attuale, in Iraq e nel mondo, la vocazione sacerdotale o monastica è “l’apice dell’amore e del servizio”, come “ho sperimentato nel mio villaggio di Telskuf” dopo che nell’estate 2014 che lo Stato islamico (SI, ex Isis) “ha attaccato e distrutto tutto”.
È quanto racconta ad AsiaNews Wameedh Khalid Francis, uno dei 15 studenti del Seminario caldeo di san Pietro ad Ankawa, quartiere cristiano di Erbil, nel Kurdistan irakeno. “In un contesto critico [per l’avanzata jihadista] - ricorda - il prete si è prodigato come ingegnere e come l’ultimo dei lavoratori; le persone si rivolgevano a lui in tutto. In questo contesto ho compreso il senso della missione” e per questo “mi rivolgo ai giovani, esortandoli al servizio amorevole di cui il nostro mondo ha bisogno oggi”
Wameedh Khalid Francis ha 21 anni ed è originario di Telskuf*, villaggio cristiano della piana di Ninive, nel nord dell’Iraq, dove ha completato gli studi sino alla scuola superiore. La sua è una famiglia numerosa, che conta oltre ai genitori un fratello e quattro sorelle, cresciuta nell’armonia a dispetto delle difficoltà, acuire dall’avanzata del movimento jihadista fra Iraq e Siria. 
In questi giorni il patriarca caldeo, card Louis Raphael Sako, ha lanciato un appello sottolineando che il Paese e la sua Chiesa hanno bisogno di “nuove vocazioni, maschili e femminili”. Egli si è rivolto prima di tutto alle famiglie, perché incoraggino e sostengano i loro figli in questa scelta coltivando la fede “attraverso la preghiera e la contemplazione”.
“Ho sentito per la prima volta - ricorda il seminarista - il desiderio per la vocazione sacerdotale all’età di 12 anni. All’epoca ero solito frequentare ogni giorno la Chiesa e servire la messa come chierichetto. Un giorno ho chiesto al prete di portarmi al monastero e farmelo visitare. Tuttavia, ero ancora molto giovane… lui stesso mi ha consigliato di finire prima la scuola superiore e poi tornare, nel caso in cui avessi ancora vivo il desiderio di diventare sacerdote”. 
Ancora oggi l’Iraq vive una situazione critica a causa delle violenze confessionali, per una corruzione diffusa. La comunità cristiana deve lottare per mantenere viva la propria cultura, la propria presenza e le tradizioni a fronte di un esodo massiccio negli ultimi anni.
“In questo contesto - prosegue il giovane - il cuore della missione è proprio il servizio al nostro popolo, con l’amore e la dedizione che Cristo stesso ci ha insegnato. E ancora, siamo chiamati a far conoscere Gesù con l’annuncio e la testimonianza mediante le nostre azioni a quanti ancora non lo conoscono”, pur tenendo presente il contesto, che è a larga maggioranza musulmana ed è caratterizzato da scontri e tensioni fra gli stessi sunniti e sciiti. 
Wameedh Khalid Francis ritiene che il modo migliore per rispondere al compito primario dell’annuncio “è quello di vivere in maniera totale e radicale il Vangelo” e mostrarlo alle persone. “Il mondo di oggi - sottolinea - ha più bisogno di gesti, di semi piantati nel terreno che di parole” che troppo spesso rischiano di restare vuote o rimanere inascoltate. Una testimonianza attraverso le opere e i gesti, come il sacerdote di Telskuf di fronte agli enormi bisogni della popolazione bisognosa e disperata di fronte alla tragedia jihadista. 
A un coetaneo, maschio o femmina, egli vuole illustrare la bellezza del servizio sacerdotale o della vita consacrata: “Diventare un prete, un monaco o una suora - racconta il seminarista - significa vivere la missione cristiana nella sua pienezza. Essa comporta il servizio totale, anche se per un prete o una persona consacrata questo gesto ha un valore e una pienezza maggiori” rispetto a qualsiasi altra professione o stile di vita. Fra gli esempi che “hanno influenzato” la formazione spirituale e vocazionale, ricorda Wameedh Khalid Francis, vi sono “molti santi, ma uno in particolare: san Charbel”, monaco maronita libanese vissuto nel XIX secolo e canonizzato nel 1977 da papa Paolo VI. A lui sono attribuite diverse guarigioni miracolose ed è fra le figure più conosciute e riverite della Chiesa in Oriente. Infine, il seminarista caldeo rivolge un pensiero alla comunità cattolica internazionale, soprattutto a quelle dell’Occidente alcune delle quali hanno accolto le centinaia di migliaia di cristiani fuggiti in questi anni dall’Iraq: “A voi, cristiani e popoli dell’Occidente, chiedo di non dimenticarvi di noi, e di pregare sempre per noi. Perché la pace - conclude - possa regnare in tutto l’Oriente e perché i cristiani possano finalmente vivere in pace nella loro terra”.