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8 giugno 2020

Mosul: rinascita e speranza per i cristiani, a sei anni dall’Isis

Foto Patriarcato Caldeo
By Asia News

A sei anni dalla presa di Mosul da parte dello Stato islamico (SI, ex Isis) “la visita del vescovo alla città è un modo per testimoniare la presenza dei cristiani”, per dire che “non hanno abbandonato la città e intendono contribuire all’opera di rinascita”. È quanto racconta ad AsiaNews don Paolo Thabit Mekko, responsabile della comunità cristiana a Karamles, nella piana di Ninive, commentando la visita di mons. Najib Mikhael Moussa nella metropoli del nord dell’Iraq, assieme a leader religiosi musulmani e capi tribù locali. “Con la ricostruzione delle chiese [e delle moschee] e la ripresa delle attività commerciali - aggiunge il sacerdote - lanciamo un messaggio forte, diciamo a tutti i cristiani che se ne sono andati di tornare, di essere presenti”. 
La visita dell’arcivescovo nella parte destra della città, quella in cui sorgono gli edifici storici e i luoghi di culto più importanti, si è tenuta il 6 giugno scorso in concomitanza con l’anniversario dell’ascesa nel 2014 delle milizie jihadiste del califfato. Un dominio durato fino all’estate del 2017 e perpetrato con la violenza e il terrore, oltre alla devastazione di luoghi simbolo come la moschea di al-Nouri e la chiesa di Al-Saa (Nostra Signora dell’Ora). I due luoghi di culto, musulmano e cristiano, sono oggi simbolo di rinascita grazie a un progetto di ricostruzione finanziato dall’Unesco e dagli Emirati Arabi Uniti nel contesto del programma denominato “Ravvivare lo spirito di Mosul ricostruendo i suoi monumenti storici”. 
“Da mesi stiamo ascoltando notizie che parlano della ricostruzione della moschea, del minareto e della chiesa dell’orologio dei domenicani. I fondi sono stati stanziati - conferma - e vi è un movimento condiviso che preme per il ripristino di questi luoghi significativi, simbolo di una città vecchia che è stata vittima della distruzione” per mano jihadista. 
Il sacerdote caldeo, da anni impegnato nella cura delle migliaia di famiglie fuggite nell’estate del 2014 in seguito all’ascesa dello Stato islamico (SI, ex Isis), riferisce che “ad oggi siamo ancora all’inizio dei lavori”. Il governatore, prosegue, “sta combattendo per ricostruire la città, è in atto una battaglia a tutto campo contro la corruzione che resta molto forte. Poi serve ripristinare le strutture, partendo dagli ospedali e da servizi che sono ancora scadenti”.
Una esigenza imprescindibile per una nazione che oggi sta lottando, come gran parte della comunità internazionale, per contenere la pandemia di nuovo coronavirus. “Nella città di Mosul è in atto il coprifuoco - racconta don Paolo - ma i movimenti all’interno della città sono buoni e la provincia di Ninive è risparmiata dal virus. Grazie alla chiusura verso altre province e con il Kurdistan, oltre a provvedimenti di quarantena per chi arriva da fuori, siamo riusciti a limitarne la diffusione”. 
La presenza dell’arcivescovo “è fonte di incoraggiamento” per i cristiani e per tutta la città, rappresenta un messaggio che “invita ad andare avanti, a ricostruire prima l’uomo e poi la pietra quali fondamenta della nuova Mosul”. In quest’ottica, prosegue don Paolo, è essenziale “rafforzare la convivenza fra confessioni diverse. I cristiani devono tornare - spiega - ma la situazione non è ancora adeguata per un loro ritorno”.
Servono sicurezza, sviluppo, garanzie di stabilità, fiducia perché i cristiani “si sono sentiti traditi da [una parte dei] musulmani che hanno collaborato con Daesh alla cacciata e alle violenze”. Ancora oggi vi è una “ferita aperta a livello psicologico” che va “guarita”. Dare un volto nuovo, moderno alla città diventa essenziale “nell’opera di contrasto al fondamentalismo. Siamo ancora all’inizio - conclude don Paolo - ma sono obiettivi da raggiungere per un vero cambiamento”.