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13 giugno 2019

Sako: “Il Papa in Iraq potrebbe andare a Ur, nel segno di Abramo”

Gianni Valente

«Adesso tutti mi chiedono: quando viene?». Il cardinale Louis Raphael Sako, patriarca di Babilonia dei caldei, ha saputo delle parole con cui il Papa ha espresso il desiderio di visitare l’Iraq nel 2020 mentre era nel nord del Paese, per partecipare all’insediamento di Nechirvan Barzani come nuovo presidente della Regione autonoma del Kurdistan iracheno. E lì, ha potuto registrare «in presa diretta» le reazioni di calda accoglienza che la notizia ha suscitato tra i leader politici e religiosi della nazione: «Per ora il Papa ha espresso solo un desiderio, non c’è niente di programmato. Ma la notizia delle sue parole è stata già una grande gioia per tutti: musulmani, cristiani, membri dei governi».
Lei lo sapeva? E quanto ha insistito?

«Le Autorità politiche mi avevano detto di aver mandato una lettera d’invito. E anche io avevo chiesto tante volte al Papa di venire. Perché ne abbiamo bisogno».
Il settarismo mette in crisi la convivenza. Quali sono le parole del Papa più adatte alla situazione?

«Nel messaggio che ho rivolto ai fratelli musulmani iracheni per la fine del Ramadan, ho parlato di perdono reciproco come sorgente della riconciliazione. C’è qualcosa che si muove. Mi sembra che il Papa ha un progetto, con al centro i Paesi abitati dai musulmani. Lui è stato in Egitto, negli Emirati, in Marocco. Una visita in Iraq potrebbe continuare questo progetto. Ad Abu Dhabi ha firmato il documento sulla “Fratellanza umana”, insieme al grande imam di al-Azhar. Qui in Iraq potrebbe parlare anche della paternità di Dio per tutti. Dio è Padre, e noi siamo tutti fratelli non solo in una dimensione esclusivamente umana. Siamo fratelli perché figli di Dio. Proprio questo ci ricorda Abramo, Padre nella fede per tutti noi, ebrei, cristiani, musulmani. Siamo tutti figli della stessa famiglia di Abramo».
Quindi Papa Francesco potrebbe arrivare a Ur dei Caldei, da dove è partito Abramo, e che anche Giovanni Paolo II sognava di visitare…

«Io penso di sì. Anche il presidente Barham Salih mi ha parlato ieri di questa possibilità. Lì si potrebbe fare una preghiera insieme, cristiani e musulmani».
E poi? Quali altri luoghi potrebbe visitare il Papa?
«Immagino una visita a Baghdad, per incontrare le autorità e celebrare la messa. E poi salire al nord, a incontrare i rifugiati. Pregare e celebrare la messa anche insieme a loro».
Un viaggio in Iraq del Papa di certo susciterebbe interesse anche fuori dal Medio Oriente.

«Ci sono due emergenze che ci troviamo davanti. La secolarizzazione, l’indifferenza religiosa che si respira soprattutto in Occidente, dove tutto è banalizzato. E il fondamentalismo religioso, che è contro l’uomo. Il Papa non esita a parlare di queste cose. E ripete che se c’è un futuro dell’umanità, occorre riconoscere la libertà e la dignità di ognuno, e anche rispettare la fede di tutti. Ognuno ha diritto di dirsi credente e agire secondo la propria fede. Sempre tenendo presente che la fede e la violenza non possono andare insieme».
Il Papa, nello stesso discorso alla
Roaco in cui ha espresso il desiderio di visitare l’Iraq, ha anche detto parole vibranti sui mercanti di armi che alimentano le guerre. Come quelle che hanno stremato l’Iraq negli ultimi decenni.
«Papa Francesco può dire tanto, sul commercio delle armi, e anche sul petrolio, che è una delle ricchezze che scatenano appetiti e conflitti. L’unica via per uscirne è riconoscere che anche questa ricchezza è una ricchezza per tutti, e va condivisa».
Il Papa ha firmato il documento sulla “Fratellanza umana” con il grande imam sunnita. Un viaggio in Iraq potrebbe offrire occasioni di incontri ravvicinati con l’islam sciita.
«Certo. Gli sciiti sono pronti, e interessati. Si potrebbero proporre documenti condivisi anche con loro».
E i cristiani? È vero che sono diminuiti in maniera drastica, negli ultimi anni?
«Nell’ultimo incontro, con gli altri vescovi caldei, ci siamo richiamati all’opportunità di evitare dichiarazioni irresponsabili. Come quelle di chi dice che in Iraq per i cristiani non c’è futuro, che devono andare via, o che già sono andati via quasi tutti. Sull’esodo dei cristiani dall’Iraq, è inutile ripetere numeri che in realtà non sono verificabili in maniera sicura, forse neanche dal governo. Indico un piccolo dato: prima della caduta del regime di Saddam Hussein, come Chiesa caldea, avevamo 35-40 seminaristi. Ora sono più o meno la metà. Ma le nostre chiese, quando celebriamo le messe, sono sempre piene. E anche tanti musulmani ci ripetono sempre: non dovete andar via, perché questa è anche la vostra terra».
Quale sostegno può dare, il Papa, riguardo a questa situazione?

«Potrà parlare ai vescovi e ai sacerdoti, ricordando che noi in questo Paese abbiamo una missione, dobbiamo essere sempre al servizio delle speranze del popolo. E non pensare a andar via. Ci sono problemi, ma i problemi li abbiamo sempre avuti, e adesso non è la fine del mondo. Anzi, ci sono segni di miglioramento. Noi, come cristiani, facciamo parte di questo mosaico iracheno. Condividiamo le fatiche e le sofferenze di tutti. Non siamo separati dagli altri».