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12 luglio 2019

Iraq. Card. Sako: “Il Papa in Iraq come nuovo Ezechiele”

Daniele Rocchi

“Papa Francesco è un uomo aperto, cercatore di pace e di fraternità. Tutti in Iraq, cristiani e musulmani, lo stimano per la sua semplicità e vicinanza. Le sue parole toccano il cuore di tutti perché sono quelle di un pastore. È un uomo che può portare pace. Tanti milioni di musulmani hanno seguito la visita del Pontefice ad Abu Dhabi. Sarà così anche in Iraq”.
Il card. Louis Raphael Sako, patriarca di Babilonia dei caldei, parla così dell’annunciata visita di Papa Francesco in Iraq prevista nel 2020, “probabilmente in primavera, se non ci saranno tensioni  e problemi di sicurezza”. “Un pensiero continuo – ricorda il patriarca caldeo – quello del Pontefice verso l’Iraq. Il suo annuncio fatto lo scorso giugno ai partecipanti alla Riunione delle Opere di Aiuto alle Chiese Orientali (Roaco), rivela gli scopi del viaggio: far si che l’Iraq guardi avanti, ‘attraverso la pacifica e condivisa partecipazione alla costruzione del bene comune di tutte le componenti anche religiose della società, e non ricada in tensioni che vengono dai mai sopiti conflitti delle potenze regionali’”. Il card. Sako parla al Sir a margine del meeting dei partner di Caritas Iraq che si è svolto a Baghdad dal 1 al 3 luglio scorso, promosso dalla stessa Caritas locale in stretta sinergia con Caritas Internationalis.
Una visita che si colloca nel solco di quella ad Abu Dhabi dove il Pontefice e il grande Imam sunnita, Al Tayyeb, hanno firmato il documento sulla fratellanza umana…
Credo sia molto importante aiutare la gente a vedere l’altro come un fratello e non come un nemico, un avversario. Viviamo tutti insieme, lavoriamo, siamo vicini, non dobbiamo avere paura. Dobbiamo cambiare la mentalità e la cultura. Il mio augurio è che la visita di Papa Francesco rappresenti un momento forte per i nostri fratelli musulmani sciiti. Il Documento di Abu Dhabi, infatti, è stato firmato dai sunniti e non dagli sciiti.
Spero che il Papa possa incontrare l’Ayatollah Ali al Sistani, guida spirituale degli sciiti e firmare con lui lo stesso documento.
Se si vorrà cambiare qualcosa nel contenuto si può fare anche se credo che l’essenziale sia già al suo interno. Sarebbe il segno di un mondo musulmano unito nel dire basta guerre, basta morte e distruzione. La dignità umana è un valore assoluto”.
Quindi nel programma papale potrebbe essere inserita una sosta alla città santa sciita Al Najaf per incontrare l’Ayatollah Ali al Sistani, guida spirituale degli sciiti in Iraq?
Da Baghdad a Najaf sono solo venti minuti di aereo. Credo che ci possa essere il tempo per un incontro e la firma del documento.
Un tema strettamente collegato al documento di Abu Dhabi è quello della cittadinanza, invocata dai cristiani iracheni e dalle altre minoranze. 
È il nodo di tutto. Noi siamo cittadini iracheni di fede cristiana, siamo legati alla nostra terra che abitiamo da prima dell’Islam, alla nostra patria. Dovunque vada io sarò sempre legato ad essa.
Il governo deve varare riforme per garantire eguali diritti per tutti i cittadini,
non ci sono diritti umani cristiani o musulmani, c’è una base umana per tutti. Io sono un cittadino, non importa se cristiano o musulmano. Occorre separare la religione dalla politica. La Costituzione deve essere basata sulla cittadinanza. Non è più tempo di settarismi. La comunità internazionale faccia pressione sui governi mediorientali perché la religione sia separata dallo Stato.
Ur dei caldei, luogo di origine delle tre religioni abramitiche, Ebraismo, Cristianesimo e Islam potrebbe essere una delle tappe principali del viaggio papale. 
Ur potrebbe essere il luogo per un incontro interreligioso. Nel Corano si trovano dei passaggi relativi ad Abramo che possono essere cantati da un Imam. Noi cristiani potremmo leggere un brano della Bibbia. Poi si potrebbero recitare delle preghiere universali e tenere due discorsi.
Da Ur potrebbe così partire un messaggio al mondo intero: siamo tutti, nella fede, figli di Abramo. Abramo è un uomo che ha fiducia nel Signore. Ci sono simboli che possono toccare il cuore di ogni uomo, anche se è un fondamentalista.
Dio spera anche nell’uomo malvagio e lo attende come il padre buono attende il figlio nella parabola del figliol prodigo.
Che Iraq troverà il Papa? Un paese che cerca con fatica di lasciarsi dietro una serie di guerre e, soprattutto, la più recente invasione dell’Isis…
Un Iraq spaccato, frammentato, pieno di rovine e segnato da tanti errori.
Il Papa sarà per noi come un nuovo Ezechiele,
profeta che ha vissuto a Babilonia parlando agli ebrei che in quel tempo vivevano come noi: fuori delle proprie terre, come rifugiati, scoraggiati. Ezechiele fa la profezia delle ossa aride (Cap. 37): “Profetizza su queste ossa e annunzia loro: Ossa inaridite, udite la parola del Signore. Dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete. Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo spirito e rivivrete: Saprete che io sono il Signore”.
Io spero nella rinascita dell’Iraq e degli iracheni, prego per una vita nuova. Il Papa, nuovo Ezechiele, può aprirci la porta verso un futuro di pace.
È una bella immagine che mi porto dentro e chissà non possa essere richiamata nel tema del viaggio papale.
Da tempo Papa Francesco desidera di fare visita agli sfollati cristiani della Piana di Ninive che hanno trovato rifugio a Erbil, in Kurdistan. Con la cacciata di Isis molte famiglie stanno tornando. A che punto è il rientro e la ricostruzione delle case?
Più della metà delle famiglie cristiane sono rientrate nelle loro case, molte altre invece hanno lasciato il Paese. Ho scritto un articolo sulla ‘teologia dei rifugiati’ dove paragono la nostra speranza di oggi a quella degli ebrei in esilio a Babilonia. A Ninive vediamo la gioia di coloro che rientrano nei loro villaggi e la festa per aver ricostruito ciò che era stato distrutto. Come pastori siamo chiamati a dare speranza alla nostra gente, accompagnandola e ascoltandola. Non siamo amministratori ma pastori. Rispetto a chi è emigrato, chi è rimasto ha ripensato la sua storia e nutrito lo spirito con la speranza nel futuro. E sono tornati. Chi è andato via invece è chiamato a cominciare un’altra storia da un’altra parte, imparare un’altra lingua, un’altra mentalità, tradizioni diverse.
In che modo i cristiani possono preservare la loro identità in questa terra dove sono nati e dove da sempre hanno fatto da ponte tra le altre fedi ed etnie?
Da arcivescovo di Kirkuk ero solito organizzare incontri con tutti i leader religiosi locali, sciiti, sunniti, curdi, turkmeni e tutti erano consapevoli del fatto che solo la Chiesa poteva riunirli insieme. Abbiamo una vocazione di unità che ci dona forza e gioia. Non è tutto nero.
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