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18 dicembre 2017

Parroco di Amadiya: Avvento fra i profughi di Mosul, la solidarietà più forte delle difficoltà

By Asia News

Fra i rifugiati di Mosul e della piana di Ninive ancora oggi ospitati nei centri di accoglienza della parrocchia di Enishke, nel Kurdistan irakeno, si respira “un clima di gioia e di speranza”, a dispetto “delle difficoltà”. Anzi, le fatiche di ogni giorno e la lotta quotidiana per la sopravvivenza “hanno accresciuto il legame di unione e solidarietà fra cristiani”, che finisce per abbracciare “anche le famiglie musulmane”. È quanto racconta ad AsiaNews p. Samir Youssef, sacerdote della diocesi di Amadiya (Kurdistan), che ha curato negli anni migliaia di famiglie di profughi cristiani, musulmani, yazidi che hanno lasciato le loro case nel 2014 per sfuggire ai miliziani dello Stato islamico (Si, ex Isis). Archiviata la lotta contro il movimento jihadista, dichiarato sconfitto lo scorso fine settimana dal premier al-Abadi, restano molti i problemi degli sfollati che non hanno dispongono nemmeno delle risorse di base per sopravvivere.
Le famiglie “anche se vivono situazioni di difficoltà non si fanno prendere dalla tristezza e dalla stanchezza”, racconta p. Samir; al contrario, sembrano “essere sostenute da una forza che va oltre la sfera materiale”. Vi è un “sentimento comune di appartenenza fra le persone” che spesso cercano di “aiutarsi fra loro, acquistando cibo e generi di prima necessità, vestiti”. Tutto questo, aggiunge, “contribuisce a creare davvero il clima del Natale, un sentimento e una attenzione che ci fanno sentire davvero amati”.
Nell’area vivono ancora oggi 150 famiglie di rifugiati cristiani, musulmani e yazidi; essi provengono da Batnaya, Qaraqosh, Telkief, altri ancora da Mosul. Le loro case sono tuttora inagibili e non possono fare rientro. Di queste, il 20-30% circa riceve aiuti dall’estero o beneficia di una indipendenza minima perché riesce a guadagnare un po’ di denaro col proprio lavoro di piccolo commerciante, artigiano ma il restante 70% conta in massima parte sugli aiuti senza i quali non hanno di che sopravvivere.
La situazione a livello economico è ancora difficile, perché il governo di Baghdad e quello del Kurdistan non si sono accordati sul pagamento dei salari per insegnanti e impiegati. Ad oggi vi sono solo vaghe promesse dell’esecutivo centrale, ma niente di concreto. Inoltre, ancora oggi vi sono famiglie dei villaggi e delle cittadine circostanti che si rivolgono alla parrocchia di Enishke in cerca di aiuti o piccoli contributi per la sopravvivenza; si tratta di persone che non hanno nulla e portano con sé storie terribili che si ripetono ogni settimana.
P. Samir, fra i principali beneficiari della campagna di AsiaNews "Adotta un cristiano di Mosul", sottolinea che in questo tempo natalizio le famiglie erano solite fare acquisti come generi alimentari e abbigliamento. Tuttavia, oggi la situazione di crisi “ha ridotto in modo drastico le risorse, pochissimi prendono e salari e hanno soldi sufficienti per le spese. Proprio in questi giorni il governo del Kurdistan ha affermato che non vi è denaro per pagare i salari, già in arretrato di due mesi, fino al nuovo anno”.
Ecco perché la Chiesa locale ha rinnovato i propri sforzi per venire incontro alle necessità della popolazione, sia che si tratti di famiglie rifugiate che di abitanti da tempo stanziati nella zona; una solidarietà che, per quanto possibile, cerca di abbracciare cristiani, musulmani, yazidi come conferma lo stesso sacerdote. “Per una settimana - racconta p. Samir - la parrocchia ha organizzato un mercato di Natale con cibo, latte, generi di prima necessità, vestiario e scarpe. Abbiamo venduto gli articoli a un prezzo inferiore rispetto alla città. In precedenza, come Chiesa, avevamo distribuito buoni spesa da 100 dollari a 120 famiglie più bisognose. Altri hanno acquistato a prezzo calmierato. Le risorse diminuiscono, ma cerchiamo lo stesso di aiutare quanti sono in difficoltà”.
Questa iniziativa ha attirato anche l’attenzione delle famiglie musulmane, che hanno chiesto di poter usufruire dei prezzi ribassati come i cristiani e gli yazidi. “Purtroppo - racconta il sacerdote - non avevamo risorse sufficienti per tutti, quindi non abbiamo potuto accoglierle direttamente noi. Conosco però famiglie cristiane che hanno comprato cibo e vestiti, per poi regalarlo alle famiglie musulmane. Anche alberi di Natale, per coinvolgerli nella festa”. La comunità ha realizzato, aggiunge, che le risorse “non sono più come prima, quindi ci si sacrifica e si condividono maggiormente beni e risorse. Per fare un esempio: ieri una donna cristiana ha utilizzato 80 dei 100 dollari di buono, senza chiedere il resto e lasciandone i 20 rimanenti da ridistribuire in cibo ai più poveri. Una vera e propria solidarietà dal basso che ha convolto anche il padrone musulmano di un mini-market vicino alla parrocchia, che ci fa prezzi di favore e vende a credito, aspettando senza fretta il momento in cui possiamo pagarlo”.
In queste settimane di Avvento la comunità si prepara alla nascita di Gesù, attraverso momenti di incontro e di preghiera, come quello che la scorsa settimana ha coinvolto oltre 850 ragazzi e ragazze delle medie e delle superiori. Un incontro ospitato dal centro culturale Giovanni Paolo II, sotto la guida di 10 sacerdoti e suore e caratterizzato da seminari, testimonianze, recita del Rosario, messe. Il 20 dicembre prossimo ci saranno le confessioni per tutta la comunità, poi la notte della vigilia la messa solenne. “In tutto l’Iraq - conclude p. Samir - i cristiani cercano di essere una fonte di gioia e riconciliazione, ma non lasciateci soli: abbiamo bisogno delle vostre preghiere, della vostra vicinanza e solidarietà. Perché questa terra diventi una terra di pace e, in questo, è racchiusa tutta la forza del messaggio di Natale”.