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13 settembre 2018

Card. Parolin: ideologia dell'Isis non ancora scomparsa

By Radiovaticana
Amedeo Lomonaco

Intervenendo all’incontro sulla crisi umanitaria in Siria e in Iraq, il cardinale Pietro Parolin ha ricordato che in questi Paesi “si è assistito alla sconfitta militare del cosiddetto Stato islamico”, anche se gruppi isolati “permangono o continuano ad avere il controllo di alcune sacche di territorio”. La Santa Sede- ha osservato - continua a richiamare "i diversi attori politici sulla necessità di trovare una soluzione globale ai problemi del Medio oriente, con particolare attenzione a garantire la presenza dei cristiani e delle varie minoranze nelle loro terre di origine". Cresce intanto l'attesa per l'incontro, domani, di Papa Francesco con i partecipanti alla riunione promossa dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.

Dialogo e negoziato

A margine della riunione, il cardinale Parolin ha anche detto che “il Papa continuerà a ripetere i suoi appelli perché noi siamo convinti che solo se si sceglie la strada del dialogo e del negoziato si potrà arrivare a una soluzione pacifica e duratura”. “La situazione in Siria dopo tanti anni di guerra – ha aggiunto il porporato - è così deteriorata che non è facile ricominciare ma ci sono anche le premesse positive e queste vanno valorizzate in vista di una soluzione negoziata e pacifica e di una ricostruzione”

Gravi rischi in Siria

Durante la riunione, il segretario di Stato ha poi spiegato che “in Siria si assiste ancora ad un complesso processo politico-militare, i cui esiti rimangono ancora incerti”. “Siamo stati testimoni – ha sottolineato – di violenze inaudite e di una crisi umanitaria senza precedenti”. “La Santa Sede continua ad essere gravemente preoccupata per l’aumento della tensione tra gli attori regionali e internazionali che hanno fatto della Siria territorio di scontro di una guerra per procura”. “In assenza di prospettive di pace e di speranza per il futuro, in assenza di un processo di giustizia e riconciliazione, in assenza di uno sforzo di rimarginazione delle ferite che coinvolga tutte le componenti delle rispettive società, si rischia la riattivazione prima o poi del fuoco che cova sotto le ceneri”.

Luci e ombre in Iraq

In Iraq, ha sottolineato il porporato, è stato possibile avviare “il processo di ricostruzione materiale dei luoghi distrutti, in particolare dei villaggi cristiani della Piana di Ninive, e il progressivo e lento rientro dei cristiani nelle loro case”.  Purtroppo - ha osservato il cardinale Parolin - le tensioni tra il governo centrale di Baghdad e il governo regionale del Kurdistan “continuano ad avere degli effetti sulla normalizzazione della vita delle comunità cristiane con forti preoccupazioni per il futuro e per il pericolo di cambiamenti nell’assetto demografico di quel territorio, culla del cristianesimo in Iraq”.

I dati della crisi irachena e siriana

Il cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, ha ricordato gli allarmanti dati che riguardano la crisi siriana e irachena. “A più di sette anni dall’inizio del conflitto in Siria – ha detto il porporato - le Nazioni Unite stimano più di 13 milioni di persone in stato di necessità in Siria, di cui più di 5 milioni di bambini, e quasi 9 milioni in Iraq, di cui più di 4 milioni di bambini. Più di 5.6 milioni sono i rifugiati siriani registrati nei paesi limitrofi, in particolare in Turchia, Libano e Giordania, mentre 6 milioni sono gli sfollati interni in Siria e 2 milioni in Iraq”. Sono dati – ha aggiunto il cardinale Turkson – che “mostrano quanto lavoro sia ancora necessario per aiutare le vittime della crisi. “Per questo la Chiesa nonostante la crisi prolungata – ha concluso il porporato - mantiene un impegno importante e capillare”.

Il nunzio in Iraq: i cristiani iracheni sostenuti dalla fede 

Il processo di ricostruzione, seppur lentamente, in Siria e in Iraq è già iniziato. In quest’ultimo Paese, una ulteriore speranza è alimentata anche dal ritorno dei cristiani nei loro villaggi nella piana di Ninive. Il nunzio apostolico in Iraq e in Giordania, mons. Alberto Ortega Martín, sottolinea a Vatican News che queste persone sono sostenute dalla fede. "La testimonianza di questi cristiani iracheni è un tesoro per tutta la Chiesa". "Noi possiamo imparare da questa fede". Nell'ultimo anno la situazione in Iraq è migliorata. Una visita di Papa Francesco nel Paese - ha poi affermato il presule - sarebbe un grande sostegno per la Chiesa e per la pace in Medio Oriente.
Grazie a Dio la situazione in Iraq è migliorata, soprattutto a partire dall’anno scorso, dal momento in cui è stata dichiarata la vittoria militare contro il cosiddetto Stato islamico. Molti cristiani stanno rientrando nei loro villaggi di origine e questo è un fatto che incoraggia tutti e che ci dà grande speranza: ad esempio nella città di Qaraqosh, la principale città cristiana in Iraq, più di 5600 famiglie sono già rientrate.  E anche in altri paesini e villaggi ci sono altre famiglie che ora sono rientrate. In ogni caso, si tratta di quasi la metà delle famiglie che c’erano prima. Questo è un dato molto positivo. C’è tanto da fare, le condizioni sono ancora un po’ precarie, ma è molto incoraggiante il fatto che siano rientrate.
Come la Chiesa accompagna e favorisce questo ritorno così importante e vitale anche per il futuro dell’Iraq?
Questa è certamente una buona notizia non solo per la Chiesa ma per la società intera, dal momento che i cristiani sono chiamati a svolgere un ruolo di grande importanza come artefici di pace, di riconciliazione, e anche di sviluppo. La Chiesa cerca di aiutarli anche materialmente e di sostenerli spiritualmente. Ed è molto bello il fatto che sia la fede a muovere queste persone: per la fede molti hanno perso tutto, e per la fede adesso rientrano anche se non hanno tutte le garanzie. Questo ritorno è un diritto. E’ un diritto che chi è stato cacciato via per la fede possa rientrare nei villaggi di origine.
Molte di queste persone sono passate anche attraverso l’inferno della persecuzione. Però la fede tocca veramente i cuori e non svanisce mai…
Per questo io dico sempre che la testimonianza di questi cristiani iracheni è un tesoro per tutta la Chiesa. Ci hanno testimoniato il valore della fede, il valore del Signore per il quale hanno perso tutto. E noi possiamo imparare da questa fede. Una fede che adesso li sta incoraggiando a rientrare e a continuare a costruire la società insieme con tutti i loro fratelli dei diversi gruppi.
Queste persone che rientrano nelle loro case dopo aver sofferto tanto sentono anche la vicinanza della Chiesa universale, del Papa, del Vicario di Cristo…
Sì, le parole del Papa – in un Angelus o al termine di un’Udienza – hanno effetti molto positivi. Anche il fatto per esempio che il Papa abbia di recente creato cardinale il Patriarca di Babilonia dei Caldei, il principale rappresentante della Chiesa in Iraq, è stato visto da tutti i cristiani iracheni come un sostegno per loro. E anche i musulmani erano contenti perché si tratta sempre di un gesto di vicinanza con i cristiani iracheni e con tutto il Paese che ha bisogno di più pace e stabilità.
Il Santo Padre ha più volte espresso il desiderio di visitare l’Iraq: ci sono speranze affinché, finalmente, in un tempo prossimo si possa svolgere questa visita?
Vediamo un po’… Finora è stato molto difficile a causa della situazione: c’era lo Stato islamico, una situazione di guerra nel Paese. Adesso ci si potrebbe cominciare a pensare. Vediamo come sono le condizioni e anche l’agenda del Papa: il Papa ha un grande cuore, e ha espresso pubblicamente questo desiderio. Questo sarebbe, senz’altro, un grande sostegno per la Chiesa e per la pace in Medio Oriente.