Pagine

18 aprile 2019

Caldei della diaspora nella piana di Ninive, per celebrare la Pasqua e rimettere radici

By Asia News

I cristiani di Mosul e della piana di Ninive, costretti a fuggire nell’estate del 2014 per l’ascesa dello Stato islamico (SI, ex Isis), vivono la Pasqua con la speranza di “rimettere le radici nella loto terra di origine”. Per questo decine di famiglie “della diaspora” provenienti da “Canada, Stati Uniti, Europa” sono tornate in questi giorni “per partecipare alle celebrazioni della Settimana Santa, fra momenti di preghiera e di festa”. È quanto racconta ad AsiaNews don Paolo Thabit Mekko, responsabile della comunità cristiana a Karamles, nel nord dell’Iraq, secondo cui “la gente ha sempre più voglia di ricostruire”. 
In questi giorni di festa fra le comunità della piana di Ninive sono in programma processioni, Via Crucis e celebrazioni dell’Eucarestia. Dopo l’esodo che ha riguardato centinaia di migliaia di persone, oggi secondo alcune stime circa la metà delle famiglie cristiane (il 45%, per un totale di quasi 42mila persone) ha fatto rientro nei villaggi devastati dall’Isis.
In molti centri fra cui Qaraqosh, Bartella e la stessa Karamles prosegue - seppur a rilento e fra enormi difficoltà economiche - il processo di ricostruzione. Le case tornate agibili e quelle nuove sono poco meno di 6500 su oltre 14mila. Dopo la liberazione della piana, grazie all’offensiva congiunta arabo-curda, per la terza volta i cristiani possono celebrare la Pasqua nei loro villaggi. Tuttavia, se il primo anno si è trattato di una funzione simbolica e nel 2018 le chiese non erano agibili, la speranza quest’anno è tornare a respirare clima, atmosfera e partecipazione di un tempo.
“La Domenica delle Palme - racconta don Paolo - ha rappresentano un momento importante, perché nei villaggi della piana di Ninive abbiamo potuto tenere le processioni.  A Qaraqosh si è registrata una grande partecipazione. Pure a Karamles vi erano numerosi fedeli, che non hanno voluto mancare all’incontro con il neo arcivescovo caldeo di Mosul, mons. Najib Mikhael Moussa, che ha presieduto le celebrazioni e rilanciando il messaggio di fede e speranza”. 
Il dato più significativo, prosegue il sacerdote, era “il ritorno di tanti dei nostri che vivono in Canada. Stati Uniti, Europa, che sono venuti proprio per partecipare alle celebrazioni della Settimana Santa. Questo è un buon segno, e altri ne stanno ancora arrivando per la Pasqua”.
“Una persona originaria di Karamles
- racconta don Paolo - e che vive in Canada da molti anni è voluta tornare per celebrare il battesimo della figlia. La cerimonia si è tenuta nel santuario di Santa Barbara, un luogo caro a tutti i cristiani di questa zona. E tante famiglie della diaspora hanno deciso di portare qui figli e nipoti, per far riscoprire le loro radici, il legame con la loro terra”. 
Archiviato la follia dell’Isis quest’anno la “minaccia”, confida con un sorriso il sacerdote, è rappresentante “dal maltempo, dalle forti piogge” che hanno investito l’Iraq e l’Iran, dove si contano danni per miliardi. “Quanta pioggia - racconta - una primavera strana, la notte scorsa si è abbattuto un vero diluvio. Il maltempo ha ostacolato diverse celebrazioni, soprattutto le processioni e altri eventi all’aperto. Ciononostante l’atmosfera era davvero bella e la vita sta tornando”.
Per la domenica delle Palme, confida, abbiamo sfidato il tempo per effettuare una gita in  bicicletta e rispolverare una antica tradizione: quella di piantare nei campi alcuni rami benedetti di ulivo, un rito che i contadini effettuano da decenni. “Un segno - spiega - della nostra appartenenza a questa terra, della decisione che abbiamo preso di restare e che vogliamo ribadire con forza”. Certo, di problemi ve ne sono ancora, l’economia è debole, manca il lavoro e si punta molto sul raccolto del prossimo anno per far ripartire la vita dei campi. “Servono occupazione, fiducia - sottolinea - ma più di tutto la sicurezza. E devo ammettere che nell’ultimo periodo la situazione sembra tranquilla”. 
“Dobbiamo smetterla di guardare indietro - conclude don Paolo - e pensare al passato, all’Isis, considerarci profughi. Serve costruire un futuro qui, in questa terra, e aiutare chi è partito a tornare”.