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17 ottobre 2018

Sinodo, il patriarca Sako: “Svuotare il Medio Oriente dei cristiani è un peccato mortale”

Salvatore Cernuzio

Uno parla dello «svuotamento» del Medio Oriente della sua componente cristiana, quasi «un peccato mortale». L’altro denuncia invece la piaga della droga nel suo Brasile e in tutta l’America latina che miete più vittime di una guerra e colpisce una famiglia su tre. Lo sguardo universale del Sinodo si riflette nel briefing di oggi in Sala Stampa vaticana, dove il cardinale iracheno Raphael Louis Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, e l’arcivescovo Jaime Spengler della diocesi brasiliana di Porto Alegre condividono con i giornalisti le preoccupazioni - già espresse in aula - per «il male» che travolge i giovani delle loro terre. 
Ad accompagnarli ci sono anche il cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, l’uditrice suor María Luisa Berzosa González, direttrice della rivista spagnola Fe y alegría, e, come sempre, il prefetto del Dicastero per la Comunicazione, Paolo Ruffini, che ha annunciato la notizia di un pellegrinaggio dei padri sinodali per gli ultimi 6 chilometri della Via Francigena. Un’iniziativa, questa, proposta durante i lavori del Sinodo che si terrà giovedì 25 ottobre, dalle 8.30 alle 11; il percorso inizierà dal Parco di Monte Mario e si concluderà nella basilica di San Pietro, dove alla Tomba dell’apostolo sarà celebrata una messa da monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova evangelizzazione che organizza il pellegrinaggio. Sono in corso le iscrizioni dei padri sinodali, ha spiegato Ruffini, e ancora si stanno definendo i dettagli. Per ora, ha riferito il prefetto a Vatican Insider, non è prevista alcun tipo di partecipazione del Papa. 
Prendendo la parola, Sako - alla sua quarta assemblea sinodale - ha definito quella nell’aula vaticana «una micro ecclesia da tutto il mondo», che seppur nelle sue diversità - «Il Medio Oriente non è l’America, l’America non è l’Africa, l’Africa non è l’Europa» - si sta dimostrando coesa nel «ragionare e analizzare le sfide dei giovani e i loro problemi». In particolare il patriarca, creato cardinale da Francesco nel giugno scorso, ha voluto accendere i riflettori sul dramma dei rifugiati iracheni, circa 4 milioni in totale (120mila cristiani) in fuga negli anni scorsi dalle violenze dell’Isis e rimasti a vivere in campi profughi in Libano, Giordania e Paesi limitrofi perché impossibilitati ancora a ritornare nelle loro case. 
«Molti sono giovani» e di loro si è parlato troppo poco durante le plenarie del Sinodo ma molto più nei Circoli minori, ha detto il patriarca lamentando lo «svuotamento» della sua terra che ha definito «un peccato mortale». «Noi cristiani d’Oriente se andiamo via abbiamo perso identità e un patrimonio ricchissimo», per questo Sako dice di plaudere alla Ungheria di Viktor Orbán «che, se non ho capito male, invece di ricevere i rifugiati ha donato cinque milioni per ricostruire case e scuole». 
A chi osservava che anche dagli Stati Uniti sono stati indirizzati fondi per gli stessi obiettivi, frutto anche di molte campagne “per i cristiani perseguitati”, Sako ha risposto laconicamente che: «Noi per ora non abbiamo visto niente. Ci sono promesse, ma nella realtà finora non c’è niente. Bisogna invece aiutare questa gente a tornare nelle loro case, incoraggiare i cristiani a rimanere sul posto, aiutarli ad avere un lavoro, a riparare la casa, dare loro una speranza». 
«Non capiamo perché la situazione è peggiorata», ha aggiunto il primate caldeo. E le domande rimangono ancora in sospeso: «Perché uccidere le persone? Chi c’è dietro all’Isis? Perché adesso più di tre milioni di iracheni hanno dovuto lasciare le loro case? Chi ricostruirà? L’Iraq non ha soldi…». 
Sulla questione è intervenuto il cardinale Turkson che ha spiegato come il suo ufficio stia coordinando diversi aiuti provenienti da organizzazioni di Chiese americane. «Arrivano contributi anche da singoli cittadini o da appartenenti alle Chiese, a livello di governo vengono fatti annunci ma non succede nulla». Attualmente è in via di definizione un progetto per la ricostruzione delle case dei rifugiati: «Ma queste case devono essere costruite dove si trovano ora i rifugiati o nei loro luoghi di provenienza? Bisogna fare una panoramica della situazione attuale», ha sottolineato Turkson. «Come facciamo ad essere certi che vogliano tornare?». 
 Diverso lo scenario ma uguale l’apprensione di monsignor Spengler per il Brasile che ha denunciato soprattutto i danni provocati dalla droga che «fa parte della vita di tanti giovani e famiglie», tanto che «le statistiche affermano che si muore più in Brasile che nella guerra in Siria».  
 Frase, questa, accolta con una smorfia dal patriarca Sako che, interpellato proprio sulla sua espressione facciale, ha chiarito che non ci può essere un paragone tra questo fenomeno sociale latinoamericano e quella che è una tragedia umanitaria nel Medio Oriente: «Là sono giovani liberi, da noi spesso sono innocenti ad essere uccisi». 
E' vero, «sono realtà diverse», ha precisato Spengler, ma accomunate entrambe dalla «crudeltà». In Brasile «le vittime sono giovani, i grandi spacciatori sono seminatori di morte, ci sono settori della società e del mondo politico che vogliono la liberazione di alcuni tipi di droga, si promuove così la dipendenza ma dopo lo Stato non si impegna a curare queste persone. Sono residui, sono i crocifissi di oggi che la società ha difficoltà a guardare. E tantissime famiglie vivono questa realtà difficile… Ogni fine settimana c’è una carneficina nelle periferie della grandi città». Per non parlare degli stessi giovani «che soffrono e sentono quanto è difficile fare la strada o il cammino del ritorno». In tutto il Sudamerica, ha aggiunto il vescovo, «la Chiesa fa un lavoro straordinario in questo ambito della vita cercando di aiutare i ragazzi e creando spazi dove loro forse possono reinserirsi in società». 
Sempre monsignor Spengler ha individuato altre due sfide che accomunano i giovani di tutti i continenti: il cosiddetto «cambiamento di epoca», «un tempo di conquiste straordinarie nel campo della scienza e della tecnica» che però non si sa «quanto bene crei e per quante persone», poi la «globalizzazione» che «produce cambiamenti a cui attingono tutti» dando tuttavia la priorità a «produttività, consumo e guadagno». «Come possiamo, noi pastori, rispondere alle necessità dei giovani che vivono questa realtà nel quotidiano?», è stata la domanda del vescovo. 
 Per Turkson bisogna scrivere «un manuale della vita», al pari di un libretto di istruzioni degli elettrodomestici, per aiutare i giovani ad orientarsi e maturare. Per Sako si dovrebbe «cercare un linguaggio comprensibile per parlare» con le nuove generazioni: «Siamo abituati come Chiesa ad un linguaggio tradizionale che però non parla, bisogna trovare un nuovo vocabolario». Soprattutto bisogna farlo oggi, in un tempo in cui «la Chiesa è uscita dal palazzo, è solidale con il mondo e con i giovani» ha detto Sako, non nascondendo una lieve critica una scarsa presenza di ragazzi al Sinodo proprio a loro dedicato: «Speravo ci fossero più giovani, 34 è un po’ poco, mentre noi siamo circa 260 padri…».  
 Nel suo breve intervento suor Maria Luisa ha spiegato - quasi in risposta alle polemiche che circolano da ieri sul ruolo marginale delle donne al Sinodo - di sentirsi «molto coinvolta» nelle discussioni. «Voglio difendere la Chiesa da dentro e non essere una spettatrice. Certo, le donne dovrebbero essere più presenti, ma se noi donne nella Chiesa non abbiamo la porta spalancata e c’è però una fessura ci infiliamo subito».  
 Ruffini, infine, ha riferito che sono state consegnate a Papa Francesco 1.509 cartoline di giovani francesi appartenenti alle otto diocesi dell’Ile-de-France che hanno partecipato ad un incontro pre-sinodale a Lourdes. Rispondendo ad un’altra domanda, ha confermato che il documento finale sarà votato punto per punto, non in blocco, e con la maggioranza dei due terzi, come già previsto dal regolamento pubblicato su L'Osservatore Romano.