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19 aprile 2019

Il calvario dei cristiani in Iraq: Mosul, dentro il Monastero trasformato in carcere dall'Isis


"Non c'è altro Dio che Allah". È la bandiera dell'Isis dipinta in caratteri arabi sulle mura distrutte dell'antico monastero di San Giorgio, a Mosul, che dopo la furia di Daesh è diventata un carcere utilizzato dalle forze armate terroristiche. Ora è un cumulo di macerie.
Ci accompagna nella sua chiesa distrutta padre Samer, il giovane superiore generale dei monaci di Sant'Antonio Abate, che spera di ricostruirla con i dollari americani. È il giovedì santo, la comunità cristiana si appresta a celebrare l'inizio del triduo pasquale, la passione del Signore, il suo calvario, la sua resurrezione.

Se nelle nostre chiese la resurrezione la intravedi iniziando la Via Crucis, qui invece sono rimaste 10 famiglie dalle 30mila che c'erano prima del 2014, ed è difficile intravedere un orizzonte di speranza. È con loro che celebro i miei 25 anni di sacerdozio.

Una fede incrollabile, il papà Jamal e i due figli entrambi sposati, Abdul Masih e Musa, sono scappati e rientrati, sono una di queste dieci famiglie che si trovano ora a Mosul. Ci hanno detto che sopravvivono grazie all'aiuto della chiesa locale, non del governo, ci tengono a sottolineare, che non fa niente per le minoranze, né per i cristiani né per gli Yazidi. Non hanno timore a dire che non si fidano dei musulmani.
Li comprendo pensando che molti amici e parenti non li rivedranno più, pensando ai cristiani che sono stati uccisi e a famiglie completamente sradicate che hanno perso tutto. Nelle celle dei monaci del monastero si possono leggere i nomi e i luoghi di provenienza dei soldati che hanno seminato morte e distruzione, alcuni venivano persino dalla Francia.
Torna in mente un altro tipo di inchiostro, quello di pilato, posto sulla croce del Nazareno: "Io sono il re dei giudei".
La città di Mosul è in parte distrutta, insicura, non si sa chi comanda qui: i militari, i miliziani sciiti di varie fazioni, i sunniti. I cristiani non vogliono tornare perché anche se la guerra è terminata, l'odio verso i cristiani no. Ti guardano con sospetto, sono gli stessi che hanno tradito i loro vicini di casa cristiani denunciandoli.
"Daesh è ancora presente" ci dice il vescovo di Mosul "anche se ha cambiato volto". Parliamo anche con il vescovo siro-ortodosso di queste parti. Ci conferma quello di cui la comunità internazionale dovrebbe prendere atto: nella sua diocesi erano 7 mila le famiglie, oggi nessuna di queste vive a Mosul, nessuna è voluta tornare nella propria casa.

I cristiani stanno sparendo dalla piana di Ninive. È il calvario, la prova, l'esilio dei cristiani nella terra di Abramo, di Ur, dei Caldei. Questa chiesa martoriata attende il Papa come il pane ogni giorno.