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28 giugno 2018

Il patriarca di Baghdad diventa cardinale: «I musulmani mi aspettano per festeggiare»

By Famiglia Cristiana
Roberto Zichitella

Sono giorni di grandi emozioni per Louis Raphäel I Sako, Patriarca di Baghdad e dei Caldei. Il 28 giugno riceve la porpora nel Concistoro straordinario deciso da papa Francesco per la nomina di 14 nuovi cardinali e il 4 luglio Sua Beatitudine festeggerà i 70 anni. Il Patriarca infatti è nato a Zakho, in Iraq, il 4 luglio 1948. A Mossul ha compiuto gli studi primari, frequentando poi il locale Seminario di St. Jean, tenuto dai Padri Domenicani. Ordinato sacerdote il 1° giugno 1974, ha svolto il servizio pastorale presso la Cattedrale di Mossul fino al 1979. Inviato a Roma, ha frequentato il Pontificio Istituto Orientale, conseguendo il dottorato in Patrologia Orientale. Successivamente ha conseguito il dottorato in Storia presso la Sorbona di Parigi. Dal 1997 al 2002 ha ricoperto l’ufficio di Rettore del Seminario patriarcale di Baghdad. Rientrato a Mossul ha ripreso la guida della Parrocchia del Perpetuo Soccorso fino alla elezione ad Arcivescovo di Kirkuk il 27 settembre 2003. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 14 novembre successivo. È stato eletto Patriarca il 31 gennaio 2013.
Patriarca Sako, come si sente a poche ore dalla consegna della berretta cardinalizia da parte del Papa?
«La decisione di papa Francesco non è tanto un riconoscimento alla mia persona, ma si tratta di un gesto di incoraggiamento e un appoggio per tutti i cristiani dell’Iraq, che da anni vivono in una situazione molto critica. Il pensiero principale del Santo Padre è quello di aiutare l’Iraq e gli altri paesi in guerra della regione mediorientale dando loro speranza e fiducia nel futuro».
Quanto hanno sofferto i cristiani del Medio Oriente?
«Tanto. Prima della caduta del regime in Iraq i cristiani erano un milione e mezzo, oggi sono circa 500 mila, un piccolo gregge. Nel 2014, 120 mila cristiani sono stati cacciati dalle loro case da Mosul e dalla piana di Ninive. Sono rimasti circa tre anni nei campi. I danni sono stati enormi. A Mosul l’80 per cento della città è stata distrutta e io ho fatto fatica a riconoscere la chiesa dove sono stato parroco, tanto era distrutta».
Anche i musulmani hanno sofferto molto?
«Sì, ci sono milioni di musulmani che vivono nei campi profughi dopo il conflitto in Iraq e in Siria. Il prezzo della guerra, e noi viviamo una guerra che dura da 15 anni, lo paga sempre la povera gente, senza distinzioni».
Dopo la sconfitta militare dell’Isis ci sono segni di rinascita?
«Oggi Mosul e la piana di Ninive sono state liberate e la Chiesa ha potuto restaurare le case e le scuole con l’aiuto delle agenzie e della carità di tante persone. Ringrazio anche l’Italia, che ha protetto con i suoi militari la diga di Mosul. La sua distruzione avrebbe provocato una catastrofe».
Il Papa vi è stato di incoraggiamento?
«Sì, gli interventi di Papa Francesco sono stati importanti. Francesco è un profeta del nostro tempo, sa vedere i segni dei tempi e con le sue parole riesce a toccare i cuori di tutti, anche i musulmani lo rispettano e ne parlano bene».
In questo momento qual è la sua preoccupazione principale?
«La nostra preoccupazione come Chiesa è tenere questi cristiani sul posto e assicurare loro una vita libera e dignitosa. Le religioni devono svolgere un ruolo importante,ma soprattutto devono svolgerlo i veri credenti, se vogliono dare una testimonianza forte e significativa al loro Creatore, Dio di tutti gli uomini e fonte di ogni misericordia. Coloro invece che hanno una concezione tribale della società e invocano la vendetta devono tacere e convertirsi alla pace».
È possibile una convivenza pacifica nonostante la guerra e il terrorismo?
«Certo, serve il dialogo e il riconoscimento che non possiamo essere tutti uguali. L’ho sempre detto ai fondamentalisti, Dio ci ha creato diversi, non possiamo essere tutti la stessa cosa».
Dopo il Concistoro tornerà subito a Baghdad?
«Sì, mi aspettano tutti. Anche i musulmani sono molto contenti per questo gesto del Santo Padre».