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13 novembre 2018

Il Patriarca caldeo a Torino: il futuro dei cristiani in Medio Oriente

By Baghdadhope*

Foto by Baghdadhope
Di seguito il testo completo pervenuto a Baghdadhope del previsto* intervento del Patriarca Cardinale Mar Louis Raphael I Sako al convegno internazionale "La fine del Medio Oriente e il destino delle minoranze" svoltosi a Torino ieri, lunedì 12 novembre.

Fin dalla sua nascita, nei primi secoli dell’era cristiana, la Chiesa irachena ha sofferto persecuzioni e oppressioni. Ciononostante è rimasta salda e fedele alla sua missione, portando il Vangelo in terre lontane, nei paesi del Golfo, in India e in Cina. Spero che la Chiesa irachena abbia anche oggi la forza necessaria per essere fedele alla sua identità e vocazione, resistendo alle terribili sfide di quest’ora.
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Nei primi sei secoli la Chiesa irachena è rimasta unita, benché la si chiamasse con vari appellativi: “Chiesa d’Oriente”, “Chiesa al di fuori delle mura” (in riferimento all’impero romano), “Chiesa di Persia” (in riferimento all’impero persiano che ha dominato il territorio prima dell’arrivo dei musulmani). Nel VII secolo è stata denominata “Chiesa Nestoriana”, ma indubbiamente senza alcun collegamento dottrinale con il Nestorianesimo. Come dimostrano vari studi sull’argomento, le differenze col Nestorianesimo sono, in realtà, linguistiche e culturali più che sostanziali. Emblematica, al riguardo, è la Dichiarazione Cristologica Comune tra Chiesa Assira d’Oriente e la Santa Sede, sancita l’11 novembre 1994 con la quale le due chiese “prescindendo dalle divergenze cristologiche che ci sono state” si sono riconosciute “reciprocamente come Chiese sorelle.”
Nel corso della loro lunga storia, i cristiani iracheni hanno servito sempre e in modo encomiabile il loro paese a tutti i livelli: economico, culturale e sociale, convinti che questa sia la loro terra. Vorrebbero solo conseguire ciò che, in senso proprio, finora non hanno ancora ottenuto: pace, stabilità, uguaglianza politica, piena cittadinanza, libertà, dignità.

LA SITUAZIONE ATTUALE: UNA SERIE DI CRISI COMPLESSE
Il numero dei cristiani iracheni nel periodo del regime precedente era di 1.730.000 (secondo le statistiche pubblicate). Dopo la caduta del regime nel 2003, il numero è calato drasticamente a 500.000 (questo numero è approssimativo, perché mancano statistiche ufficiali).
I cristiani iracheni fanno parte di 14 chiese ufficialmente riconosciute dallo Stato. I più numerosi sono i caldei, seguiti dai siro-cattolici e dai siro-ortodossi, mentre altri gruppi, quali gli assiri, gli armeni, i melchiti e i protestanti hanno pochi fedeli. 


LA PRESENZA CRISTIANA DIMINUISCE IN MODO VISTOSO E PER DIVERSI MOTIVI, FRA CUI:
- le conseguenze della guerra Iraq-Iran, durata ben otto anni (1980-1988), che ha causato un milione di martiri e gravi distruzioni;
- le conseguenze della guerra contro il Kuwait nel 1991, seguita da 13 anni di embargo economico. Questo ha spinto molte famiglie ad emigrare in Occidente, soprattutto negli Stati Uniti, in Canada, in Australia e in alcuni paesi europei, tra cui Svezia, Olanda e Germania. Dopo la caduta del regime, gli ideali sbandierati della democrazia, della libertà e della prosperità sono rimasti puri e semplici slogan.
La popolazione si è dovuta confrontare con nuove crisi:
-    Il caos per la mancanza di sicurezza e giustizia. Si pensi al fatto che i colpevoli di molti attentati terroristici non sono stati né intercettati, né arrestati, né condannati. Se pure, in alcuni casi sono stati arrestati, in seguito, in un modo o in un altro, sono stati rilasciati. -        
- La ripartizione settaria e l’emarginazione della componente cristiana, nonché i tentativi di promulgare leggi ingiuste contro la confessione cristiana (si pensi alla legge che obbliga i minori a diventare musulmani, quando uno dei genitori diventa musulmano). -           
- L’esistenza di decine di milizie, gruppi armati e gruppi estremisti, autori di crimini (rapimenti, minacce e ricatti) e responsabili del sequestro dei beni immobiliari e dei fondi economici. Gli attacchi contro i cristiani sono stati gravi ed estremamente dannosi. Ecco i risultati degli ultimi 15 anni di violenza: 61 chiese bombardate – l’attacco più drammatico è stato contro la cattedrale siro-cattolica di Bagdad, dedicata a Nostra Signora del Perpetuo Soccorso. Il 31 ottobre 2010, mentre si celebrava la Santa Messa domenicale, i terroristi sono entrati nella cattedrale uccidendo due giovani sacerdoti e altre 58 persone. Il numero complessivo dei cristiani uccisi dal 2003 al 2018 è di 1224, tra cui alcuni membri del clero. Sono state sequestrate 23.000 case e proprietà immobiliari dei cristiani, ed oggi c’è una campagna per espellerli dal posto di lavoro.
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La tragica nascita dello Stato Islamico (Daesh) con l’invasione della città di Mosul e di tutte le città e i villaggi della Piana di Ninive, nei mesi di giugno e agosto 2014. Lo Stato Islamico aveva dato tre opzioni ai cristiani: la conversione all’islam, il pagamento di una tassa per la cosiddetta “protezione” (jizya - dhimma), o l’abbandono forzato ed immediato della loro terra, altrimenti sarebbero stati uccisi. Di conseguenza, 120.000 cristiani sono stati espulsi dalle loro case, e sono stati sequestrati tutti i loro beni immobiliari, il loro denaro e persino i loro documenti personali. Purtroppo il Daesh ha anche cancellato i monumenti e i simboli cristiani a Mosul, sia quelli antichi che quelli moderni.
Uno dei principali fattori che ha contribuito a far precipitare la situazione è l’Islam politico che ha l’obiettivo di svuotare la regione mesopotamica dalla presenza cristiana. D’altro canto, le correnti estremiste non accettano in alcun modo chi è diverso, sia esso cristiano o yazida o mandeo. Secondo l’ideologia di queste correnti, espressa in modo dichiarato o subdolo, gli appartenenti a religioni diverse dall’Islam sono infedeli e politeisti, e quindi da trattarsi come cittadini di seconda classe. Ovviamente, ciò è indice di ignoranza da parte di tali gruppi politico-religiosi. Fa sorridere, ad esempio, il fatto che queste frange estremiste a volte non accettino il conflitto sunnita-sciita per la contesa dell’Iraq, della Siria, del Libano, dello Yemen, ecc.

Queste sono le inquietanti caratteristiche di quanto sta succedendo in Medio Oriente:

la concorrenza e il conflitto tra la Repubblica islamica dell’Iran e i paesi del Golfo, in particolare l’Arabia Saudita e la Turchia, per l’espansione della loro presenza e il loro dominio. Senza contare la mancanza d’equilibrio fra i due principali poli militari internazionali: gli Stati Uniti d’America e la Russia – causa scatenante conflitti e guerre per procura.

Il vittimismo
: la classe politica in Iraq, come negli altri paesi, si nasconde dietro la religione per prendere possesso del potere, e quando governa lo fa in nome della propria religione. Difatti, i politici hanno diviso il paese con il pretesto del vittimismo: il vittimismo sciita, il vittimismo sunnita, il vittimismo curdo. Come se non ci fossero ingiustizie perpetrate contro i cristiani! Inoltre, bisogna denunciare la mancanza di libertà nella scelta politica, a causa delle pressioni regionali e internazionali summenzionate. Mancano anche una chiara visione e un programma professionale per la costruzione e l’ammodernamento delle infrastrutture e la modernizzazione della società. In realtà, sembra che l’obiettivo sia solo di prendere possesso del potere e del denaro. Dal 2003 fino ad oggi, i governi che si sono avvicendati non sono riusciti a fondare uno Stato su fondamenta giuste e solide. I governi hanno fallito nel tentativo di creare uno Stato basato sul diritto e gestito dalle istituzioni. E il gran numero di milizie, l’alto tasso di falsificazioni e truffe nelle elezioni, la dilagante corruzione nella spartizione degli incarichi politici, tutto ciò ha complicato ulteriormente la situazione del paese!

Un altro fattore, non meno importante, è il nascondersi della violenza e il terrorismo dietro la religione. E questa ideologia è diffusa e forte …


E non bisogna dimenticare il fattore economico. Lo Stato dipende quasi esclusivamente dai proventi legati al commercio del petrolio, mentre l’industria, l’agricoltura, il turismo sono paralizzati.


Per completare il quadro, si aggiunga il dilagare della corruzione, l’alto tasso di disoccupazione, (22,6%), il deterioramento dei servizi pubblici, cominciando dall’elettricità e dall’acqua, per arrivare alla sanità e al sistema educativo. Si noti, al riguardo, che la percentuale di analfabetismo è salita fino all’8,3%.
Tutti questi fattori, insieme all’istigazione palese e complice su vari fronti, hanno spinto molti cristiani, ormai sfiduciati, ad emigrare, alla ricerca di un futuro sicuro per sé e per i propri figli. Sicché molti di loro si sono trasferiti in Libano, in Giordania, in Turchia, con la speranza di raggiungere l’Occidente.


LA DIVISIONE FRA I CRISTIANI
L’abbandono del paese da parte dell’élite cristiana è un fatto doloroso e triste. È rimasta invece la classe media (dipendenti e proprietari di piccoli negozi), mentre i poveri sono diventati“ostaggio” degli aiuti umanitari e di una mentalità assistenzialista. Anche i rapporti fra le chiese hanno influenzato negativamente l’andamento della situazione generale. In realtà, le chiese non sono unite tra loro: manca una visione chiara e condivisa, non c’è lavoro di squadra, nonostante tutti gli sforzi del Patriarcato caldeo in questa direzione. Forse, a causare il deterioramento dei rapporti sono stati anche il nazionalismo, in cui alcune chiese si sono trincerate, nonché il finanziamento da parte di alcune autorità, e la formazione sorpassata e non adeguata dei membri del clero. Il fatto è che quando una chiesa non si rinnova, è condannata a non essere feconda.
Così anche la maggior parte dei partiti cristiani è legato ai finanziatori (tramite l’ufficio del Sig. Sarkis Aghajan, ex ministro della finanza nel Kurdistan Iracheno). C’è anche un partito legato alle Forze di mobilitazione popolare irachene (PMF), mentre un altro è legato al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). E così, la lealtà è dovuta al finanziatore. Di conseguenza, la quota cristiana in Parlamento (cinque seggi) viene sequestrata. Tutto questo ha portato alla divisione dei cristiani tra il governo centrale e la regione del Kurdistan sul tema dell’appartenenza della Piana di Ninive ad uno dei due poteri. Mentre la decisione della Corte Federale irachena è chiara nel non includere le zone della Piana di Ninive nell’Articolo 140 della costituzione irachena, che riguarda i “territori contesi”. Questo conflitto sul territorio della Piana di Ninive spinge i cristiani a credere che di nuovo saranno vittime di un confronto armato che potrebbe cominciare in qualsiasi momento. Una prova concreta di questo sono le barriere militari per proibire il ritorno delle famiglie cristiane nelle zone che un tempo abitavano. È il caso della cittadina cristiana di Batnaya, occupata a sud dalle Forze di mobilitazione popolare irachene (PMF), e a nord dai “Peshmerga”del Kurdistan Iracheno.


LE SPERANZE PER UN FUTURO MIGLIORE

Le speranze sono piccoli punti di luce che si aprono in questo oscuro orizzonte. Sono punti reali, e noi dovremmo puntare su di essi, dovremmo aumentarne il numero, ingrandirli, diffonderli. È vero che ci sono molti problemi, ma ci sono anche molte realtà positive: la libertà dell’individuo e specialmente quella di espressione, la possibilità di avere regolari elezioni parlamentari,di essere adeguatamente retribuiti. Per noi cristiani c’è la libertà di costruire chiese, di pubblicare, ecc.

Francamente, notiamo oggi nella popolazione irachena una sensibilità più profonda (si pensi alle manifestazioni a Bassora, a Baghdad ed in altre città), una più marcata sete di pace, libertà, giustizia e riconciliazione; più forte è la percezione di valori quali il rispetto dei diritti umani, la democrazia, la tutela del pluralismo, la lotta al settarismo in favore dell’identità nazionale, e la costruzione di un vero e proprio Stato. È interessante notare che le autorità religiose sciite, in particolare, hanno cominciato ad esprimere il desiderio di creare un sistema civile in cui i cittadini assumano responsabilità e incarichi in base alle loro competenze, piuttosto che sulla base dell’appartenenza etnica o religiosa. Anche le ultime elezioni legislative e la formazione del governo attuale sono un altro indicatore positivo del cambiamento in atto, perché hanno espresso la volontà di riforma affrontando le sfide del settarismo, della corruzione, della sicurezza, del miglioramento dei servizi pubblici e del progresso economico. Fra 329 deputati ci sono 290 nuovi volti. Ora il presidente della Repubblica è nuovo, come anche il primo ministro e il presidente del parlamento. Ci sono segni di Speranza.

Noi, come Chiesa, abbiamo fatto grandi sforzi nell’accogliere 120.000 sfollati provenienti da Mosul e dalla Piana di Ninive, garantendo loro vitto e alloggio, e assicurando ai bambini l’accesso alla scuola. Tutto questo l’abbiamo fatto per più di tre anni, con la collaborazione di varie istituzioni ecclesiastiche in patria e all’estero. Abbiamo anche fatto degli sforzi enormi attraverso le nostre relazioni e il dialogo con le autorità religiose musulmane per difendere i diritti dei cristiani e per rassicurarli. Ci siamo concentrati sui punti seguenti:
1.        Porre fine all’indottrinamento che incita all’odio. Su questo fronte abbiamo ottenuto progressi notevoli. Abbiamo con un gruppo di Imam Shiiti e Sunniti preparato un fasciculo  per fare conoscere le nostre religioni.
2.     
L’apertura all’altro, mettendo al bando vecchi e infondati pregiudizi. Incoraggiare a superare didattiche non più compatibili con i nostri tempi, provocando un cambiamento della mentalità e focalizzandoci piuttosto su alcuni punti comuni, in modo da rafforzare la convivenza pacifica fra tutte le componenti della società. Il sostegno e la solidarietà con le famiglie musulmane sfollate hanno avuto un esito positivo.
3.      Nelle conferenze, nelle interviste e negli incontri abbiamo sempre ribadito l’importanza di fondare uno Stato civile, uno Stato cioè che sia basato sul concetto di cittadinanza, e non sulla ripartizione settaria, e il concetto della maggioranza e della minoranza. Vogliamo che la nostra patria sia veramente unita e che abbia degli ottimi rapporti con i paesi vicini e con tutto il mondo. Ma, purtroppo, finora le cose sono rimaste come erano, senza un vero progresso.
4.      Abbiamo chiesto che si faccia una riforma delle leggi e della costituzione attuale, perché quest’ultima contiene delle contraddizioni, perciò necessita di essere continuamente interpretata. Ugualmente c’è bisogno di una riforma del sistema educativo; vanno aggiornati soprattutto i testi scolastici, che contengono insegnamenti obsoleti, non più adatti, né compatibili con i nostri tempi. E c’è anche l’urgenza di lanciare delle campagne informative per far conoscere alla gente la pericolosità dell’ideologia del Daesh, che è contro la religione, e sottolineare la sacralità del rispetto dei diritti umani e l’essenzialità della pace.

LA SITUAZIONE DEGLI SFOLLATI INTERNI E IL LORO RITORNO
La questione principale e la sfida più grande concernono la permanenza dei cristiani in Iraq, in modo da rafforzarne la presenza e la testimonianza cristiana.
La Chiesa è stata sempre vicina agli sfollati interni, e quando le zone cristiane sono state liberate dall’ISIS, essa ha iniziato a raccogliere dei fondi dalle associazioni ecclesiastiche e dalle organizzazioni internazionali per ricostruire le case degli sfollati ed incoraggiarli a tornare alle loro terre. Da un totale di 20.000 famiglie cristiane sfollate, sono tornate più di 8.000. Ma ci sono delle famiglie che aspettano che le condizioni migliorino. Altre non sono tornate ancora perché le loro case sono bruciate e distrutte completamente, e perciò la loro ricostruzione costa molto. Lo Stato non ha fatto nulla al riguardo, perché non ha soldi a causa della corruzione e per i motivi summenzionati. Poi, tra gli sfollati, ci sono quelli che hanno trovato qualche lavoro dove vivono attualmente, pertanto preferiscono rimanere lì.
Di che cosa hanno bisogno i cristiani per poter rimanere nelle loro terre e convivere con i loro connazionali?
I cristiani e le altre minoranze hanno bisogno di garanzie per poter rimanere nelle loro terre, per dare un seguito alla loro storia millenaria, per convivere con i loro connazionali. Vorrebbero che lo Stato li facesse sentire cittadini a tutti gli effetti, con diritti e doveri, come gli altri, senza distinzioni e discriminazioni. Ma questo finora non è stato realizzato e questo fatto lascia aperte molte domande.
I cristiani vorrebbero una presa di posizione chiara ed ufficiale, in cui si esprima il rispetto della loro peculiarità e delle loro zone, la protezione da qualsiasi aggressione e da qualsiasi legge che li opprime. Hanno bisogno di recuperare la fiducia nei loro vicini nelle aree liberate dal Daesh, tramite procedure concrete, quali la punizione dei criminali, il risarcimento dei danni a favore delle vittime, la restituzione delle proprietà ai proprietari originari, la rimozione delle mine dai campi, la ricostruzione delle loro abitazioni, il miglioramento dei servizi essenziali, l’offerta di opportunità di lavoro.

IL RAPPORTO E LA COMUNICAZIONE CON I FEDELI DELLA DIASPORA
Per quanto riguarda il nostro rapporto e la nostra comunicazione con i fedeli nella diaspora, abbiamo alcune diocesi e parrocchie all’estero che visitiamo regolarmente e con cui manteniamo il contatto. C’è bisogno di sacerdoti all’estero, perché attualmente il loro numero è insufficiente a coprire le necessità pastorali. Ma non possiamo privare l’Iraq dei suoi sacerdoti, perché, onestamente parlando, la forza della Chiesa dovrebbe rimanere nel paese d’origine. Anzi, dobbiamo ancor più rafforzare la Chiesa in Iraq, sul piano spirituale, culturale, sociale e anche politico. Non possiamo contare su chi sta nella diaspora perché la gente con il passare del tempo si svincola dai legami con la terra d’origine, e non penso che ci sia qualcuno disposto a tornare in Iraq, dopo essersi stabilito all’estero. Neppure quelli che stanno nei paesi vicini tornerebbero, perché hanno dei parenti all’estero che li sostengono e lavorano per farli ricongiungere a loro.

Infine:
le chiese cristiane in Iraq e nel Medio Oriente dovrebbero imparare dagli sbagli del passato, cominciando a rafforzare le relazioni fra di loro, e fra loro e le chiese e le istituzioni cristiane in tutto il mondo (il Vaticano, il Consiglio Mondiale delle Chiese, il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente) lavorando insieme per far rimanere i cristiani nel Medio Oriente, e per proteggerli e sostenerli ... perché, come sappiamo, la loro situazione è preoccupante. E se si continua così, il futuro dei cristiani si prospetta minaccioso e oscuro
...Preghiamo Dio di aiutarci, tutti quanti, nel nostro lavoro per il bene del nostro martoriato Oriente!


* A causa di imprevisti ritardi il discorso in sede di convegno è stato brevemente accorciato dal Patriarca Cardinale Sako e rimaneggiato in alcuni punti.