By Asia News
Da oltre un mese nel nord dell’Iraq, in particolare nella piana di 
Ninive, si verificano roghi misteriosi (e dolosi) che minacciano il 
raccolto. Fonti locali parlano di migliaia di ettari andati in fumo. La 
piana è  considerata il “granaio” del Paese perché qui si concentra 
buona parte della produzione. I sospetti si concentrano su cellule 
jihadiste dello Stato islamico (SI, ex Isis) ancora attive nell’area e 
su conflitti etnici che sfociano in faide e attacchi contri gruppi 
rivali. 
Secondo dati diffusi dal governo irakeno, nell’ultimo mese si sono 
registrati almeno 236 incendi, la maggior parte dei quali hanno colpito 
campi di grano e di orzo, distruggendo oltre 5100 ettari di terreni 
coltivati. In molti casi i roghi sono occorsi in aree controllate [fra 
il 2014 e il 2017] dal “Califfato” e nelle quali, ancora oggi, si 
nascondono “lupi solitari” o piccoli gruppi pronti a colpire. 
I vertici dell’Isis hanno rivendicato l’origine dolosa dei roghi. Nella rivista settimanale di propaganda jihadista al-Naba,
 i miliziani affermano di aver distrutto “centinaia di ettari” di 
raccolto di proprietà degli “apostati” nelle province di Kirkuk, Ninive,
 Salahaddin e Diyala. Funzionari governativi e amministratori locali 
ritengono plausibile che dietro ad “alcuni” incendi vi sia lo Stato 
islamico, che vuole punire quanti si rifiutano di pagare “una sorta di 
pizzo (zakat)”. 
Un poliziotto di Kirkuk, dietro anonimato, racconta di “combattenti 
Isis che appiccano il fuoco ai campi”. I miliziani “arrivano a bordo di 
motociclette, danno fuoco e piantano esplosivi nel terreno, che saltano 
in aria quando i residenti o i vigili nel fuoco giungono sul posto per 
spegnere gli incendi”. Nella sola provincia di Kirkuk sarebbero morte 
almeno cinque persone, altre 10 sono rimaste ferite nelle esplosioni. 
Tuttavia, secondo gli esperti i roghi non sono solo opera dei 
fondamentalisti. Fra le altre ragioni vi sono le condizioni di caldo 
estremo, con temperature che hanno superato i 45 gradi e creato 
situazioni di forte siccità. Inoltre, in alcuni casi sono gli stessi 
contadini a innescare piccoli roghi per bruciare la vegetazione in 
eccesso o per rendere ancora più fertili i campi per le semine future. 
“Dopo molte settimane di piogge intense, che hanno generato una massa
 indistinta fra erbe, campi coltivati, piante, era facile che con la 
stagione secca e le alte temperature si potessero generate dei roghi” 
racconta ad AsiaNews don Paolo Thabit Mekko, sacerdote caldeo e
 responsabile della comunità cristiana a Karamles, nella piana di 
Ninive, nel nord dell’Iraq. “Alcuni di questi - prosegue - sono 
incidenti, per altri invece è assai probabile l’origine dolosa. Certo è 
che sono fonte di danni non solo per i contadini, ma per lo stesso Stato
 irakeno che viene colpito al cuore”.
Fra le zone più colpite vi è la provincia di Ninive, abitata in gran 
parte da comunità cristiane, dove viene prodotto “fra il 40 e il 50% del
 grano di tutto l’Iraq”. La nostra chiesa, prosegue il sacerdote caldeo,
 “ha messo a disposizione ruspe e scavatori per contribuire all’opera di
 spegnimento degli incendi. Solo negli ultimi giorni si saranno 
registrati una decina di roghi”. 
Circa un terzo degli irakeni contano sull’agricoltura e i campi quale
 fonte principale di sostentamento; il governo offre sussidi e compra 
parte del raccolto. Solo a Kirkuk vi sono 200mila ettari di campi 
coltivati, con una produzione annua di 650mila tonnellate. “Dietro gli 
incendi - sottolinea don Paolo - vi sono diverse tesi, dagli attacchi di
 affiliati all’Isis a Mosul e nella piana di Ninive, agli incidenti 
dovuti al caso o alla disattenzione. Di sicuro vi è che i roghi hanno 
colpito sia i cristiani, che i musulmani. In questi giorni vi sono 
persone che hanno pubblicato sui social pezzi di lenti o specchi usati 
per concentrare i raggi solari, a riprova dell’origine dolosa”. 
“Forse è un tentativo di distruggere l’economia - conclude il 
sacerdote caldeo - e bloccare il rientro di quanti sono fuggiti in 
passato, e oggi cercano  di ricostruirsi una vita. In questo senso, servono fondi dall’estero 
perché le risorse su cui possiamo contare al momento sono insufficienti 
sia per la ricostruzione delle case, che per il ripristino di aree di 
svago e incontro come parchi e giardini”.