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18 gennaio 2019

Card. Sako ai nuovi vescovi di Mosul e Baghdad: lavorare per la Chiesa e l’Iraq


Amare la Chiesa Caldea “rafforzandone l’unità” nel rapporto con il patriarca e tutte le sue componenti; amare la “madrepatria” Iraq, fonte “della nostra identità” e “lavorare duro per la sua stabilità”, affinché “possa raggiungere la pace” e “muovere verso il progresso e la stabilità”. È l’invito che il patriarca caldeo card Louis Raphael Sako rivolge al neo arcivescovo di Mosul e all’ausiliare di Baghdad, nell’omelia della messa di ordinazione episcopale celebrata  oggi  nella cattedrale di San Giuseppe. Il porporato ricorda loro di aver “ereditato la fede di San Tommaso”, l’apostolo della Chiesa orientale, e che dovranno “guidare” il loro “popolo al Signore”. 
Per la comunità caldea e per tutto l’Iraq oggi è una giornata di festa, perché celebra di fatto il ritorno a pieno titolo di un pastore in quella che, per anni, è stata la roccaforte dello Stato islamico (SI, ex Isis) e in cui i jihadisti hanno compiuto terribili atrocità. Al padre domenicano Najib Mikhael Moussa il compito di ricostruire il tessuto sociale ed ecclesiale di Mosul, oltre a riallacciare le relazioni con la popolazione musulmana. 
Rivolgendosi a lui, il card Sako sottolinea le difficoltà che attendono il prelato in una diocesi “devastata”. Tuttavia, la missione è di “rafforzare la gioia della liberazione e stabilire la speranza di un ritorno” a pieno titolo dei cristiani. Per far questo egli dovrà “lavorare a stretto contatto con le persone di buona volontà”, anche musulmani, per “ricostituire la fiducia” fra le diverse componenti della società a Mosul. 
Il vescovo, avverte il primate caldeo, dovrà “promuovere la coesistenza e smantellare i residui rimasti dell’Isis, fra cui l’ideologia, le abitudini e i costumi”. Una grande sfida, avverte, che richiede “attiva partecipazione della Chiesa e dei cristiani nella vita pubblica” di una città distrutta “quasi per intero” nelle sue chiese più antiche. “Che tu sia - afferma - il nuovo Giona per Ninive”. 
Il card. Sako si è poi rivolto al neo ausiliare di Baghdad, mons. Robert Jarjis, del quale ricorda il “successo” negli anni vissuti da parroco, in cui ha vissuto in modo “indipendente”. Ora, invece, egli dovrà avere una impostazione più “comunionale” della vita e diventare un membro attivo “del team patriarcale” lavorando con “entusiasmo, comprensione, amore e umiltà”. 
Alla cerimonia odierna hanno vescovi da tutto l’Iraq, oltre ad ambasciatori, ministri in rappresentanza del governo, leader religiosi musulmani sciiti e sunniti, familiari e amici. Ai fedeli presenti, il card Sako ha chiesto di accompagnare e sostenere i due nuovi prelati nella loro missione “con l’amore, il rispetto e le preghiere” perché “il popolo attorno a noi” è elemento “di forza”. 
L’episcopato, ricorda il primate caldeo, è una “chiamata” non un “privilegio” e il vescovo “non è altro che un servitore”. In particolare, nella tradizione assiro-caldea egli viene chiamato “Abun Maalia” che vuol dire “padre” che tratta i figli “in modo eguale, con amore e tenerezza” e lontano da ogni discriminazione. “Il vescovo - conclude il card Sako - che le persone sono i suoi partner e devono lavorare uniti come un unico corpo per il benessere e la prosperità della Chiesa” utilizzando “saggezza, ascolto, pazienza e capacità di relazionarsi con i propri assistenti”.