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21 maggio 2019

L'allarme del Cardinale Sako: "In Europa c'è Cristianofobia"

Marco Gombacci

Abbiamo incontrato a Bruxelles il cardinale Louis Raphaël I Sako, Patriarca di Babilonia dei Caldei e presidente dell’Assemblea dei vescovi cattolici d’Iraq. Nominato cardinale da Papa Francesco nel maggio 2018, si trovava nella capitale belga per incontrare i vertici delle istituzioni europee per sottoporre alla loro attenzione la difficile situazione dei cristiani iracheni tutt’ora vittime di discriminazioni e persecuzioni.
Come è la situazione dei cristiani iracheni al giorno d’oggi? Si possono vedere segnali di un ritorno alla vita normale?
Rispetto ad un anno fa la situazione sta migliorando, specialmente nella Piana di Ninive (l’area a maggioranza cristiana nel nord dell’Iraq, ndr). Circa la metà della popolazione è ritornata nei loro villaggi ma il resto dei cristiani sta aspettando la ricostruzione delle loro case e vivono ancora ad Erbil (Kurdistan iracheno) sotto il protettorato della Chiesa cattolica caldea e con l’aiuto delle associazioni misericordiose come Aiuto alla Chiesa che Soffre e la Caritas. Pochissimi governi ci stanno aiutando nel nostro tentativo di ricostruire abitazioni, strade, reinstallare l’elettricità pubblica, rifornire la zona con acqua potabile e soprattutto creare posti di lavoro per i giovani cristiano-iracheni. Abbiamo il timore che senza lavoro, i giovani siano i primi costretti a migrare, lasciando così la loro terra.
Nonostante questo lento ritorno alla normalità, i cristiani continuano ad essere discriminati e questo non è più accettabile. L’Europa ha impiegato troppo tempo a capire che è nel suo interesse far si che i cristiani non disappaiano dall’Iraq. Noi viviamo in queste terre da millenni e abbiamo imparato come parlare e convivere con i musulmani. Siamo cittadini iracheni a tutti gli effetti. Chiediamo all’Unione europea di aiutarci a fare pressioni sullo Stato iracheno per eliminare dalla carta d’identità la dicitura “cristiano” poiché vogliamo la separazione tra Stato e religione. Richiediamo anche l’uguaglianza tra uomo e donna e l’abolizione dei matrimoni con ragazze minorenni.
Cosa possono fare l’Ue e gli Stati europei per aiutare i cristiani iracheni?
L’Unione europea e i paesi europei possono fare molto per aiutare i cristiani iracheni. Innanzitutto l’UE può fare delle pressioni sul governo iracheno per garantire il rispetto dei diritti umani di tutti i cittadini (non solo quelli delle minoranze). Anche l’educazione ricopre un ruolo fondamentale. Invitiamo l’Europa a chiedere al governo iracheno e a quello di tutti i paesi islamici di cancellare nei libri di testo scolastici tutte le espressioni discriminatorie nei confronti dei cittadini non musulmani. C’è da segnalare che vi sono due paesi europei in prima linea nell’aiuto dei cristiani iracheni: l’Ungheria, attiva già da tempo, e ora l’Austria, su promessa personale del cancelliere austriaco Sebastian Kurz.
Ma le istituzioni dell’Unione europea in quanto tali non stanno aiutando per niente i cristiani iracheni! Esse elargiscono gli aiuti attraverso le Nazioni Unite che non sono presenti dove ci sono le comunità cristiane. Proprio in questi giorni mi trovo a Bruxelles per spiegare che gli aiuti europei non potranno mai arrivare ai bisognosi se continueranno a passare attraverso l’Onu o i vari governi. Noi, come comunità cristiane, abbiamo la possibilità di gestire autonomamente i finanziamenti e non capiamo perché la UE continui a ritenerci non meritevoli del suo sostegno diretto.
Come si può sconfiggere il radicalismo islamico in un’area così tumultuosa come quella Medio orientale?
L’Islam politico introdotto e divulgato in Iraq dall’esterno è estremamente nocivo poiché favorisce il radicalismo. Si continua a promuovere una lettura letterale del Corano invece di un’interpretazione con una chiave di lettura più moderna. Ovunque io vada chiedo agli imam di rivedere i loro insegnamenti per renderli compatibili, non con il VII secolo, ma con l’epoca contemporanea.
Durante la dittatura (di Saddam Hussein, ndr), vivevamo in sicurezza ma senza libertà. Ora abbiamo tutta la libertà che vogliamo ma viviamo alla mercé delle varie milizie e tribù. Non abbiamo abbastanza protezione e chiunque può entrare in una casa di un cristiano e minacciarlo o ucciderlo senza che nessuno, o quasi, dica nulla. Il nuovo Presidente iracheno, il Primo ministro, e il Presidente del parlamento sono persone molto accorte e sagge ma hanno bisogni di aiuto e l’Europa deve supportarli.
Anche in Europa vediamo il diffondersi di un radicalismo islamico pericoloso. Cosa può consigliare agli europei, come sconfiggere questa tendenza?
L’Europa ha ceduto al relativismo tanto tempo fa. Ho saputo che non ci sono più lezioni di religione nelle scuole belghe, o al massimo solo classi di Islam. Agli europei piace parlare di “Islamofobia” ma ora bisognerebbe parlare di “cristianofobia”! In tutto il Medio oriente, i cristiani sono pronti a morire piuttosto che disconoscere la propria fede e in Europa, molti mussulmani sono pronti a morire piuttosto che vivere in un continente dove gli “infedeli” dettano legge. L’Europa non si deve vergognare dei propri valori cristiani come noi, cristiani iracheni, abbiamo sempre difeso i nostri valori e le nostre radici in Medio oriente riuscendo a creare una società plurale, almeno fino a poco tempo fa.
Come bisognerebbe comportarsi con i jihadisti europei che si sono arruolati nell’Isis? Istituire un tribunale internazionale in Siria, Iraq o in Europa?
L’assenza di giustizia non è mai un bene. Ogni paese deve essere responsabile per i propri cittadini e deve rimpatriare i propri jihadisti e giudicarli in Europa. È incomprensibile come alcuni dei foreign fighters, che tanti danni hanno arrecato in Iraq, siano tornati in Europa senza subire nessuna conseguenza.